Benefattori

Sei anni di età, sempre allegra e vivace nonostante la grandissima povertà in cui vive e il papà gravemente ammalato di reni, questa volta la bimba entra e si siede senza dire una parola. Ha un cerotto sulla fronte, è tristissima. “Che è successo?” le chiedo. La mamma interviene accarezzandola: “Un maramari…”. Mi sembra strano che un bisticcio fra bambini, anche se “maramari” significa che sono passati alle botte, possa averla ferita e stordita così. Pian piano li accompagno a dirmi di più. La famiglia ha un debito con alcune persone che lavorano in una “Organizzazione non Governativa” di cui non mi dicono il nome, che fa prestiti ai poveri. Avevano chiesto in prestito una grossa somma per curare il papà, ma l’incaricato, considerata l’evidente insolvibilità della famiglia, lo ha negato. Poi, con due impiegati dello stesso ufficio, è andato a trovarli a casa, per mostrare loro quanto fossero spiacenti, e quanto si preoccupassero per la loro situazione. Così tanto, che erano disposti a dare personalmente il prestito che l’ufficio non poteva concedere. Hanno consegnato circa 3.000 euro (lei guadagna circa 50 euro al mese) e – non avendo loro restituito nulla, nel giro di pochi mesi il debito, dicono i “benefattori”, è salito, con gli interessi, a circa 7.000 euro. Gradualmente le esortazioni sono diventate minacce finchè, visto che le parole non fanno effetto, sono passati a vie di fatto. Ogni pochi giorni, la sera, irrompono in casa e li picchiano con un bastone. Hanno picchiato anche il malato, ma soprattutto la moglie. La bambina no, scappa nell’altra stanza e la lasciano stare. Ma questa volta, aprendo la porta con violenza, l’hanno colpita (involontariamente!) alla testa e ha dovuto ricorrere ad un ospedale.
Sinceramente non so perchè lo facciano. Chiunque può capire che non riusciranno mai a pagare, e che le botte non portano soldi in tasca ai debitori – di conseguenza neppure ai creditori. Ma il trattamento, di cui in precedenza mi avevano detto solo qualche cosa, continua e lei è rassegnata. Un principio diffuso qui è che se si vogliono soldi dalla famiglia della moglie, bisogna picchiare la moglie fino a che – impietositi – i famigliari sganciano. Che abbiano scoperto, o abbiano il dubbio che – trattandosi di cristiani – abbiano alle spalle qualche straniero da cui spremere quello che vogliono?

Schifezze

Gli storici vanno avanti anche a colpi di riletture o revisioni, per nuovi elementi storici acquisiti, o perché cambia il loro punto di vista. Il Bangladesh non fa eccezione, e un bersaglio frequente di queste revisioni sono gli eventi del colonialismo raccontati da chi aveva perso e ora vuol dire la sua. Da questo punto di vista, la storia cambia, e non poco. A sentirla sembra nuova, e ha molto da insegnare.
Poi c’è anche qualche curiosità che sa di stupidaggine – come del resto si trovano anche nei giudizi di storiografi occidentali sui paesi colonizzati. Pochi giorni fa ho letto un lungo articolo che riassume un libro il cui tema è: come mai l’Europa ha conquistato il mondo?
La risposta viene da un autore cui piace viaggiare, e quando viaggia gusta le cucine locali. Gira e gira, un bel giorno arriva in Olanda, dove scopre una cucina orribile, e gli viene una voglia matta dei deliziosi piatti indiani o cinesi. Questa scoperta dolorosa lo fa riflettere sul passato. Formaggi verminosi, pesci puzzolenti… come facevano gli olandesi e altri nord europei a mangiare certe schifezze? Impossibile che ne fossero soddisfatti. Però non avevano alternative: le spezie orientali, che rendono la vita più bella e i piatti più buoni, venivano da lontano, erano rari e costosi. Per questo, stomacati dal loro stesso cibo, decisero di andarsele a prendere, e cominciarono le conquiste. I poveri marinai olandesi morivano come mosche mangiando carne marcia e bevendo birre fetide durante gli interminabili percorsi marittimi, ma tenevano duro, e la loro speranza tenace fece arrivare gli eserciti fino all’Indonesia, mentre gli inglesi cercavano spezie (e magari, per buona misura, anche oppio) conquistando l’India e sottomettendo la Cina. Chiarissimo; ma allora come mai spagnoli e portoghesi andarono in America? Certo non perché disdegnassero le spezie, o la loro cucina fosse migliore, ma perché – come tutti sanno – Cristoforo Colombo sbagliò indirizzo: voleva arrivare in India più in fretta, e senza saperlo si ritrovò in America! Invece delle spezie trovò l’oro, e si accontentò di quello, che si rivelò un’attraente alternativa.
Per buona misura – aggiungo io – dall’America arrivarono patate, mais, pomodori e tacchini – indubbiamente bene accolti dalle massaie europee…

