“Devo ringraziarvi – si confidò un giorno il padrone di casa. Amici e vicini mi guardavano male, come un traditore, per aver affittato un appartamento a voi stranieri e cristiani, e allora per dimostrare che sono ancora un buon musulmano ho ripreso ad andare in moschea il venerdì.” Erano i tempi in cui si parlava appassionatamente di “vie nuove” nella missione del post-concilio, soprattutto ci si chiedeva come essere più vicini alla gente, e come arrivare ad ambienti finora appena sfiorati. Così, con i dovuti permessi di superiore e vescovo, p. Achille Boccia e p. Gianni Zanchi approdarono a Bogra, cittadina del nord dove i cattotici si contavano sulle dita di una mano, ma per contare anche i protestanti ci volevano due mani. Poi mi agganciai pure io: tre preti giovani e in buona salute a fare… che cosa? Questo si domandavano tutti, specie i missionari più anziani – e ce lo domandavamo pure noi. Volevamo rapportarci con la gente senza essere visti subito come benefattori con tanti soldi, o come dedicati a un gruppo religioso a preferenza di altri. Annaspammo a lungo (anni 1980-81), Achille e Gianni più o meno trovarono agganci, fra famiglie in difficoltà per figli con qualche handicap, e nei villaggi dove fare un poco di istruzione di igiene e medicina preventiva. Io rimasi al palo di partenza, mentre il proposito di visitare moschee e allacciare rapporti con imam si scioglieva come neve al sole dei tropici. Ci pensò la Provvidenza: Gianni viene eletto superiore del PIME in Bangladesh e deve trasferirsi, Achille ha bisogno di un’operazione alla colonna vertebrale a Hong Kong, io resto solo e dico al Vescovo: “Da solo non ce la faccio”. Chiusa la prima fase dell’esperienza lungamente sognata e preparata.- Ma Achille torna guarito, e apre la seconda fase: di nuovo in affitto, punta su una presenza silenziosa di preghiera, sua, e per altri cristiani. Allora in Bangladesh non c’erano luoghi per un ritiro tranquillo, e Achille propone un luogo che sta proprio nel cuore della città, fra musumani e hindu. Il suo carisma richiama, e seminaristi, preti, catechisti, suore si sentono descrivere, come parte del programma dei ritiri, anche un’insolita “meditazione visitando il bazar.” Scrive e illustra, a mano, in bengalese, la rivista di spiritualità Atma o Jibon (Spirito e Vita) che si diffonde pian piano e piace. Il PIME appoggia, e nel 1998 si compra una casa per avere più spazio, ma sempre in mezzo alla gente, che guarda con simpatia indipendentemente dalla religione o dalla denominazione di appartenenza. Si chiamerà “Emmaus House”, il luogo dove i discepoli riconobbero il Signore che aveva camminato con loro lungo la stessa strada. Ma arriva la terza fase: Achille deve lasciare e gli succedono i padri Carlo Dotti, Emanuele Meli e poi Carlo Buzzi, con i quali la presenza si configura sempre più come servizio pastorale ai cattolici che nel frattempo (in piccoli numeri!) vengono in città per lavoro, studio, commercio, e come ospitalità a studenti delle superiori che accettano di studiare facendo un cammino formativo impegnato. Finché… sembra bene trasferire il piccolo ostello a Dinajpur, più vicino ad altre iniziative dell’Istituto, e affidare alla diocesi la cura pastorale del piccolo gregge cattolico (forse 200 persone) che ora è presente a Bogra. Il 5 giugno il vescovo riceve formalmente questo regalo del PIME, mentre la gente gli raccomanda di non trascurarli, e di rendere più visibile la chiesa con una scuola o altre iniziative tipiche delle missioni “classiche.” – 1980-2015: un bilancio? Chi ha vissuto con passione questi passaggi certamente ha sperimentato la misericordia di Dio e la sua presenza. Altri bilanci li lasciamo a Lui.