Una giovane coppia di aborigeni, finiti gli studi superiori, stanca della vita a Dhaka e con tanta voglia di tornare alla campagna, prende una decisione coraggiosa: con un po’ di soldi messi da parte, e qualche prestito, avvia ad un crocicchio vicino al villaggio un minuscolo negozio con un computer, un aggeggio per copiare musica sulle sim card, un contratto flexiload per ricaricare i cellulari, una piccola fotocopiatrice e qualche altra cosetta. Apre trepidante con una solenne benedizione del parroco, e gli amici che incoraggiano, e poi… successone! Felici gli studenti delle scuole della zona che possono fotocopiare capitoli interi e risparmiare sui libri; felici i vicini negozietti di tè, perché la numerosa clientela fa spesso tappa anche da loro; felici i contadini perché possono finalmente vedere che cosa è un computer e quali meraviglie sa fare; ma soprattutto stupiti e fieri tutti gli aborigeni della zona: “Allora anche noi possiamo tenere un negozio, non solo i bengalesi musulmani!” Effetto a catena: qualcun altro si sta lanciando in imprese del genere.
Archivio mensile:Novembre 2012
Serata
Sto per andare in ufficio a preparare l’omelia di domani, domenica, e hops! via la corrente. A tentoni recupero una torcia elettrica e salgo sul terrazzo immerso nel buio, avvolto dal frusciare di grandi alberi di mango e lichu, con mogani ed eucalipti che nascondono una fetta di luna. E’ una stagione incantevole, con serate fresche e cielo limpidissimo. Sembra quasi di toccare le stelle, mentre da lontano arrivano le risa e gli strilli dei bambini dell’ostello parrocchiale che giocano, e il rullare dei grandi tamburi su cui i ragazzi della scuola tecnica si divertono ogni sabato sera. Una grande pace piena di affetti. Per una volta, viva la scadente distribuzione di energia elettrica…
Informazioni
Suor Rose Bernard, quasi ottantenne canadese della congregazione della Santa Croce, dopo una vita missionaria attivissima si ritira su una collinetta presso Chittagong, vive in due stanze dove prega, coltiva fiori, guarda scorrere il tempo. Alcuni giovani vanno a trovarla per sentire come va, e ascoltano affascinati i suoi racconti. “Suor Bernard, ma dove tiene il televisore?” “Non ce l’ho”. “Avrà almeno la radio! Non sente le notizie?” “No”. Alla loro perplessità espressa con un silenzio imbarazzato, la Suora risponde con un sorriso che li prende in giro: “Ogni giorno succedono almeno centomila avvenimenti, a dir poco. Alcune persone ne scelgono, a loro criterio, 5 o 6, e ne danno notizia selezionando, tra le molte cose che di ogni avvenimento potrebbero dire, quelle che interessano a loro. Voi li ascoltate e siete informati; io no. C’è una grande differenza?”
Guerre
Un amico mi cita una frase che circola in Italia: le persone che non hanno religione non hanno mai fatto guerre di religione. Non può che essere vero, ma questa ovvietà nasconde un’insidia: la si beve e mette in testa l’idea che sono le religioni a creare le guerre. Già, dimenticando nazismo, comunismo e altri non piccoli movimenti della storia che pacifici e concilianti non lo sono stati davvero. Che bello, se ciascuno guardasse alle guerre che fa nascere lui invece di accusare solo gli altri!
Rapiti
S’è saputo che in questi ultimi mesi ragazzi della popolazione Tripura, del sud, e anche qualche bambina sono stati forzatamente “convertiti” all’islam. Il metodo? Alcuni Tripura girano nei villaggi più poveri, accostano famiglie numerose e si fanno dare soldi per accompagnare uno o più figli (dai 6 ai 15 anni) assicurando che li faranno ammettere in qualche ostello missionario, dove potranno studiare. Portano poi i ragazzi in madrasse (scuole coraniche) molto lontane, quasi sempre nell’area di Dhaka, e si fanno dare soldi per affidarli a loro. Non hanno mentito: sono scuole fondate e gestite da missionari musulmani provenienti e finanziati dai Paesi del Golfo. Le nuove reclute vengono immediatamente vestite in stile arabo-musulmano, intruppate, istruite nelle preghiere e tutto il resto. Non sanno dove si trovano, non hanno mezzi, hanno paura, finiscono per adattarsi. Ma qualcuno dei più grandi, avvicinandosi il giorno festoso della circoncisione, ce l’ha fatta a scappare, ha trovato aiuto ed è tornato a casa mettendo in allarme. Le ricerche organizzate da altri Tripura e persone di buona volontà non sono facili, perché hanno ben pochi indizi su cui basarsi, e perché questo tipo di madrasse sono molto chiuse e sospettose di chiunque le accosti. Ma sono oltre 100 i ragazzi recuperati finora, e rimane la domanda: quanti sono ancora dispersi, inghiottiti in questo mare limaccioso di fondamentalismo?
