Vertigine

Speravo di andare anche a Gaeta, durante le mie recenti vacanze in Italia, ma non ci sono riuscito. Mi dispiace per gli amici che non ho potuto incontrare, e perché a Gaeta c’è un posto che amo moltissimo. È piccolo spiazzo sulla sommità della Montagna Spaccata, a strapiombo sul mare. La vista di giorno è splendida, ma ho nostalgia delle ore che vi ho trascorso di notte, incantato dal cielo stellato, di una bellezza indescrivibile, esagerata, che lentamente fa germogliare gioia profonda e poi scivola in uno sgomento meravigliato. Le stelle, piccole luci attaccate alla grande coperta blu del cielo, lasciano intuire i miliardi di anni in cui hanno viaggiato attraverso l’universo per arrivare a me, ora. Portano il messaggio di un mondo inimmaginabile nella sua vastità, e mi parlano della mia piccolezza e della mia brevità, che sfiorano il nulla. Una di loro potrebbe inghiottire nel suo fuoco smisurato il mondo intero in cui vivo, in un attimo. Come lo strapiombo sul mare quando mi accosto al margine, l’inafferrabilità dell’infinito crea un senso di vertigine che attrae e spaventa. Allora di là, da quella roccia che profuma di mare e sembra volermi avvicinare al cielo, mi volto verso altre luci più vicine e familiari, dentro le case sulla costa lontana. Per ognuna di esse immagino una famiglia riunita a guardare la televisione, un giovane che studia, una cena solitaria o una festa gioiosa, un momento di amore, o di paura desolata. Vite diverse, vicine, infinitamente piccole. Eppure immense. Ognuna è un mondo completo di pensieri, sentimenti, desideri, sofferenze, speranze. Ognuna di loro può accogliere in sé, nella sua fragilità, l’infinito e il suo mistero. “Padre nostro”, il nome che Gesù dà al Signore dei mondi, sgorga spontaneo come una speranza stupefatta.

A Dhaka questo non s’immagina neppure…

Mohakhali, aggrovigliato incrocio di strade accanto a una delle più grandi stazioni di autobus di Dhaka Nord. Nella sera illuminata da luci polverose e disordinate di lampade e di auto, il frastuono caotico del traffico, l’agitarsi continuo di persone di ogni tipo vengono aggrediti dall’improvviso, lacerante urlo degli altoparlanti appesi ovunque; richiama alla preghiera, e sembra voglia sfondare,brutalmente,quel poco di intimità con se stessi che a stento sopravvive nel correre affrettato di pedoni e viaggiatori ammassati su autobus stracolmi, nell’attesa stordita di mendicanti e venditori. Mi trovo avvolto dallo sgomento del mistero della vita. Milioni di persone, ognuna un universo di realtà diverse. Si ignorano o si tengono per mano, tornano a casa stanchi, vanno al lavoro, pensano, odiano, si aggrediscono o si aiutano… sono più numerose le stelle, o gli abitanti di questo mondo? È più profonda la profondità del cielo, o l’intimo di ciascuno di noi? Miliardi di cuori e di menti, di storie… la vertigine del nostro esistere, del tentare per un istante di intuire chi sono le innumerevoli persone che in questo momento si stanno incrociando in questa piazza, attente a non inciampare nei tombini, a non farsi rubare il portafoglio, a inseguire un sogno che solo loro conoscono, a non lasciare che l’angoscia del futuro le spezzi.
I palazzi tengono lontano il cielo, e le luci disordinate le cancellano; ma ci sono piccoli squarci di buio da cui scorgi umili, insignificanti, tristi stelle, timido richiamo ad una realtà che ci sovrasta ma sembra non riguardare più noi, qui, uomini della città. Sgorga dalla memoria la domanda che è preghiera: “Che cosa è l’uomo perché di lui ti ricordi? Il figlio dell’uomo perché te ne curi?” (Salmo 8, 5). L’interrogativo suona quasi disperato, perché questa umanità come schiacciata sulla terra appare insensata, e sembra non sentire nemmeno l’urlo impudico che la chiama alla preghiera. Eppure sgorga di nuovo, inatteso, il “Padre Nostro”, che dà pace.
Proprio come nella limpida, silenziosa bellezza della Montagna Spaccata.

