“Illuminare la vita con la luce del Corano” è il motto del Centro di insegnamento, ricerca e fomazione islamico di Savar (Dhaka). Fondato da un professore di chimica che ha studiato negli Stati Uniti, cerca di educare ad una fede aperta alla scienza e al pensiero critico, all’apertura mentale e spirituale. L’8 ottobre scorso si sono trovati a quel centro, per la seconda volta, cristiani e musulmani, per un confronto sul tema della responsabilità dei leaders religiosi di fronte al problema dei cambiamenti climatici. La convergenza di idee e sensibilità su questo tema sembra completa. In entrambe le comunità qualche voce isolata tende ancora a interpretare tutto in modo tradizionale: l’ossido di carbonio sarà pure causato dall’uomo, ma il terremoto? Pure quello: è la punizione di Dio per le danze oscene che si trasmettono sulle TV indiane, e che i bengalesi guardano volentieri.
Archivio mensile:Ottobre 2011
Enclaves
Ci sono 162 enclaves, cioè pezzetti, come isolette, di territorio bengalese in territorio indiano, o viceversa, avanzi dell’affrettata definizione dei confini fra India e Pakistan al momento dell’indipendenza dall’India, nel 1947. 121 pezzetti di India in Bangladesh, gli altri sono pezzetti di Bangladesh in India. Esiste pure un’enclave nell’enclave: in territorio indiano un pezzo di territorio bengalese al cui interno c’è un altro pezzetto di India… Chi abita nelle enclaves deve fare i conti con gli umori delle rispettive guardie di frontiera e dei politici di Dhaka e New Delhi. Passa i confini con facilità, oppure rimane bloccato nella sua isoletta; fraternizza con l’altra parte, o viene accusato di contrabbando, multato, imprigionato. Problematici il passaggio delle merci, l’arrivo della corrente elettrica e dei telefoni, andare a scuola, comunicare con le autorità, avere accesso agli ospedali, e mille altre necessità quotidiane. In una recente visita del primo ministro indiano a Dhaka, vari accordi sembravano ormai cosa fatta, specialmente per regolare il passaggio di merci indiane su territorio bengalese, e per dividersi equamente le acque dei molti fiumi che dall’India entrano in Bangladesh, finora prosciugati a piacere dall’India che la fa da padrona. Ma non sono stati raggiunti, perché la primo ministro dello stato del Bengala Occidentale all’ultimo momento ha detto di no, che non ci stava. Ci si è accontentati di qualche altra intesa minore fra cui, finalmente, quella sulle enclaves. Le poche migliaia di persone interessate hanno tirato un sospiro di sollievo, e per affrettare l’applicazione degli accordi hanno iniziato una forma di protesta originale: non cucinano nulla, lasciano i fuochi spenti e mangiano solo cibi crudi o asciutti…
La delusione circa i risultati dell’incontro a livello di primi ministri ha fatto scrivere a un giornale bengalese che l’India è un paese molto grosso, il “grande fratello” di Bangladesh, Nepal, Buthan, Sri Lanka; ma non ha ancora dimostrato di essere un “Paese grande”.
Medicine
L’industria farmaceutica in Bangladesh fiorisce e costituisce una delle maggiori voci di esportazione, verso 72 nazioni. Il guaio è che su 168 compagnie farmaceutiche del Paese, soltanto 62 seguono le norme dell’Organizzazione Mondiale deella Sanità, e fra queste solo 12 sono all’altezza qualitativa fissata dalla stessa Organizzazione. Diffusi la vendita di medicinali scaduti, e di altri contraffatti, e il contrabbando. Su 225.000 farmacie, solo 82.000 sono autorizzate, e hanno personale qualificato.
Eliminarli?
Eliminarli?
Il Bengalese della classe media li usa più volte al giorno finché riesce a comprarsi una moto, o addirittura un’auto. Allora scrive sui giornali che rallentano il traffico, lo bloccano, sono indisciplinati e pericolosi, che bisogna vietarli nelle strade principali o meglio ancora vietarli del tutto – per eliminare una realtà di cui il Bangladesh si vergogna. E quando, in strada, il suo mezzo viene strisciato da uno di loro, non importa di chi sia la colpa, lui scende e prende a schiaffi il conducente.
