Diciotto anni nella Direzione Generale del PIME – poveretto! Sei anni come vicario, dando una mano al suo predecessore (che ero io), poi sei anni come superiore generale, poi altri sei. E’ sopravvissuto (a stento?), e proprio come lui aveva fatto con me, anche il suo successore P. Ferruccio gli ha fatto un regalo: prima ancora che finisse l’Assemblea Generale lo ha assegnato alla missione del Bangladesh, da dove era stato “strappato” per il servizio a Roma e in tutto il mondo. Io avevo dovuto aspettare nove mesi per ottenere il visto d’ingresso; lui, più fortunato, l’ha ottenuto in breve tempo. L’Assemblea era in maggio, il 22 agosto p. Gianni Zanchi è sbarcato a Dhaka e, dopo qualche settimana per rispolverare il bengalese, prenderà servizio.
Ancora una volta la “calamita” della propria missione ha funzionato!
Il record di velocità però appartiene ancora a P. Fedele Giannini, superiore generale dal 1977, che nel 1983, terminato l’incarico, era riuscito a ritornare nel “suo” Giappone prima ancora della fine dell’Assemblea Generale.
Archivio mensile:Agosto 2013
Vale la pena?
Una trentina d’anni fa, progresso e sicurezza nei trasporti hanno fatto arrivare in Bangladesh una piccola “ondata” di visitatori dall’Italia. Parenti e amici, ma anche sconosciuti con aspettative più o meno chiare: dal fare un’esperienza “forte”, al portare di persona qualche aiuto “per essere sicuri che vadano a buon fine” (un tale arrivò con una valigia di scatolette di tonno per distribuirle personalmente ai poveri…); dalla visita turistica a poco prezzo alla curiosità di scoprire che cosa diavolo facciano i missionari “al giorno d’oggi, quando si sa che tanto tutte le religioni sono uguali”…
Qualcuno ritornava scandalizzato dai “lussi” dei missionari, o dalla loro insensibilità; qualcuno edificato ed entusiasta; qualcuno si ammalò per aver preso troppe medicine preventive; qualcuno troncò il viaggio non potendo sopportare la povertà e i mendicanti, oppure la paura dei serpenti, o il traffico…
A ciascuno bisognava dare tempo, attenzione, risposte, conforto, vitto, trasporti e alloggio (quasi sempre gratis), bisognava vigilare che non ci fossero spezie nel cibo, ragni sui muri, zanzare sotto la zanzariera.
Ne vale la pena? E’ giusto sottrarre energie al nostro lavoro per dare tempo a questo tipo di accoglienza? Ce lo chiedemmo più volte, e alla fine – in collaborazione con i nostri animatori missionari in Italia – nacque il programma “Giovani e Missione”. Visite sì, ma preparate, motivate, orientate, e con una buona selezione.
Anche quest’anno, come da tempo accade, l’estate ha visto una dozzina di giovani (ragazzi e ragazze) a gruppetti di due o tre, arrivare e trascorrere un mese fra noi. Hanno seguito, con una comunità PIME in Italia, un anno di preparazione e si sono impegnati a seguire, dopo la visita, un secondo anno di programma per valutare e approfondire l’esperienza, vedendo anche come metterla a frutto nelle loro parrocchie, scuole, associazioni. Nessuna illusione, in un mese, di aiutare chissà chi: si sta un mese con i missionari non per sentirsi benefattori, ma per vedere, imparare, condividere. Poi, ritornati in Italia, si metterà a frutto l’esperienza.
Il sistema ha funzionato, pochissimi i casi di insuccesso. Quasi tutti conservano un ricordo positivo, molti mantengono i contatti, si sono coinvolti nell’animazione missionaria. Qualcuno ha preso il contagio, e s’è imbarcato non nel “fare esperienza” con i missionari, ma nel diventare missionario, e ora è qui, o in altre missioni, e anche lui o lei accoglie le nuove generazioni di “Giovani e Missione”.
Ci pare che valga la pena.
Specie a rischio
“Le donne sono come il tamarindo, se lo mangi, ti piace un sacco, e non passerai più sotto un albero di tamarindo senza che ti venga l’acquolina in bocca… Se un vecchio mi dice che può vedere una donna senza eccitarsi, gli dico: ‘Caro mio, sei impotente!’ Per questo Allah vuole che le donne stiano in casa, a custodire il mobilio e i figli. Se hanno bisogno di qualcosa, perché andare al mercato? lo facciano comprare dal marito. A scuola? Basta la quarta elementare, per fare i conti di famiglia. Al lavoro? Ma chi le controlla, per vedere se vanno a lavorare o a far l’amore?” Questi e altri simili sono i profondi pensieri espressi in una lunga omelia che ora si trova in internet dall’anziano capo del movimento “Hefajat-Islam” (Difendere l’Islam), diventato di recente molto attivo e forte. Il movimento ha, fra le sue dodici richieste al governo, anche quella che ci sia ovunque nella società bengalese la separazione dei sessi.
L’omelia ha suscitato un finimondo di critiche, ma anche molta preoccupazione. Un appassionato editoriale di “The Daily Star” (24.7.13) cita altri casi simili di omelie, ricche di particolari anatomici, che definisce… pornografiche. Le donne non possono entrare nelle moschee, fare spesa al mercato, andare a scuola, mostrare il volto, partecipare ai funerali al cimitero, nei giorni festivi stiano a casa, perché provocherebbero gli uomini vestendo abiti nuovi e attraenti; in caso di adulterio sono loro le colpevoli, in caso di stupro lo devono provare con testimoni maschi fisicamente presenti al fatto… E il Bangladesh va male perché ha dato autorità politica a donne.