Incontrarsi

Il nome è impegnativo: Shalom, pace. L’obiettivo è meraviglioso: migliorare i rapporti fra le varie denominazioni cristiane, e fra fedeli delle religioni presenti in Bangladesh. I membri attivi non sono in verità moltissimi: tre formano la spina dorsale, la mente, le braccia e le gambe del “movimento”: Suor Anna Maria, delle Missionarie dell’Immacolata (meglio note, in Bangladesh, come “Pime Sisters”), P. Francesco Pime e Fratel Guillaume, comunità di Taizé. Ci sono inoltre tre o quattro persone di varia provenienza sinceramente interessate ma non sempre presenti; in testa, come interesse e partecipazione, i membri della Church of Bangladesh (Anglicani), e qualche “simpatizzante attivo”; mi onoro di essere fra loro.

Non ci sono sede, bilancio economico, biglietto da visita, fotografia con il Papa, un premio ricevuto da qualche parte per lo zelo dimostrato… Tuttavia, quatti, quatti, i quattro gatti di Shalom nell’anno che sta per terminare hanno organizzato:

1. Una preghiera ecumenica per celebrare il Natale nella Chiesa Armena, abitualmente vuota perché non ci sono più armeni in Bangladesh. Presenti, almeno 100 persone di diverse denominazioni cristiane e, per la prima volta, anche nuovi cristiani del gruppo etnico Bom.

2. Nella sede del seminario Church of Bangladesh, incontro con un leader spirituale della Ramksrishna Mission (indù), presenti una cinquantina di giovani, cristiani di varie denominazioni. Incontro interessante, anche se azzoppato. Shalom infatti voleva che una cinquantina di indù partecipasse, ma il leader invitato a parlare non s’è sentito di acconsentire: troppi gruppi e tensioni fra loro, c’era rischio che la faccenda finisse male. Insomma, non è solo fra i cristiani che abbiamo bisogno di ecumenismo…

3. Incontro fra due studiosi, un cristiano e un musulmano, che hanno commentato il documento firmato dal Papa e dal grande Imam del Cairo in Abu Dhabi mesi fa. Ottima accoglienza da parte dei partecipanti, in perfetta “par condicio”, cioè oltre 100 studenti universitari, metà cristiani e metà musulmani.

4. Nei locali della chiesa pentecostale, mezza giornata di incontro sul tema “Battesimo nello Spirito”. Hanno parlato la cattolica Dora Rozario e Asa Khan, pastore della AG (Assemblee di Dio, pentecostali), oltre 150 persone hanno ascoltato, interrogato, condiviso, cantato e pregato.

Poco, se consideriamo che in Bangladesh Dhaka vivono 180 milioni di persone? Dice un proverbio citato come cinese: se sei preoccupato perché devi fare un viaggio di mille miglia, incomincia a fare il primo passo.

Ponte aereo

Per quale motivo l’India abbia improvvisamente chiuso l’ esportazione di cipolle al Bangladesh, non lo so. Le cipolle costavano, secondo le stagioni, circa 70-80 taka al chilo; se per un qualche motivo toccavano i 100, ne parlavano i giornali. Questa volta, in pochissimi giorni, siamo arrivati a quota 280! Alle massaie bengalesi puoi togliere praticamente quasi tutto, in qualche modo sanno arrangiarsi. Ma le cipolle – quelle proprio no! Il Paese è piombato nel panico e nella rabbia, il governo ha fatto indagini, ha rassicurato, ha minacciato castighi severissimi ai profittatori e poi ha dovuto agire direttamente. Primo provvedimento: vendite a prezzi calmierati, per i poveri, che devono andare a cercare il tesserino, e poi correre ai luoghi dove stazionano i camion di pronto soccorso culinario, rischiando di soffocare o rimanere schiacciati sotto i piedi delle folle accorse, o di arrivare all’agognata meta quando il cassone è già vuoto… Ma ci vuol altro! Per risolvere il problema, bisogna agire su più fronti. Frenetiche trattative continuano con paesi produttori di ogni parte del mondo, numerose navi cariche di cipolle navigano a tutto vapore verso i porti bengalesi, i contadini anticipano il raccolto delle cipolle per approfittare del momento magico, e il governo ha organizzato un ponte aereo. È di oggi la notizia che sono appena arrivati i primi “cargo” di cipolle provenienti dal Pakistan, su aerei dell’Azerbaigian, altri sono in arrivo, dal lontano Egitto e non solo; la compagnia aerea nazionale ha assicurato che farà di tutto per dare la precedenza alle cipolle, e che i prezzi di trasporto saranno scontatissimi.