Treno

Portano con sé tanti ricordi e tante conoscenze nuove i genitori di Alessandro Marangi (Missionario Laico del PIME), ripartiti per l’Italia – soddisfatti – il 28 novembre dopo un mese trascorso con il figlio a Dinajpur e a Dhaka. La mamma si porta via anche una cicatrice sulla fronte, frutto di una litigata fra la Pajero della Casa Regionale e un treno. Guidava p. Quirico Martinelli, diretto verso un villaggio per la Messa domenicale insieme alla famiglia Marangi. Al momento di svoltare sui binari incustoditi, attraversati innumerevoli volte, ha brevemente interrotto le fluenti spiegazioni che stava dando su tutte le cose nuove che gli ospiti stavano incontrando, per avvisare prudentemente: “Date un’occhiata a sinistra, se arriva il treno”. Risposta immediata: il treno ha urtato il muso della Pajero, che ha travolto (e distrutto) un rikscio ed è scesa a scossoni giù dalla scarpata, fermandosi poco prima dell’acqua. Asse della ruota sinistra spezzato, ferita leggera alla mamma, che sedeva davanti, indenni tutti gli altri, compreso il guidatore di rikscio. Pare che p. Piero Parolari sia l’unico coadiutore in Bangladesh i cui due parroci – p. Ciceri e p. Martinelli – hanno “aggredito” un treno uscendone senza danni…

Aria di Casa

P. Govanni Gnaldi, diocesano di Città di Castello, dopo 25 anni di missione in Perù di cui 5 a Lima, è approdato fra noi come Associato e sta affrontando i primissimi passi con il bengalese. Il suo primo approccio con il Bangladesh gli ha riservato una sorpresa inaspettata: i taxi tricicli a motore tipo Piaggio e i rikscio sono proprio uguali, a Dhaka e a Lima.

Partenze

Canti, kirton (filastrocche di cantastorie), elogi, pianti, regali, abbracci, ringraziamenti, promesse – con la profusione di parole e di emozioni tipiche di questa zona del Bangladesh, hanno caratterizzato il saluto che venerdì 25 novembre la parrocchia di Narikelbari (Barisal) ha dato a P. Henry in partenza. Tutti hanno ammirato la sua fluency in bengalese (anche dialettale), la dedizione, la carica umana, la preghiera che hanno trovato in lui. Hanno ammesso di avergli pure indirizzato parolacce e maldicenze, quando non faceva a modo loro, ma lui ha perdonato tutti e, dopo aver fatto il duro, si è pure commosso. Più sobrio e pacato – ma commosso allo stesso modo – lo stile della “quasi parrocchia” di Lokhikul (Rajshahi), dove aborigeni santal, paharia e orao hanno salutato p. Ruben pure lui in partenza.
P. Giraldo Pineda Henry Ignacio e P. Oquendo Lopez Ruben Dario sono due giovani preti diocesani di Santa Fè de Antioquia, Colombia, che sono stati con noi del PIME come Associati per 8 anni. Hanno pazientemente (e rapidamente) imparato inglese, italiano e bengalese, sono impegnati con entusiasmo nella missione in Bangladesh, ci siamo sentiti perfettamente a nostro agio con loro e loro con noi, hanno lasciato ottima impressione in tutti. Ora il “contratto” è terminato, ripartono e trascorreranno il Natale a casa. Hanno promesso che cercheranno di tornare fra noi, dopo un periodo in diocesi, e di animare altri ad offrire lo stesso servizio; ce lo auguriamo sinceramente!

Dote

La sposa, Farjana Yasmin, fresca di laurea, bardata e ingioiellata come la Regina di Saba, siede su un’alta pedana davanti a tutti gli invitati che passano a salutarla e a congratularsi per il matrimonio appena celebrato con il giovanotto che le siede accanto. E’ emozionata, ma non tanto da non accorgersi che alcuni parenti di lui sono inquieti e stanno interpellando i suoi parenti: “Dove sono i regali?” Dopo un po’ d’imbarazzo, la sorella maggiore risponde: “Vi diamo nostra sorella, questo è il regalo e non c’è altro”. Il malcontento diventa evidente, e una zia dello sposo se ne fa portavoce: “Teniamo la sposa, ma se entro cinque anni non ci date un televisore a colori e un frigorifero, ve la rispediamo a casa”. Farjana si rivolge al marito: “Hai sentito tua zia?” Il novello sposo non ha dubbi: “Sì, sono perfettamente d’accordo”. Farjana Jasmin pure non ha dubbi: scende immediatamente dal trono, si apparta, si toglie gli abiti matrimoniali e ritorna con un normale sari da giorni feriali: “Non voglio stare con una famiglia che pretende una dote, e piuttosto che vivere con un marito del genere mi ammazzo”. La famiglia tenta di persuaderla, ma lei riesce a persuadere loro. Fine della festa, tutti a casa, è in corso la causa per il divorzio. La BBC intervista Farjana, i gionali ne parlano. Un colpo contro la piaga della dote che devasta l’economia delle famiglie, riduce la moglie a oggetto di scambio, e causa l’assassinio di alcune centinaia di spose all’anno.

Pelle

Il 7 novembre scorso, nel giorno della festa Id Kurbani, che ricorda il sacrificio di Abramo, circa 8 milioni di buoi e capre sono stati immolati. Le pelli, in gran parte donate alle moschee, vengono freneticamente salate e poi messe sul mercato per la concia. Secondo i calcoli di qualcuno si tratterebbe di 250 milioni di piedi quadrati (un piede = circa 33 cm). Fra i principali acquirenti ci sono Italia, Cina, Taiwan, Giappone, Hong Kong.

