Mantello

Una giovane donna indù, madre di due figli, che lavora in una fabbrica di abiti, da qualche anno viene a Messa saltuariamente. Le piace tanto il Vangelo, e ascolta le omelie con grande attenzione. Due settimane fa l’ho rivista, stanca. Mi parla dei turni di lavoro sfiancanti che è costretta a seguire, e del rammarico di non poter venire a Messa più spesso, poi con imbarazzo mi chiede il permesso di dirmi qualche cosa che “Ti dispiacerà. Ma non riesco più a tenerla per me…” Permesso accordato… “Padre, so che posso partecipare alla Messa ma non posso ricevere il piccolo pane bianco che i cristiani mangiano. Non mi faccio mai avanti quando viene distribuito. Però… quattro anni fa ero molto ammalata, e non trovavo la cura per guarire. Ho sentito dentro di me che se avessi preso quel Pane anche solo una volta sarei guarita. Cercai di resistere, perché è proibito, ma un giorno non ce l’ho fatta più e ho detto: Gesù non ti arrabbiare, ma tu mi puoi guarire. Mi sono mescolata alla fila dei cristiani, l’ho ricevuto, e sono guarita. Non l’ho mai più fatto, però ogni tanto mi sento in colpa, e ho paura che Gesù sia arrabbiato con me.” – “Una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni, gli si avvicinò alle spalle e toccò il lembo del suo mantello. Diceva infatti fra sé: Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò salvata. Gesù si voltò, la vide e disse: Coraggio figlia, la tua fede ti ha salvata. E da quel momento la donna fu salvata.” Mt 9,20-22.

Ricerca

“Devo ringraziarvi – si confidò un giorno il padrone di casa. Amici e vicini mi guardavano male, come un traditore, per aver affittato un appartamento a voi stranieri e cristiani, e allora per dimostrare che sono ancora un  buon musulmano ho ripreso ad andare in moschea il venerdì.” Erano i tempi in cui si parlava appassionatamente di “vie nuove” nella missione del post-concilio, soprattutto ci si chiedeva come essere più vicini alla gente, e come arrivare ad ambienti finora appena sfiorati. Così, con i dovuti permessi di superiore e vescovo, p. Achille Boccia e p. Gianni Zanchi approdarono a Bogra, cittadina del nord dove i cattotici si contavano sulle dita di una mano, ma per contare anche i protestanti ci volevano due mani. Poi mi agganciai pure io: tre preti giovani e in buona salute a fare… che cosa? Questo si domandavano tutti, specie i missionari più anziani – e ce lo domandavamo pure noi. Volevamo rapportarci con la gente senza essere visti subito come benefattori con tanti soldi, o come dedicati a un gruppo religioso a preferenza di altri. Annaspammo a lungo (anni 1980-81), Achille e Gianni più o meno trovarono agganci, fra famiglie in difficoltà per figli con qualche handicap, e nei villaggi dove fare un poco di istruzione di igiene e medicina preventiva. Io rimasi al palo di partenza, mentre il proposito di visitare moschee e allacciare rapporti con imam si scioglieva come neve al sole dei tropici. Ci pensò la Provvidenza: Gianni viene eletto superiore del PIME in Bangladesh e deve trasferirsi, Achille ha bisogno di un’operazione alla colonna vertebrale a Hong Kong, io resto solo e dico al Vescovo: “Da solo non ce la faccio”. Chiusa la prima fase dell’esperienza lungamente sognata e preparata.- Ma Achille torna guarito, e apre la seconda fase: di nuovo in affitto, punta su una presenza silenziosa di preghiera, sua, e per altri cristiani. Allora in Bangladesh non c’erano luoghi per un ritiro tranquillo, e Achille propone un luogo che sta proprio nel cuore della città, fra musumani e hindu. Il suo carisma richiama, e seminaristi, preti, catechisti, suore si sentono descrivere, come parte del programma dei ritiri, anche un’insolita “meditazione visitando il bazar.” Scrive e illustra, a mano, in bengalese, la rivista di spiritualità Atma o Jibon (Spirito e Vita) che si diffonde pian piano e piace. Il PIME appoggia, e nel 1998 si compra una casa per avere più spazio, ma sempre in mezzo alla gente, che guarda con simpatia indipendentemente dalla religione o dalla denominazione di appartenenza. Si chiamerà “Emmaus House”, il luogo dove i discepoli riconobbero il Signore che aveva camminato con loro lungo la stessa strada. Ma arriva la terza fase: Achille deve lasciare e gli succedono i padri Carlo Dotti, Emanuele Meli e poi Carlo Buzzi, con i quali la presenza si configura sempre più come servizio pastorale ai cattolici che nel frattempo (in piccoli numeri!) vengono in città per lavoro, studio, commercio, e come ospitalità a studenti delle superiori che accettano di studiare facendo un cammino formativo impegnato. Finché… sembra bene trasferire il piccolo ostello a Dinajpur, più vicino ad altre iniziative dell’Istituto, e affidare alla diocesi la cura pastorale del piccolo gregge cattolico (forse 200 persone) che ora è presente a Bogra. Il 5 giugno il vescovo riceve formalmente questo regalo del PIME, mentre la gente gli raccomanda di non trascurarli, e di rendere più visibile la chiesa con una scuola o altre iniziative tipiche delle missioni “classiche.” – 1980-2015: un bilancio? Chi ha vissuto con passione questi passaggi certamente ha sperimentato la misericordia di Dio e la sua presenza. Altri bilanci li lasciamo a Lui.