Anniversario

Giorno più, giorno meno, il 4 dicembre scorso si era appena compiuto un anno da quando il Papa venne in Bangladesh, e proprio quel giorno l’arcivescovo di Manila card. Tagle si trovava a Dhaka, dopo una visita ai Rohingya effettuata nella sua qualità di presidente della Caritas Internationalis. – A proposito, sapete che le Caritas nazionali si trovano in 165 paesi del mondo?
I cattolici bengalesi, che pur avendone uno loro, di cui vanno fieri, non sono abituati a bazzicare con cardinali, hanno interpretato la sua venuta come un’occasione per celebrare l’anniversario della venuta di Papa Francesco. Hanno messo in cantiere l’allestimento di un museo permanente della visita papale, e hanno organizzato per Tagle una riedizione delle danze caratteristiche dei vari popoli che formano la Chiesa in Bangladesh, e che avevano effettuato davanti al Papa. Quando dico “organizzato”, dico sul serio. Organizzare normalmente è un loro punto debole: si mettono in movimento quando ormai tutto dovrebbe essere già pronto, tengono con il fiato sospeso fino all’ultimo, sembra sempre che falliranno miseramente, ma poi riescono comunque a cucire insieme lo spettacolo, o qualunque altra cosa in programma. Questa volta, davanti al cardinale, tutto bene: i microfoni funzionavano, le luci si accendevano, le danzatrici erano pronte, harmonium e tobla (tamburi) erano accordati, le danze dei diversi gruppi si sono succedute in tempi rapidi, senza inutili, interminabili intervalli, perfino la coreografia con il fumo alla fine è partita al momento giusto… Tagle deve essersi divertito, era in forma e ha parlato con l’immediatezza, e l’arguzia che lo caratterizzano e che fanno accorrere con un sorriso contenuti di valore.
Circola ovunque la battuta da lui fatta, che oggi non si deve più qualificare nessuno come “vecchio”, e neppure “anziano”: c’è chi si offende; bisogna dire “cronologicamente avanzato”… A noi, cronologicamente avanzati, ha suggerito di guardare con fiducia ai cronologicamente giovani, chiedendo scusa perché stiamo trasmettendo loro un mondo pieno di divisioni e odi, ma incoraggiandoli a tentare di far meglio. Dire che i giovani sono ‘la speranza del futuro” è ovvio e banale, ma cercare di stimolarli ad avere fiducia e coraggio avendo anche noi fiducia e coraggio non è così ovvio.

Nostalgia

Lasciata la parrocchia e arrivato alla PIME House, ero ancora emozionato dalla sorprendente constatazione che pochi giorni prima avevo compiuto i 75 anni di età quando, mettendo a posto carte e pasticci, è capitato in mano un ricordo della mia ordinazione presbiterale, 1969. Mi ritrovai con il pensiero a quando ormai tutti i miei compagni “ordinandi”, eccetto io, avevano in mano le tradizionali immaginette, e dicevo a me stesso: se le preparo e poi, all’ultimo momento, i “capi” mi dicono che è meglio per me scegliere un altro mestiere? Soldi buttati! Cautelosa avarizia, con un pizzico di fastidio: provavo fastidio a pensarci.
Alla fine arriva il “via libera” e vado in libreria a cercare qualcosa. Scelgo tre o quattro “immaginette” con fotografie e frasi che mi piacciono, anche se non hanno a che fare con il mio diventare missionario prete. Che cosa vi feci scrivere dietro, ve lo dico un’altra volta. Per ora fermiamoci a questa che ho in mano: è la foto di uno svettante campanile, sullo sfondo di un cielo limpido e di una montagna aspra e rocciosa che si trova chissà dove. La frase è di Guy de Larigaudie, un autore che allora circolava parecchio fra gli scout: “Il mondo non è proporzionato alla nostra statura, e noi abbiamo talvolta il cuore gonfio di un’immensa nostalgia del cielo”.
La sceglierei ancora, ora che ho 75 anni?
Sì. Dice che io allora sceglievo – e ho poi seguito – una strada di impegno, servizio, opere, spirituali e non, ma tutto questo non era tutto, e non era neppure il centro; nel profondo, il senso dell’infinito che mi circonda e lo struggimento del mio limite, della mia “infinita” piccolezza non mi ha mai abbandonato. Ne ho nostalgia, un desiderio che sa di non potersi mai del tutto compiere, ma ha sempre bisogno di cercare, esplorare, andare oltre. Ha bisogno di sapere che non sarà mai assopito, che non si placherà. E’ la nostalgia del cielo che vivo quando parlo con un bimbo, quando ascolto un anziano, quando aiuto un povero o m’arrabbio con lui, quando guardo un albero, un filo d’erba, viaggio in mezzo alla folla, mi angoscio per una sofferenza, per un’ingiustizia, ascolto musica; quando mi risuona nella mente il singhiozzo – l’unico – di mio padre mentre pregavamo accanto alla salma di mia sorella, morta a 26 anni di età; quando mi stordisco guardando il mare o le montagne, quando mi siedo a pregare, quando mi rallegro e mi diverto, sempre con un sottile senso di incompletezza, di caducità, il bisogno di “altro”. La missione, per me, è stata soprattutto ricerca. Sempre con una grande, appassionata nostalgia.
Ora questo cielo si è inevitabilmente fatto più vicino, e io spero di toccarlo non per possederlo, non per mettermi tranquillo, ma per lasciarmi conquistare, possedere dalla gioia sempre nuova e sorprendente di esistere, di vivere, di amare, di non essere appagato.
Sì, amo enormemente la vita, per questo desidero il cielo, e non finirò mai di desiderarlo e cercarlo.