SMS

Eccellenza Reverendissima, Monsignor Tal dei Tali, dell’Istituto della Santa Croce, Dottore in Filosofia e Licenziato in Teologia, Arcivescovo di ***; Eccellenza Reverendissima, Monsignor Un altro, dell’Istituto degli Oblati, Dottore in Diritto Canonico, Vescovo di ***; Eccellenza Reverendissima, Monsignor Chissachi, Dottore in Sacra Scrittura e Diritto, Vescovo Emerito di *** ; Eminentissimo Dr. Talaltro, Prefetto della città di ***; Reverendissimi Padri presenti; Reverendissimi Fratelli, Reverendissime Suore, Amatissimi Signori tutti, fratelli e sorelle… Oggi è giorno di immensa, indicibile gioia! Oggi siamo qui riuniti in questa giornata splendida per celebrare i 25 anni della fondazione della Scuola S. Antonio da Padova, creata con instancabile zelo dall’indimenticabile reverendissima Suor *** delle Ancelle di Gesù, che ha dato un’indelebile impronta del suo genio e del suo servizio diuturno a migliaia di bambini. La nostra felicità è resa, se possibile, ancora più grande dall’onorevole presenza di voi, Eccellenza Reverendissima (ripetere tutto, come sopra) che nonostante i vostri innumerevoli impegni avete dedicato il vostro tempo prezioso a questa umilissima iniziativa per dare gloria al lavoro dell’istruzione in tutto il Paese, e praticamente in tutto il mondo. Sono lieto in questa circostanza di ringraziare Dio e tutti voi, e anche il Signor presentatore che mi ha invitato a parlare, per esprimere la mia emozione e la mia riconoscenza, e il mio  augurio.
Detto questo, l’oratore si siede, un sobrio applauso risveglia il pubblico dal breve sonno, viene presentato un secondo oratore che dice tutto daccapo senza omettere nulla e nessuno (sarebbe grave!), poi il terzo, il quarto, il quinto… almeno otto o nove, se si vuol fare una celebrazione seria.
Ora che sono superiore regionale, per quanto tenti di sfuggire, ogni tanto mi tocca essere uno degli (almeno) otto o nove oratori. Alla giornata di studio delle infermiere di *** mi preparo mentalmente con molta cura, respiro profondo, e quando vado sul palco… ometto tutto. Non ce la faccio, mi sembra di prenderli in giro – e sinceramente non lo voglio. Dico quattro cosette, che l’incontro è stato interessante, che spero ce ne saranno altri, che avrei qualche tema da suggerire – e mi siedo.
Niente applausi di rito: non c’è stato tempo per addormentarsi. Sorpresa, silenzio imbarazzato… tutto qui? Già finito? Sorrisetti, impercettibile respiro di sollievo per la brevità… Il presentatore s’arrabatta cincischiando un momento con il filo del microfono, poi se la cava da gran maestro: “Ringrazio P.Franco, ci ha ricordato che siamo nell’era degli SMS…”.

Pasqua

Per tradizione, il giorno dopo Pasqua il Vescovo di Dinajpur invita le autorità cittadine ad un rinfresco. I partecipanti non sono molti. Nonostante l’atmosfera inevitabilmente un po’ formale, quest’anno i brevi interventi, un canto a tema pasquale, una danza e il momento del te, hanno fatto respirare un clima di semplicità e sincerità. P., Marcus Murmu ha spiegato agli invitati, in gran parte musulmani, il senso dei riti e delle tradizioni, dalle ceneri del Mercoledì al tempo quaresimale, dagli oli consacrati il Giovedì Santo alle Via Crucis, e alla veglia pasquale. Il Prefetto, musulmano, ha ripreso il tema della risurrezione, spiegando che la fede islamica è diversa, ma esprimendo il suo rispetto, e la sua convinzione che tutti i gruppi religiosi hanno il diritto di vivere e anche di proporre positivamente la loro fede: “Noi tutti vogliamo la risurrezione morale del Bangladesh”. Il Vescovo ha parlato del servizio della Chiesa a tutta la società, specialmente in campo educativo.- In tanti, pensavamo che, stando alle notizie che arrivano da altri Paesi, noi in Bangladesh abbiamo un’invidiabile esperienza di convivenza pacifica e positiva.