Ande

I più anziani di noi lo avevano conosciuto negli anni sessanta e settanta, quando veniva a Milano per studi e frequentava il PIME. Allora era don Giovanni Gualdi. Poi, circa quattro anni fa, ci avevano detto che un certo don Giovanni Gnaldi sarebbe venuto in Bangladesh come associato. E’ arrivato qualche mese dopo preceduto da un interrogativo: Gua o Gna? è lui o è un altro? Era lui. Con capelli e barba bianca, e 25 anni di servizio missionario in Perù, come “Fidei donum” della sua diocesi, Città di Castello. Nelle gelide parrocchie dove ha lavorato, per lo più ad altissima quota sulle Ande, ha frequentato genti e usato lingue a noi sconosciute – ed è pure diventato esperto in patate, il cibo quasi esclusivo di quei posti. Dalle Ande al Gange, che cosa cerca in Bangladesh, piatto come un tavolo da biliardo? Ce la farà a imparare la lingua? Cercava, ci ha spiegato, uno spazio diverso, quasi un filtro fra quel mondo e il mondo dell’Italia di oggi dove era richiamato a continuare il suo ministero di prete. Triplo salto mortale senza rete: Italia, Perù, Bangladesh, Italia. La lingua l’ha imparata poco poco, quel che basta a celebrare la Messa e tenere una piccola omelia preparata per tutta la settimana con cura e tenacia. Ma c’era. In parrocchia, con i bambini, i ragazzi, i malati, in cappella e in chiesa a pregare, negli incontri… silenzioso, sorridente, sereno, un poco misterioso. E’ rimasto poco più dei tre anni stabiliti, ripartendo nel maggio scorso per Città di Castello. Senza parole, ci ha detto che la missione non è solo correre e fare, ma anche guardare, accompagnare, ascoltare, pregare – essere inutili, ma esserci, con la fede in Gesù e nell’uomo che Dio ci ha regalato.

Dolore

Cari Fratelli e Sorelle del mondo che amate la pace,
condanno con le parole più forti possibili il fatto che fratelli cristiani siano stati uccisi oggi (15.3.2015) in Pakistan. Gli uccisori si dicono musulmani, ma non hanno in alcun modo diritto a farsi chiamare così, perché sono i peggiori nemici dell’Islam. E’ terribilmente grave che l’unica colpa di coloro che sono stati uccisi era di essere cristiani. Ci può essere una tragedia peggiore di questa? (…) Circa le relazioni fra cristiani e musulmani, molti cristiani e molti musulmani non sanno che nel Corano si afferma chiaramente che Maria è la migliore di tutte le donne del mondo, e Gesù è chiamato “Ruhullah” (spirito di Allah). (…) Chiedo con forza a tutti gli uomini di coscienza di condannare il massacro di oggi, e ogni altro assassinio commesso in qualsiasi parte del mondo in nome della religione. Pronuncio questa condanna con il cuore spezzato, sento di avere perso dei fratelli. Prego Dio che noi tutti possiamo avere questi sentimenti. Preghiamo che prevalga il buon senso fra tutti coloro che uccidono in nome della religione. Vostro, nella pace e nell’armonia – Dottor Kazi Nurul Islam – Fondatore e professore del dipartimento delle Religioni e Culture mondiali, e del Centro per il dialogo interreligioso e interculturale – Università di Dhaka.