Delusione

Molti ci speravano proprio! Quattro anni fa una “Fondazione” Svizzera, aveva lanciato una gara mondiale per aggiornare le famose 7 meraviglie del mondo e sceglierne 7 nuove (non chiedetemi a che cosa serva questa iniziativa…). Entrarono in gara 440 luoghi considerati di straordinaria bellezza, in 220 paesi. Per l’Italia concorreva il Vesuvio, per il Bangladesh la spiaggia del Cox Bazar (dicono che sia la più lunga del mondo), e il Sundorbon, area di giungla e foreste di mangrovia a cavallo fra Bangladesh sud-occidentale e India, dove vivono ancora le famose tigri del Bengala e altra fauna ormai rara. Una prima selezione riduce il numero dei concorrenti a 77, e una successiva a 28. La corsa finale a colpi di voti inizia il 21 luglio 2009, e da allora ditte, organismi governativi, compagnie di telecomunicazioni hanno martellato il pubblico invitando a votare per SMS “quante volte si vuole”. Chiunque poteva votare a volontà, anche 100 volte e anche se non era mai stato nel Sundorbon né mai ha visto gli altri luoghi in gara. Ma i giornali del 12 novembre hanno tristemente annunciato che il Sundorbon non ce l’ha fatta, niente gloria dei magnifici 7. E neppure il Vesuvio…

Naso

La lunga colonna di mezzi che blocca la strada costringe l’autobus a fermarsi dove la scarpata, per un centinaio di metri, è ricoperta da uno spesso strato di immondizia dall’odore greve, insopportabile. I passeggeri sbuffano, fanno segni di disgusto, si tappano il naso, urlano di accendere i ventilatori. Due donne, un ragazzo e due bambini a piedi scalzi sentono il vociare e alzano lo sguardo verso l’autobus, poi riprendono a rivoltare a mani nude, centimetro per centimetro, l’immondezza in mezzo a cui si trovano, alla ricerca di pochi centimetri quadrati di plastica, barattoli, cocci che pongono accuratamente in diversi sacchi. Nessuno di loro si tura il naso.

Com’è possibile?

“Come mai questo clima di sospetto? E’ così da sempre o c’è una situazione particolare adesso?” chiede Silvia, mentre Mario commenta: “Che notizia terribile! Ma questo sprezzo per la vita umana è una cosa eccezionale, oppure è diffuso in larghe frange della società bengalese?” Entrambi si riferiscono ad una scheggia intitolata “Malinteso” dello scorso ottobre. Raccontava di un gruppo di sette giovani che una notte, in una zona periferica di Dhaka, la popolazione ha ritenuto briganti, e perciò ha assalito linciandone sei. L’unico sopravvissuto è riuscito a far emergere che si trattava di studenti pacificamente andati a contemplare la luna sulla riva del fiume, e che la polizia è stata complice del massacro.
Non mi è facile rispondere. Tra la gente si dice che in questi ultimi tempi l’insicurezza cresce per l’aumento di furti, assalti a individui, famiglie, gruppi di case nei villaggi, taglieggiamenti, punizioni e vendette mafiose. Le forze dell’ordine sono inefficienti e corrotte, un loro intervento spesso rende la situazione peggiore, e comporta sempre un grosso onere economico. L’attuale governo era stato preceduto da due anni di regime semi dittatoriale, che aveva usato la mano pesante con le illegalità. Con il ritorno del governo eletto la malavita ha rialzato la cresta, molti criminali fuggiti all’estero sono rientrati, non pochi per rimettersi a servizio della politica.
L’insicurezza di cui parla Silvia sembra aumenti periodicamente, specialmente quando il governo in carica inizia a logorarsi, e l’opposizione torna all’attacco con raffiche di manifestazioni e scioperi. 
Quanto allo “sprezzo per la vita”, posso dire che sono quasi quotidiane le notizie di linciaggi di veri o presunti ladri, di maltrattamenti e spesso uccisione di giovani domestiche, di pestaggio e uccisioni per lo più con il fuoco di giovani spose per ragioni di dote, di uso dell’acido per sfigurare la ragazza che resiste al volere del maschio. Ci sono frequenti scontri fra centinaia di persone per dispute su terre in zone rurali, regolamenti di conti per il controllo di mercati, rapimenti operati “alla buona” per avere riscatti, che spesso terminano con la morte del rapito. Nelle zone del delta i pescatori lavorano sotto la continua minaccia dei pirati, che rapiscono, derubano e spesso uccidono anche molte persone insieme. Il commercio di organi per trapianti, o peggio il rapimento per prelevare organi, o per mettere in vendita schiavi del sesso, o del lavoro, sono un altro segnale che la vita vale poco. Lo stesso modo di guidare camion e autobus, così come l’alto rischio delle condizioni di lavoro nell’edilizia, è segno di scarsa attenzione alla vita. E’ normale, dopo un incidente, fuggire oppure, se l’autista viene bloccato, pestarlo selvaggiamente, a volte fino a ucciderlo. La politica ricorre spesso alla violenza, con morti e feriti, anche fra gruppi dello stesso partito, per sostenere un candidato, o per imporre il controllo di certe zone.
Sì, di violenza se ne trova tanta, e il senso del valore della vita umana sembra scarso.
Ogni tipo di violenza ha forse una motivazione diversa: un radicato maschilismo; il rapido diffondersi di una ricchezza sproporzionata alle abitudini di una larga fetta della popolazione… la scarsità di terre e il loro prezzo crescente rendono feroci le dispute per la proprietà; la mancanza di tradizione e formazione democratica lasciano spazio a politici che trovano normale usare la forza, i soldi, l’inganno per raggiungere e mantenere il potere.
Eppure rimango convinto che si tratti, come dice Mario, di “larghe frange” della società bengalese, mentre la maggioranza della popolazione è fondamentalmente pacifica e buona.