Riksciò (si scrive così?): è il nome di un triciclo a pedali, con sedile appoggiato sulle due ruote posteriori, e copertura a soffietto che ripara i passeggeri dalla pioggia, e le donne dagli sguardi indiscreti – se hanno voglia di sollevarlo. E’ normale batterci la testa contro ad ogni asperità della strada. Ci sono milioni di riksciò a Dhaka, alcuni con regolare licenza, molti di più senza.
Piove e le strade sono allagate? I riksciò tirano avanti pedalando alla cieca anche con 50-60 centimetri d’acqua melmosa. Sciopero generale con blocco di ogni attività? Solo i riksciò tengono collegate le varie parti della città. Trasportano studenti, tondini in ferro, professionisti, massaie, masserizie, carcasse di animali macellati, sacchi di cemento, legname, capre, frigoriferi, sani, feriti e malati, e qualche volta pure defunti.
Rikscioala: è il nome dell’uomo che pedala, trasportando passeggeri e merci in cambio di una somma che si fissa di comune accordo prima di partire. Di solito affitta il triciclo, e una buona fetta di quello che ricava deve darla al proprietario.
Il rikscioala aiuta a caricare e scaricare, scende e tira a piedi quando s’impantana o l’acqua è troppo alta, fa da guida nei quartieri sconosciuti. Si prende cura dei bambini che vanno a scuola o tornano a casa su rikscio’ adattati allo scopo, chiusi come gabbie per polli, con la scritta pomposa: Schoolbus.
Vanno su strade impossibili, i salti improvvisi nelle buche sconquassano la schiena del passeggero, ma loro non si sfasciano; al massimo cade la lunga catena, ma si fa presto a tirarla su di nuovo.
Non sono un modello di disciplina… S’infilano dappertutto, svoltano all’improvviso, vanno contro mano, s’incastrano uno nell’altro in lunghe file multiple che sigillano completamente le strade, tanto che neppure i pedoni riescono a passare; parcheggiano in attesa di clienti nei punti dove intralciano meglio… Ma chi rende il traffico pericoloso, inquinato, rumoroso? Non certo i tricicli, che si comportano esattamente come le moto, le auto, le bici, i camion, gli autobus; ma con maggiore agilità ed efficacia, senza chiasso, e senza mettere a rischio la vita altrui.
I vigili urbani agitano stancamente una paletta cercando di farsi notare, ma nessuno li guarda finché non decidono che… quest’oggi gliela faccio vedere io. Allora all’autista che parcheggia in quarta fila chiede gentilmente di spostarsi appena può, al rikscioala che intralcia assesta una buona dose di bastonate. Le punizioni sono originali: sgonfiamento delle gomme, buttando via i cappucci delle valvole; perforazione degli pneumatici con un punteruolo che – come il bastone – fa parte degli strumenti del mestiere del vigile; sequestro del sedile; trenta o cinquanta flessioni inflitte al rikscioala, che deve eseguirle subito, in strada, tenendosi le orecchie con le mani in segno di vergogna…
I rikscioala contribuiscono a completare il magro bilancio dei vigili, che estorcono facilmente piccole somme per lasciarli passare dove sarebbe proibito; mentre a un autista chi ha il coraggio di chiedere qualcosa? C’è solo da augurarsi che faccia un incidente e venga fermato dalla folla inferocita, allora gli si chiedono 500 taka per lasciarlo scappare… Una bella sommetta, ma… succede raramente: di solito scappa senza dover dare la mancia al povero vigile.
La notte s’infilano ovunque, fantasmi a tre ruote senza luci per vedere ed essere visti.
Quando finalmente vanno a riposare, i rikscioala tengono ancora vivi molti angoli della città: non possono permettersi una casa in affitto, dormono con le famiglie, o in gruppetti, sotto teli di plastica lungo i marciapiedi, o su spiazzi liberi. Le luci dei fuocherelli su cui cucinano il riso hanno un che di surreale, accanto a palazzi e a fianco dello scorrere rombante dei camion che, tenuti fuori da Dhaka per tutta la giornata, di notte hanno il permesso di entrare e scorazzano ovunque, fragorosi.
