Gentiluomo

Piccolo di statura, molto curato nel bianco pijama-panjabi bengalese e cappellino islamico, con i capelli candidi e la barba argentea non troppo lunga, ben pettinata, era riservato ma sorridente e cordiale. L’ho incontrato più volte in occasione dei ricevimenti che si svolgevano in Nunziatura a Dhaka, nell’anniversario della “intronizzazione” del Papa: comune alle Ambasciate per gli anniversari di indipendenza, repubblica, compleanno del re, ecc., è una tradizione che Papa Francesco ha abolito. Rigorosamente astemio, non disdegnava aggirarsi fra i diplomatici con un bicchiere di aranciata in mano; ma niente cibo, che potrebbe non essere “halal”, cioè puro per i Musulmani. E’ stato il primo ad apporre la firma sul registro esposto in Nunziatura per esprimere le condoglianze alla morte di Giovanni Paolo II. Si chiamava Nizami, era il Segretario Generale del partito islamico Jamaat-ul-Islam. Circa due settimane fa, dopo sei anni di processi e ricorsi, e dopo aver rifiutato di chiedere la grazia, è stato impiccato per massacri, torture e stupri commessi o organizzati durante la guerra del 1971, quando era segretario della sezione giovanile del suo partito, che collaborava con i Pakistani opponendosi all’indipendenza.

Regole

Nei giorni scorsi il radicalismo in Bangladesh ha compiuto un passo inedito. Non per la modalità, ma per l’obiettivo. La modalità infatti è collaudata: volantini diffusi a livello locale, lettere, scritte sui muri, “firmate” da gruppetti fondamentalisti che minacciano castighi a chi non osservi determinate regole dettate da loro. Tipica la minaccia alle giovani donne che lavorano: se non indossate il “burqa”, non garantiamo della vostra incolumità. A minacciare, ora, è il Islami Khelafot Mujahidin Bangladesh. Ritengo abbia a che fare con il movimento – emerso quasi dal nulla qualche anno fa e poi tornato nel silenzio –  che, per opporsi alla secolarizzazione, aveva organizzato a Dhaka una sterminata manifestazione di protesta, conclusasi con una notte di vera e propria guerriglia con decine di morti. Adesso il Khelafot si rivolge ad un obiettivo nuovo:  imprenditori, commercianti, artigiani non musulmani, ai quali manda una lettera ingiungendo di seguire otto punti precisi, pena provvedimenti severi per i disobbedienti. Fra i contenuti di questa “ordinanza”: tenere nei propri locali la scritta in arabo: “Nel nome di Dio Clemente e Misericordioso”, una copia del Corano, una riproduzione della “Kaaba” (Meta del pellegrinaggio alla Mecca); rimuovere qualunque statua, religiosa o meno, fotografie, ecc.; tenere a disposizione dei Musulmani un luogo adatto per la preghiera; non tenere cibi proibiti ai Musulmani; durante il mese di digiuno chiudere ogni locale che fornisca cibo; abolire qualsiasi trasmissione di musica o canti che non siano coranici. Infine: vietato assumere dipendenti donne, si licenzino al più presto quelle che fossero già assunte, e se proprio è necessario avere donne che lavorano (la lettera non precisa come mai potrebbe essere proprio necessario…) imporre che indossino il “burqa”.