Amava immensamente le montagne, e raccontava con l’entusiasmo di un bambino le sue numerose scalate sulle Alpi, e in Nepal. Amava il cinema, soprattutto quello francese, ma non ne parlava mai. Amava la musica. Ma la sua vita era dare serenità alla gente più umile, povera, trascurata. Quando lo conobbi, nei primi anni ’80, qui in Bangladesh, era arrivato da poco, con il suo diploma in leprologia. Mi disse che era nella missione di Rohanpur, e poteva fare poco: aiutava la suora a curare gli ammalati di lebbra che venivano al dispensario: “Capisco ancora poco la lingua. Un mese fa ho medicato una piaga di un uomo e non ci siamo detti nulla. L’altro giorno sono andato al bazar, e mentre giravo l’ho visto seduto fra la gente, chiedeva l’elemosina. Ci siamo guardati, non mi ha chiesto nulla, ma mi ha riconosciuto e mi ha fatto un sorriso!” Ecco, questa era la ricompensa che rendeva felice Achille Formiga, laico associato al PIME: un povero che riconoscendolo gli sorrideva.
E’ morto a 83 anni di età, a Milano, ed è stato sepolto a Courmayeur, accanto ai genitori e ad una sorella: in mezzo alle montagne che sempre ricordava vivendo qui nelle pianure bengalesi, e a cui aveva rinunciato in cambio del sorriso di un povero.
Archivio mensile:Marzo 2015
Odio
I commenti alla situazione politica del Bangladesh si fanno sempre più scoraggiati e laconici. Non si sa più che dire, e non si può neppur più ripetere che “così non si va avanti a lungo” perché ormai si va avanti da 2 mesi esatti (5 gennaio – 5 marzo) e non ci sono cenni che la faccenda si risolva. Fra le poche osservazioni che ho raccolto, ecco quella di un medico di Dhaka: “Apparentemente stiamo attraversando una delle molte, abituali fasi di crisi a cui il Bangladesh è abituato. Ma c’è qualcosa di diverso, questa volta. La lotta è diventata più cattiva, si sta seminando odio a piene mani. Nei villaggi, ma anche in città, la lotta politica non distruggeva i rapporti umani, a volte anche di amicizia fra membri di partiti avversari. Ora però le bottiglie incendiarie che rovinano la gente vanno ben oltre le scazzottature cui eravamo abituati. Il tessuto sociale si sta sfilacciando, e chissà come si potrà ricostruire…”
Settantaquattro
Si chiamava suor Pia Fernandes, originaria dell’India. Come suora di “Maria Bambina” ha insegnato nelle elementari ad innumerevoli bambini, fra cui anche una marmocchietta di nome Khaleda, che poi sposò il generale Ziaur Rahman, ne divenne la vedova, lo sostituì come presidente del partito nazionalista BNP, fu fatta primo ministro e ora capeggia la coalizione di opposizione. Di lei suor Pia diceva: “La ricordo bene, era una bambina buona e simpatica… ma capiva poco.” Religiosa fedelissima, amica di molti missionari (ai quali regalava apprezzatissimi vasetti di marmellata di pesche preparata da lei), è morta l’anno scorso pochi mesi prima di compiere 100 anni di età. Dell’immaginetta stampata a suo ricordo ho notato una riga: “Missionary Life: 74 years”. Settantaquattro anni di vita missionaria!
Ingabbiati
Collinosa, ancora ricca di boschi, l’area chiamata “Chittagong Hill Tracts” sta sulla fascia sud est del Bangladesh, al confine con India e Myanmar. La abitano da tempo immemorabile una ventina di gruppi aborigeni diversi, con un’interessante varietà di lingue, culture, religioni. Dalla nascita del Pakistan (1947) è diventata oggetto del desiderio di molti. Bengalesi in cerca di nuove terre da occupare, investitori, predicatori, avventurieri, profughi, commercianti di esseri umani, fondamentalisti. La costruzione della diga di Kaptai, con la creazione di un grande lago artificiale con impianti idroelettrici ha dislocato centinaia di migliaia di persone, in parte ancora non sistemate. Ci sono stati venti lunghi anni di guerriglia contro il governo che non riconosceva gli aborigeni e che aveva come politica la rapida “bengalesizzazione” (e conseguente islamizzazione) della regione. Nel 1997 si firmò un trattato di pace con il disarmo dei guerriglieri e la promessa della demilitarizzazione della zona. Le promesse non sono state mantenute; ancora oggi la zona pullula di militari e forze di polizia di vario tipo. Scontri fra bengalesi e aborigeni sono frequenti, e sempre con lo stesso risultato: altre terre occupate, altre ingiustizie senza punizioni, stupri, altra paura che si diffonde. L’apertura di alcuni “Medical College”, presentati dal governo come segno del suo interesse per gli aborigeni, è vista da questi come un nuovo trucco per far entrare nell’area personale universitario e studenti provenienti da altre zone del Bangladesh.
Per gli stranieri la visita agli Hill Tracts richiedeva permessi speciali, e avveniva sotto stretto controllo. Dal gennaio scorso, altro giro di vite. Non basta più il permesso delle autorità locali. Precisando nei dettagli dove si va, perché, con chi, bisogna rivolgersi “almeno un mese prima” al ministero degli interni, che chiederà un rapporto ai servizi segreti. Inoltre, stranieri e bangladeshi, chiunque provenga da altre aree, potrà visitare villaggi e parlare con aborigeni solo in presenza di forze di polizia o rappresentanti dell’amministrazione. Credevo superate le restrizioni di dieci anni fa, quando le mie prime visite all’ostello di Tong Khyang Para si effettuavano sotto scorta di ben cinque poliziotti, invece pare che sarà peggio. Inoltre, le ONG che operano in zona dovranno presentare rapporti e giustificare le loro spese in maniera più stringente e dettagliata di come relazionano il lavoro in altre zone.
Il provvedimento, emanato il 7 gennaio, per alcuni giorni è stato accolto con un preoccupante silenzio. Ora per fortuna si fanno sentire reazioni e critiche molto vive di giornali e organizzazioni per i diritti civili. Qualche pezzo grosso ha già detto che ci si potrà ripensare… Speriamo.