Il rudimentale, puzzolente macchinone, che ingoia mattoni sputando polvere e briciole da usare come ghiaia nel cemento, è fermo. Ferma la sega rotante che da tre giorni stride nel palazzo accanto. Nessuno sta scaricando tondini in ferro, o lamiere, da carretti stracarichi. La betoniera non gira. I Muezzin dormono, solo più tardi i loro giganteschi altoparlanti riempiranno la città con i laceranti, cacofonici richiami alla preghiera. Niente venditori ambulanti ad annunciare a gola spiegata quale merce vendono – o acquistano. Non si sentono auto, moto, campanelli di riksho per le strade. Nessun aereo e nessun elicottero romba nel cielo. Dalle baracche dello slum adiacente non si sentono urla di litigi furibondi. Non ci sono bimbi che giocano e strillano nel cortiletto della parrocchia. Il negozio di telefonini ha spento il mangiadischi con musica simil-rock, i cani di tutto il vicinato tacciono…
Nella notte tra il 29 e il 30 marzo 2016, dalle ore 02,57 alle ore 03,06, a Dhaka (capitale del Bangladesh), quartiere Mirpur 2, zona Borobag ci sono stati 9 (nove) minuti consecutivi di silenzio. Ritengo doveroso segnalare l’evento, perché non so se e quando mai il fenomeno si ripeterà, ed è giusto che i posteri sappiano.