L’editoriale, intitolato “Quando le donne sono una specie a rischio” è un appello alle forze secolari perché reagiscano.
AMAG
I Fratelli Maristi (istituto fondato in Francia all’inizio del 1800) sono arrivati per la prima volta in Bangladesh alla spicciolata, quattro anni fa, appoggiandosi al PIME per lo studio della lingua. Per questo li abbiamo conosciuti: gente simpatica, stagionata e molto varia, provenienti da Spagna, Germania, Isole Salomone, Argentina…una decina in tutto, di 9 paesi diversi. Qualcuno non ce l’ha fatta ed è ritornato indietro, altri sono arrivati a rimpiazzare. Stanno cercando il servizio migliore da rendere in questo paese, secondo il loro carisma che è l’educazione dei giovani, specie poveri.
Sembrava tutto qui, invece un invito a guidare per loro un corso di ritiro a Hua Hin (Thailandia) mi ha fatto scoprire che c’è altro. Otto anni fa il loro Istituto ha fatto i conti: su 4200 fratelli solo 200 impegnati in Asia sono troppo pochi; e ha preso sul serio l’affermazione di Giovanni Paolo II che il terzo millennio dev’essere per la Chiesa il millennio dell’Asia (Ecclesia in Asia, n.1). Pensa e discuti, hanno formulato il progetto AMAG: Asia Mission Ad Gentes. Il superiore ha scritto a tutti chiedendo ad almeno 150 fratelli di offrirsi spontaneamente per un servizio in Asia di 9 anni. In poco tempo si sono resi presenti con varie piccole comunità, oltre che in Bangladesh, in India, Thailandia, Cambogia, Vietnam, Cina, Filippine. Un bel segno di vitalità: auguri!
Legalità
Chiamiamolo Dilip, perché non si sa mai. Un simpatico giovanotto sui 25 anni, studente universitario pieno di buona volontà, e pure mezzo intenzionato a farsi missionario.
Tempo fa aveva accompagnato in visita per Dhaka uno straniero, guadagnandosi 50 euro. Li custodisce gelosamente finché, mesi dopo, si trova a dover pagare il conto di ospedale e cure per la sorella ammalata. Dà uno sguardo d’addio ai 50 euro, li mette nello zainetto insieme a 2000 taka (valore 20 euro), poi esce per venire a chiedermi di cambiarglieli.
Giorno di sciopero, uno dei tanti. Questa volta a proclamarlo e organizzarlo sono quelli del Jamaat, i fondamentalisti, i “duri”, capaci non solo di picchiare e incendiare, ma di mettere bombe. Quindi le forze dell’ordine hanno un mandato severo: sorveglianza strettissima.
Dilip, a piedi, gira l’angolo e viene fermato da una pattuglia di polizia. “Che hai nello zaino?” Saltano fuori un mango e un coltellino per tagliarlo – sequestrato – poi i 50 euro, che spariscono, e le 2000 taka, consegnate al “capo”. “Quanto valgono quegli euro?” “Non so, stavo andando a cambiarli, spero abbastanza per pagare l’ospedale…” L’interrogatorio si prolunga, si fa duro. “Ti portiamo alla stazione di polizia.” Pausa per passare ad altri malcapitati: uno sta portando a riparare un portatile, e viene accusato di averlo rubato. Un altro è sospetto perché non ha con sé nulla, quindi… sta leggero per andare a tirare sassi. Nuovo interrogatorio. Nuova attesa. Si fa avanti un poliziotto: “Lo conosco, è un bravo ragazzo del mio paese, potete lasciarlo andare.” “Quanto ci dai?”. Dilip pensa al conto, discute pieno di paura, poi concordano 1000 taka – e una firma su una pagina in bianco, con tanto di nome, indirizzo, telefono, e dati vari.
“Posso andare?” “Certo!” Ora si fanno in quattro per trovargli un triciclo a motore e minacciano l’autista perché non chieda troppo. “E gli euro che avete preso all’inizio?”. “Quali euro? Noi non abbiamo visto nessun euro. Vai pure… Ah, e ricorda che hai firmato!”
Corteggiati
La cocente e inattesa sconfitta subita dall’Awami League ha varie cause. Probabilmente la corruzione e l’arroganza del partito, ubriacato dalla brillante vittoria ottenuta 5 anni fa, sono le cause principali. Si aggiunga la rabbia di vedere che la sezione giovanile del partito ha spadroneggiato violentemente dal giorno della vittoria fino ad oggi, senza che nessuno tentasse seriamente di frenarli. Da ultima, s’è aggiunta l’astuta propaganda del movimento Hefajat-islam (Difendiamo l’Islam) che ha capillarmente diffuso l’idea che l’Awami League è un covo di atei e nemici dell’islam. Come difendersi? Di eliminare la corruzione manco si parla: altrimenti siamo al potere per che cosa? Rinunciare all’arroganza e cercare qualche compromesso politico è impensabile, sarebbe un segno di debolezza. Mettere le briglie al movimento giovanile? Impresa disperata a questo punto, e a pochi mesi dalle elezioni. Non resta che corteggiare l’islam, e fare a gara con il BNP per dimostrare che anche l’Awami League, partito che era laico, è in realtà devotissimo, religiosissimo, tutto casa e moschea, pronto a finanziare, proteggere, incrementare tutto ciò che porta l’etichetta di islamico.