Due robusti giovani chiacchierano tranquillamente tenendo in braccio Martin, che per un incidente è rimasto paralizzato. Muove solo le braccia e la testa, non può sedersi, vive sdraiato su una rudimentale lettiga a rotelle. Sono preoccupato: ce la faranno? Sul grosso autobus parcheggiato nella stradetta altri giovani armeggiano, provano, tirano, spostano, portano su mattoni recuperati da qualche parte, corde… Ci siamo, ancora una volta l’arte di arrangiarsi ha vinto e la barella è fissata in modo che a me pare terribilmente precario, ma invece reggerà a due giorni di viaggi, sarà scaricata e ricaricata molte volte, senza inconvenienti. Martin viene sdraiato, ora si caricano carrozzelle e grucce varie, con ragazzi e ragazze che si sistemano allegramente sui sedili. Partiamo per un picnic di lusso da Rajshahi, tappa a Bonpara per vedere la nuova chiesa e il seminario e pranzare, poi a Zirani, visita al nuovo centro per lavoratori e pernottamento (sul pavimento). Il giorno dopo a Dhaka, con il pezzo forte: il Planetarium, seguito dalla passeggiata al parco, il pranzo nella parrocchia di Tejgaon con il simpaticissimo parroco p. Gabriel Corraya che serve i ragazzi a tavola, e sulla via del ritorno una tappa ancora al Monumento dell’indipendenza del Bangladesh. Le mie preoccupazioni e tensioni si sciolgono lentamente, vedendo come i ragazzi sono organizzati, si aiutano a vicenda, e come suor Dipika, che sembra perennemente distratta, segue invece tutto con grande discrezione e saggezza: qualche indicazione quasi sotto voce, e tutto fila liscio.
Penso a P. Mariano Ponzinibbi, che ora certo si diverte con noi in cielo. Aveva messo le basi di questo ostello – ora chiamato Snehonir (cioè “Casa dell’affetto”), raccogliendo ad uno ad uno bimbi e bimbe con handicap vari, e altri poveri o orfani ma senza handicap, per non creare un ghetto, e insegnare a stare insieme, aiutarsi, aprirsi una strada nella vita nonostante le avversità. Martin, sulla sua lettiga, ce l’ha fatta, ora vive con la mamma e si guadagna il riso lavorando come contabile. Altri stanno arrivando, Flora ha preso il diploma e sta cercando lavoro… Ma tutti sentono che questa è la loro famiglia, tornano appena possono, continuano a condividere.
Due giorni intensissimi. Pensavo: la sera del secondo giorno, appena in autobus per tornare crolleranno tutti addormentati. Macché! Sui sedili muovendo spalle e braccia quando le gambe non reggono, o nel corridoio, canti e danze scatenati per tutto il percorso ai ritmi infernali delle moderne danze indiane, fino all’arrivo alle 11 di sera.
Una grande gioia per loro – e per me.
Non conosco i paesaggi del Bangladesc, credo di non aver minimamente idea di cosa voglia dire in quel paese condurre un gruppo di ragazzi disabili a fare un “VIAGGIO”. Leggendo questo racconto ho immaginato il paesaggio, il trambusto, la gioia dei ragazzi (c’era anche Anita?),Sr.Dipika e per un secondo ho pensato “Mi sarebbe piacciuto esserci”, non ne sarei capace! grazie Padre Cagnasso. Siamo vicini a tutti voi con la preghiera e con affetto. Ciao Snehonir