Naida

Nove anni circa, viveva fra le baracche di Notun Bazar, a Dhaka, raccattando carta da rivendere per mangiare, mentre il papà sudava sul rikscia. Niente scuola, finché la mamma è entrata nel piccolo laboratorio di cucito  della organizzazione di Dino e Rotna, che dà lavoro alle donne più povere del quartiere, e lei è stata accolta nella scuoletta precaria, affollata ora da oltre 100 bimbe e bimbi che vivevano nelle sue condizioni. Lì ha conosciuto la gioia di imparare a leggere e scrivere, cantare e danzare, stare insieme in pace, e anche di avere ogni giorno un pasto abbondante di riso e verdure.
Andata al villaggio per una vacanza di tre giorni, il freddo di febbraio l’ha fatta avvicinare troppo al fuoco e il vestitino s’è incendiato. I bimbi attorno a lei sono scappati urlando, e solo dopo un tempo troppo lungo gli adulti l’hanno raggiunta per spegnerlo. Poche cure dal “medico” di villaggio, troppa la spesa per portarla all’ospedale, finché Dino ha organizzato una colletta e l’ha ricoverata al Medical College di Dhaka in uno stanzone sporco strapieno di ustionati. Tante settimane di cure e sofferenze, ieri sera è morta. Dino me lo ha detto piangendo, e io pensavo a quanti incendi devastano improvvisamente, quasi ogni giorno, le baracche degli slum, incendi casuali o dolosi, per cacciare gli abitanti altrove; a quante Naida ne rimangono coinvolte,  morendo perché non ci sono ambienti di cura adeguati, o non ci sono i soldi.

Protesta

In una scheggia intitolata “Paolo di Monte Siro” (8.2.12), parlavo dell’immenso lavoro svolto da p. Paolo Ciceri a Rajshahi, per oltre venti anni, e del suo recente trasferimento che aveva suscitato malumori. Successivamente, la faccenda ha preso una piega brutta, con manifestazioni di protesta davanti alla cattedrale, minacce, insulti al Vescovo e ai preti: “Non vogliamo sentire storie, vogliamo P. Paolo!” Alla fine il Vescovo ha deciso di chiudere la chiesa, con tutte le cappelle dei villaggi della parrocchia, e di sospendere ogni attività pastorale. Tutto fermo per oltre un mese e mezzo, finché, grazie alla gran fatica di una dozzina di uomini di buona volontà, le teste delle persone coinvolte si sono raffreddate un poco, e ai preti è passata la paura. Domenica 25 marzo, solenne riapertura: prima della Messa alcuni di quelli che avevano soffiato sul fuoco riconoscono di aver sbagliato e chiedono scusa davanti a tutta l’assemblea: un esempio toccante di come si possa prendere sul serio le proprie responsabilità, e convertirsi. Una umiltà che non ho visto in noi preti.

Viaggiare

Sei ore di viaggio in autobus, seduti accanto, senza impegni: ottima occasione – pensavo –  per una lunga conversazione dopo tanti anni che non ci si incontrava. In realtà, per 6 ore ci siamo gridati reciprocamente nell’orecchio frasi smozzicate nei brevi intervalli concessi dal continuo urlo del clacson, accompagnato da canzonette a tutto volume.

Sorpresa

Finalmente era riuscito a far mettere una pompa a mano proprio sul suo terreno a fianco della casa. L’acqua, trovata ad un livello insolitamente profondo, era un po’ scarsa ma bastava, evitando alla moglie di andare a rifornirsi dai vicini non sempre gentili. Poi l’acqua incomincia ad avere uno strano odore, viene irregolarmente nonostante le robuste pompate, pare esaurirsi… finché si ferma del tutto. Il contadino non vuole crederci, ma fa una prova: mette un fiammifero acceso sulla bocca della pompa, e si accende un fuoco. Al posto dell’acqua esce gas metano. Senza scomporsi, toglie la pompa e sistema un rudimentale aggeggio per regolare il gas. Ora sua moglie cucina il riso sulla pompa dell’acqua, ed è tornata a prender l’acqua dai vicini scortesi. Mentre una società petrolifera sta iniziando ricerche di gas nella zona.

Delusione

Nell’ultimo anno di teologia, 16 giovani erano ormai in dirittura d’arrivo, a pochi mesi dall’ordinazione diaconale. Nel giro di un mese si sono ridotti a 7. Il fattaccio che ha falcidiato il gruppo è stata una festicciola con uso di alcoolici proprio il giorno della consacrazione del nuovo vescovo di Dinajpur, e poi una seconda volta alla fine del mese di ritiro spirituale; ma soprattutto l’ostinata negazione quando il rettore, insospettito, ha indagato su quello che era avvenuto. Tristezza in tutti, ma anche la speranza che quasi tutti potranno “recuperare”, e che l’episodio costituisca uno scossone non solo per le persone coinvolte, ma anche per i seminaristi troppo sicuri di sé, e per i preti intiepiditi.

Namaj

Salat è, per i Musulmani, la preghiera per antonomasia, che Allah ha prescritto di compiere cinque volte al giorno, ogni giorno, secondo un rituale molto particolareggiato e sempre uguale. Anche se nel richiamo alla preghiera, che pure cinque volte al giorno echeggia dal minareto, si usa l’arabo, e quindi si dice salat, nel linguaggio corrente i Musulmani bengalesi usano il termine namaj, che penso sia di origine persiana. Su autobus, autorikscia, camion, sui vetri delle auto si stanno moltiplicando gli inviti a questa regola che sta fra le cinque fondamentali della pratica dell’islam. “Il namaj è la porta del Cielo”, “Ricorda di praticare il namaj“… L’invito più recente che ho visto: “Non dire al namaj: ‘Devo lavorare’, piuttosto dì al lavoro: ‘E’ l’ora del namaj‘.”