Il vicepresidente e un altro eminente “pezzo grosso” delle due principali moschee di Mecca e Medina, all’inizio di aprile sono venuti in visita in Bangladesh e sono stati ricevuti dalla Primo Ministro. Hanno espresso la loro soddisfazione, perché in 20 anni molte cose in Bangladesh sono cambiate in meglio e non c’è più ragione di esserne scontenti. Hanno notato con piacere che il governo mette un grande impegno per diffondere l’islam, e hanno promesso di sostenere il programma di costruire un centro di studi islamici in ogni provincia. La Primo Ministro ha risposto che effettivamente le cose stanno così e che questo programma verrà realizzato; ha aggiunto che il Bangladesh intende essere un paese dove trovano posto, liberamente, tutte le religioni. Hanno concordato nella condanna del terrorismo, che distorce e diffama l’islam, e nella necessità di opporsi ad esso. Tutto bene, e sono d’accordo che il Bangladesh ha fatto molti progressi; però m’è venuto un dubbio: i motivi per cui sono soddisfatti loro e i motivi per cui sono soddisfatto io, saranno proprio gli stessi?
Archivio mensile:Aprile 2017
Interpretazioni
Mi chiedono spesso: che cosa pensare? Mentre i terroristi si rifanno al Corano e agli Hadith per giustificare la violenza, molti musulmani credenti e praticanti dicono che in realtà il Corano non incita alla violenza ma alla pace e ai buoni rapporti con tutti. Come stanno le cose? Persuaso che per controllare il terrorismo non bastino azioni repressive e servizi segreti, il RAB (Rapid Action Battalion) del Bangladesh, un corpo speciale impegnato su questo fronte, dopo aver trovato molto materiale ideologico nei “covi” dei militanti, ha chiesto aiuto ad un gruppo di esperti, e ha lanciato un libro dal titolo: “Interpretazioni sbagliate di versetti del Corano e degli Hadith, e loro spiegazione corretta”. Il libro – in bengalese – esamina 60 versetti. Un esempio. Nella quinta “Sura” (capitolo) del Corano si legge: “Uccidi gli atei dovunque li trovi, dopo che i mesi proibiti sono terminati”. Il versetto – dicono gli esperti – si riferisce ad un preciso evento nella storia delle origini dell’islam: violando un accordo di pace con il Profeta, alcuni “infedeli” attaccarono la comunità di Banu Khuza che gli era alleata, e che chiese il suo aiuto. Maometto diede quattro mesi di tempo per ristabilire la pace: “i mesi proibiti” (di tregua) citati sopra. Dopo di che, guerra aperta contro chi non avrebbe accettato la pace.- Estrapolato dal contesto, che lo riferisce ad un momento, un evento preciso, e a un gruppo di persone specifico, questo ordine di “uccidere gli infedeli dovunque si trovino” diviene un ordine applicabile ovunque e in ogni momento; così fanno i terroristi dell’ISIS e altri.
Stagioni
Ho 73 anni. Non me ne faccio un vanto, ma non posso nemmeno far finta di essere più giovane, solo per non umiliare quelli che sono nati dopo di me. Se, poveretti, sono arrivati tardi, non do loro alcuna colpa, anzi, li invito ad accettare serenamente gli inconvenienti della giovane età, consolandosi con il pensiero che la giovinezza è un problema che ho avuto anch’io, ma passa con il tempo, e tutto sommato passa abbastanza in fretta. Con questa convinzione in testa, ho deciso di partecipare ad un corso di “Formazione permanente” organizzato dal mio istituto a Hong Kong, dal 20 al 24 marzo, per tutti i missionari del PIME che operano in Asia. Il tema era: “Il cammino verso la stagione adulta della vita”. Un cammino che a buon diritto posso dire di aver compiuto già da un po’, ma poiché in tutti questi anni mi sono convinto di avere non un’ignoranza qualunque, ma un’ignoranza che si può (modestamente) qualificare come “enciclopedica” (cioè che si estende praticamente a tutti i settori dello scibile umano), ho pensato che posso ancora fare un passo avanti nella interessante scoperta di quante cose non conosco.
Queste ragioni sono vere; per onestà devo aggiungere che ce n’era anche un’altra, che mi ha spinto a prendere parte al corso: una gran voglia di vedere un po’ di amici missionari, vecchi e nuovi, che da anni non incontro, e di tirarmi fuori, per qualche giorno, dal caos frenetico di quell’inquinatissimo agglomerato di cemento, fracasso, immondizia, corvi ed esseri umani (e io fra loro), che prende il nome di “città di Dhaka”.
L’arrivo a Hong Kong, che pure conoscevo, è stato sconvolgente: una città dove si seguono le regole del traffico, non si suona il clacson a ritmo continuo, le strade sono pulite, e si trovano tante altre stranezze e assurdità, come fermarsi davanti a un semaforo se diventa rosso, non andare contro mano, preoccuparsi di precedenze…troppo lungo elencarle tutte. E’ pure una città che “toglie il fiato” con i suoi grattacieli vertiginosi, splendidi, ma anche con qualche parco tenuto come un gioiello, primo fra tutti il giardino del monastero femminile buddista, e con magnifici panorami sul mare. D’altra parte, non posso nascondere che è una città senza riscaldamento: nonostante la stagione, ho trovato un freddo inatteso, e ho preso il raffreddore – subito curato con un’orrenda ma efficace tisana. Cinese, com’era giusto.
