Rohingya

Nella baraonda mondiale di fughe, migrazioni, rifugiati accolti e cacciati, ospitati e imprigionati, ci sono anche loro, i Rohingya. Un gruppo etnico del Myanmar, di religione musulmana, piazzato nello stato di Rakhin al confine con il Bangladesh. Da anni, ogni tanto, si parla di Rohingya che fuggono in Bangladesh per sottrarsi alle persecuzioni dei buddisti birmani, e ogni tanto cresce la tensione fra i due Paesi, perché il Bangladesh accusa il Myanmar di “pulizia etnica” e atrocità, ma respinge i profughi, mentre il Myanmar dice che in realtà sono bengalesi, dovrebbero tornarsene al loro Paese, e non li vuol riprendere.
Difficile capire bene come sia la storia del passato e del presente. In Myanmar, i rapporti fra gruppi etnici dei monti e birmani si sono espressi in un cinquantennio di guerriglie dure e tenaci. Recentemente qualche specie di accordo è stato raggiunto, ma saltano fuori i Rohingya di cui poco si parlava prima. I musulmani sono noti per sopportare a fatica di essere minoranza guidata da altri, e – come nel sud della Thailandia – gruppi estremisti si sono fatti sentire con attentati e attacchi. Da parte sua l’esercito del Myanmar è noto per la ferocia delle sue repressioni e rappresaglie, e anche i politici di buona volontà hanno poca voce in capitolo. ISIS e gruppi radicali in Bangladesh ci sguazzano. Da qualche tempo vengono diffuse fotografie agghiaccianti con didascalie tipo: “Che cosa aspettiamo a liberare i nostri fratelli da queste atrocità?” “I buddisti continuano lo sterminio dei musulmani, ora in Myanmar, domani in tutto il mondo” – e così via. Ma un quotidiano bengalese ha fatto qualche facile ricerca, scoprendo cose interessanti. La foto di un giovane che corre con gli abiti in fiamme non è quella di un rohingya attaccato dai buddisti, ma di un tibetano auto-immolatosi in Cina. La foto di numerosi monaci buddisti accanto ad un impressionante mucchio di cadaveri, presentata come “un esempio di violenza buddista contro i rohingya”, è la foto di vittime di un terremoto in Cina, prima della cremazione ad opera dei monaci. Una ragazza, anch’essa vittima del fuoco, non fa parte del “genocidio dei rohingya”, ma è guatemalteca; scene di tortura di un film americano sono state messe in rete come torture di rohingya. Già varie volte minoranze etniche e religiose in Bangladesh sono state assaltate e saccheggiate per punire foto e scritte “anti-islamiche” su Facebook. Erano tutte false, ma il trucco ha funzionato non è detto che non funzioni ancora.