In un incontro con alcune giovani suore bangladeshi, non ricordo attraverso quale girovagare del discorso, mi capita di dir loro che “ai miei tempi”, cioè “tanti e tanti anni fa”, poco dopo l’inizio del mio cammino di prete nel 1969, mi dovetti confrontare con uno slogan che circolava negli ambienti allora un po’ turbolenti della Chiesa e del mondo missionario: “Non si predica il Vangelo a chi ha la pancia vuota.” Stupore assoluto delle ascoltatrici, tutte provenienti da famiglie molto povere. Spiego con pazienza il testo e offro una dotta ambientazione storica, dicendo che si voleva “contestare” il modo tradizionale di fare missione che – secondo chi usava lo slogan – era “spiritualista” e non teneva conto del dovere di attuare giustizia, e di pensare allo “sviluppo” che libera dalla fame, prima di fare proposte spirituali. Dopo molto mio impegno linguistico e logico, una sorellina mi conforta: “Padre Franco, ho capito quello che vuol dirci.” E mi confessa: “Ma non capisco come si possa dire che prima di annunciare Gesù a uno che soffre bisogna guarirlo: ma non è Lui che guarisce?”
Caro padre Franco,
sono un po’ più giovane di te, ma non troppo, e ricordo bene lo “spirito del ’68”, quello che, giusto per fare un esempio, criticava madre Teresa perché “se li fa lei, quei servizi, è un alibi per lo stato che dovrebbe occuparsene lui”.
Non vorrei fare di ogni erba un fascio, ma devo dire che ho sempre avuto l’impressione che la maggior parte delle persone che “prima risolviamo i problemi materiali, poi penseremo ad annunciare il Vangelo”, a differenza delle tue suorine, non provenissero da famiglie indigenti… e che il Vangelo i poveri lo capiscano benissimo anche senza avere la pancia piena (mi viene in mente una frase di Bonhoeffer, “La carne sazia non prega”).
Del resto, anche da Gesù tutti si aspettavano grandi rivoluzioni politiche, ufficialmente lo hanno ucciso per quello, ma lui non ha mai avuto intenzione di farle…
Pace e Bene!
Mario