Facebook, sito (così non si chiama, ma mi capite: non conosco il termine esatto) di un giovane buddista di una cittadina del Cittagong Hill Tracts. Un suo giovane conoscente musulmano quasi analfabeta che gestisce un negozietto di riparazioni computer va a curiosarvi, e trova frasi e immagini che ritiene offensive nei confronti del Profeta. Scatta il passaparola, e il negozietto diventa un fervoroso centro di indignazione religiosa e politica. Il buddista fiuta il pericolo e scappa con moglie e figlio, ma nel giro di pochissimo tempo centinaia di giovinastri che si rifanno a partiti filoislamici, e gruppi di sbandati Rohingya, mettono a ferro e fuoco almeno 4 templi buddisti, 3 templi hindu e una quarantina di case di famiglie buddiste. La gente fugge, altri facinorosi arrivano anche da lontano, le forze dell’ordine rimangono passive, si limitano ad arrestare la mamma e la zia del buddista “bestemmiatore” e le tengono in carcere un mese senza accuse, i politici tacciono. Poi inizia la reazione di associazioni civili, organizzazioni, partiti politici. La maggioranza accusa l’opposizione di essere la causa dei disordini, l’opposizione accusa la maggioranza di opprimere le minoranze. Alcuni giornalisti indagano per conto loro e scoprono che il testo messo su facebook in realtà non era del buddista, ma era stato inserito apposta dal giovane musulmano – ora ricercato con mandato di cattura. Ci sono manifestazioni e giornate di riflessione in scuole e università, anche raccolte di fondi per risarcire i danni. Intanto però si riaccende il furore dei birmani buddisti in Myanmar, contro le minoranze islamiche Rohingya, che fuggono in Bangladesh. Specularmente, in Myanmar i buddisti opprimono i musulmani e in Bangladesh i musulmani opprimono i buddisti – come in passato i massacri reciproci di hindu e musulmani hanno più volte insanguinato le regioni di confine fra India e Pakistan.
Riconoscenza
Mons. Sebastian, vescovo di Dinajpur, e io ci muoviamo un po’ a disagio nei grandi edifici vuoti del vecchio monastero fiorentino. Amplissimi spazi per la scuola, per le suore, per l’ostello universitario… tutto verrà ristrutturato e gestito dalla diocesi, ma per ora ci stanno solo otto o nove suore ultraottantenni, ultime di una congregazione fondata esattamente 300 anni fa. L’accoglienza però è talmente gioiosa che ci rimette a nostro agio. Le anziane sorelle sono contentissime di vederci, e pure ansiose di vedere in faccia il nuovo Vescovo: “Mi raccomando, non ce le porti via! Sono bravissime, non possiamo fare a meno di loro…”. Anche le due giovani suore bengalesi che sono state mandate qui dalla Congregazione diocesana di Dinajpur “Santi Rani” si dicono contente, e sembrano sincere; dicono che il lavoro non manca, ma ancora di più valgono le attenzioni, le coccole e il buon esempio di queste loro Sorelle di molto maggiori.
Circa 25 anni fa le suore su proposta del Cardinale di Firenze, avevano accolto fra loro due suore Santi Rani bengalesi che passo passo studiarono la lingua, poi diedero gli esami per equiparare i loro studi a quelli italiani, infine si laurearono in medicina per tornare in Bangladesh a praticare come medici. Ora le Santi Rani mostrano la loro riconoscenza dando questo aiuto: un poco di giovinezza ad accompagnare la Congregazione che si avvicina alla chiusura.