Intercambiabili
La casa – un ostello femminile – sembra deserta, ma finalmente un insonnolito guardiano si fa vedere. “Vorrei parlare con Lota Gomes”. Mi guarda stranito, ripeto, se ne va. Lota è la prima di tre sorelle, papà sempliciotto, povero e sfortunato, che si toglie il pane di bocca per far studiare lei, che è la più grande, allo stimatissimo College “Holy Cross” di Dhaka. Forse solo per levarmelo di torno, gli ho promesso di coprire le spese dell’ostello, lui pensi a quelle della scuola. Prima di partire per le vacanze ho pagato la quota mensile fino ad agosto e ora, a fine settembre, vengo per rimettermi in pari. Dopo lunga attesa compare Lota, dal fondo del giardinetto. Lota? Statura, folta e lunga chioma, andatura e stazza sono di Lota, però… Non sono fisionomista, forse nei quattro mesi scorsi la mia scarsa memoria visiva è peggiorata. Lei mi guarda in silenzio mentre mi aspettavo effusioni di gioia. “Lota, come stai?” Silenzio. “Scusa, ma tu chi sei?” “Sono Sufola, la sorella di Lota. Papà non ce la faceva più a mantenerci, ha trovato un giovanotto che cercava moglie con urgenza. Toccava a lei che è la più grande, e in pochi giorni hanno combinato il matrimonio. Io ho preso il suo posto qui, papà e mamma tirano un poco il fiato.” “E Lota? E’ contenta?” “Sì, con gli suoceri si trova bene.” “Questa certamente è buona cosa, ma con il marito?” “Non lo so: tre giorni dopo il matrimonio è partito per lavorare ad Abu Dabi, torna fra tre anni.”
Scuola
Pare che si sia arrivati a far iscrivere alla scuola elementare il 100% dei bambini. Il problema è che il 21% lascia prima di arrivare alla fine. Queste le cifre pubblicate. Non ne garantisco la precisione.
Malinteso
Nella notte in cui si celebra una festa musulmana, due mesi fa, sette studenti universitari decidono di andare a contemplare il chiar di luna, su alcune piccole dune alla periferia di Dhaka. Qualcuno li vede, pensa che stiano per assaltare e derubare le case vicine, e lancia l’allarme. In un attimo centinaia di persone sono sul posto e uccidono a botte sei di loro, uno solo riesce a scappare. La polizia dice di essere arrivata sul posto a cose fatte, e tenta di farli passare per rapinatori veri, anzi per pericolosi delinquenti abituali; ma poi – grazie al fatto che alcuni giovani appartengono a famiglie in buona posizione sociale – la verità viene a galla. Ora alcuni poliziotti sono incriminati con l’accusa di aver cooperato al linciaggio.
Flashback
Ogni tanto mi tornano alla mente immagini delle mie recenti vacanze in Italia, con qualche domanda.
Ad esempio: gran caldo, abiti leggerissimi, ma pesanti stivali ai piedi. Piedi freddi per colpa di diffusi problemi circolatori nelle giovani italiane?
Oppure: esiste qualcosa di cui gli Italiani non si lamentino?
Ma anche: come mai, ogni volta che ritorno, l’Italia mi pare più bella e anche (politica a parte) più ordinata, efficiente e pulita? So di rischiare il linciaggio a scrivere questo, ma… amo il rischio.
Che non si sappia…
Un’associazione per la prevenzione e la cura dell’obesità in Bangladesh lamenta il colpevole disinteresse delle autorità, che fanno di tutto per metterli a tacere, temendo che la notizia che il problema esiste anche in Bangladesh possa mettere in qualcuno il dubbio: si tratta ancora di un paese povero, da aiutare nella lotta contro la fame? Secondo questa associazione, fra le classi ricche sono ormai comuni gli stessi guai che affliggono molti Americani: bambini rimpinzati di merendine, obesi e malsani, adulti giganteschi, palestre che si affollano, medici che non sanno che cosa consigliare…
Organi
Sembravano casi isolati, invece sta diventando chiaro che il commercio di organi umani in Bangladesh e India è diffuso, praticato anche in cliniche “rispettabili”, e con agganci in paesi noti per la qualità degli ospedali e delle cure mediche, come Singapore e Malaysia. In un sottopassaggio della strada principale che porta al centro di Dhaka, vicino all’Hotel Sonargaon, si possono leggere i poster che offrono buone ricompense a chi vende reni, fegati e altri organi umani. Il prezzo di un rene pare sia di circa 4.000 euro.