L’obiettivo fondamentale che avevo è stato raggiunto: eravamo 55 (compreso il prof., un simpatico religioso Marista, arrivato dalla Nuova Zelanda per offrirci le lezioni fondamentali). Cinque venivamo dal Bangladesh, gli altri da India, Thailandia, Cambogia, Hong Kong, Cina, Filippine, Giappone, Papua Nuova Guinea. Rivedersi è stata una festa, ricca di emozioni, e di condivisioni interessanti che hanno fatto bene alla testa e al cuore. I luoghi d’origine? Stati Uniti, Brasile, Colombia, Guinea Bissau, Italia, India, Filippine… Una bella insalata intercontinentale!
Ma insomma, che cosa ho imparato? Ho ricevuto una conferma: ci sono tante cose che non so eppure sono interessanti, anzi molto interessanti, come quelle che ho sentito (psicologia con condimento di Vangelo e teologia) – e che ho prontamente dimenticato per non compromettere l’integrità della mia ignoranza. Ma è rimasto un pensiero, o forse più che un pensiero, un sentimento: invecchiando (dicono gli esperti), si può prendere la strada della di-sperazione: non c’è più gran che da sperare; o della gratitudine. Ed è proprio su questa che, con mia stessa sorpresa, mi ritrovo. Una gratitudine diffusa, per cui posso riandare a tantissime persone e storie della mia vita, oppure posso semplicemente soffermarmi a “sentire” una vita profonda e misteriosa che pulsa silenziosamente nel grande mistero dell’amore, che in mille modi riemerge dalle nostre follie ed è più tenace di loro.
BUONA PASQUA A TUTTI !
Volti e nomi
Da qualche tempo, chi apre il mio blog si trova davanti agli occhi una foto di gruppo. Mi sembre giusto non lasciare nell’anonimato i giovani che vedete, e che mi sono cari. Di chi si tratta? Fanno parte della comunità Snehanir – Casa della Tenerezza – che 25 anni fa muoveva i primi passi grazie a un marmocchietto minuto, minuto che, in un villaggio della missione di Rohanpur, nessuno sapeva dove mettere: la mamma era morta e il papà non poteva tenerlo. Lo prese suor Gertrude, delle Suore locali “Regina della Pace”, appoggiata da p. Mariano Ponzinibbi del PIME, che aveva un cuore speciale per ammalati e handicappati. Poi il marmocchietto, battezzato Roby, venne colpito da poliomielite; sopravvisse, con le gambe irrimediabilmente compromesse, e ora lo vedete nella foto, il primo in basso a destra, sulla carrozzella, ormai alla vigilia della laurea e alla ricerca di un impiego. In maggio andrà a Singapore, convocato dalla squadra nazionale del Bangladesh per un torneo internazionale di cricket. Vi dirò chi vincerà.
Pian piano, al piccolo Roby si aggiunsero altri, la superiora delle suore chiuse un occhio, poi li aprì bene tutti e due e l’iniziativa divenne ufficiale, in collaborazione fra il suo Istituto e il PIME. Fra trasferimenti vari per trovare posti adatti e non troppo costosi, il numero cresceva, e alla fine la Provvidenza si fece onore, procurando benefattori che fecero costruire una bella casa per loro a Rajshahi. La comunità si delineò gradualnente come “mista” in vari sensi: piccoli e grandi (che aiutano i piccoli), maschi e femmine, con e senza handicap. Denominatore comune: tutti poveri in canna. Obiettivo, aiutarli a esprimere il meglio di sé e rendersi autosufficienti, o per lo meno capaci di gestire se stessi. Con una eccezione: Lilima (seconda da destra, in prima fila), che si esprime solo con improvvise grida di gioia e, per fortuna raramente, con il pianto; ha bisogno di essere assistita in tutto, e lo fa meravigliosamente Merina (alle sue spalle), che ha seri problemi di apprendimento, ma un affetto grande per Lilima, alla quale rende con gioia tutti i servizi necessari.
Al momento in comunità ci sono 42 bambini e giovani. In alto e in piedi, a sinistra, la curiosissima e originalissima Susmita, con la sindrome di Down. Subito sotto di lei, suor Dipika, che 12 anni fa ha rimpiazzato suor Gertrude, ha la responsabilità di tutto, e tira le fila con grande pazienza e passione. Al suo fianco Pauline, che nel gennaio scorso s’è sposata e ci ha lasciato; poi il sottoscritto, davanti a lui Merina e Lilima: di loro ho già detto. Davanti a me, e a fianco di Merina, c’è la mamma di Anup – 10 anni, che non può fare a meno di lei a causa di una grave distrofia muscolare; poi, ancora a sinistra ecco suor Shewly (Sciuli, il nome di un profumatissimo, piccolo fiore bianco), che aiuta suor Dipika e si diverte un mondo con i più piccoli – che nella foto non ci sono perché stavano giocando. Ne rimangono due: la prima a sinistra è Camilla, che dopo aver arrancato fino alla classe ottava, ha deciso che gli studi non sono il suo forte, e sta seguendo il secondo corso di sartoria e cucito, dove riesce bene. Ultima (nella foto), Niva, che ha quasi finito il College, ha imparato il linguaggio dei segni e ora insegna ai piccoli che hanno problemi di udito. Niva canta e suona molto bene, e sa pure organizzare danze cui partecipano anche ragazze in carrozzella.
A nome di tutti loro, e anche di chi non è rimasto inquadrato, auguro a chi ci legge una buona Pasqua e un cuore grande.