1980. Seduto all’ombra di una casetta di terra, aspetto che escano le due suore che vi abitano da qualche di tempo. Poco distanti, tre donne chiacchierano pensando che io non capisca il bengalese. “Chi sono queste due?” chiede la donna che viene da un altro villaggio. “Si chiamano sister, sono straniere, bianche.” “Che fanno?” “Ma, non so bene neanche io: pregano, vanno a trovare i malati, fanno giocare i bambini, coltivano l’orto…” “Niente altro?” “Non so, forse faranno una scuola, oppure un dispensario. Però noi siamo contente, perché sono proprio molto buone.”
Questo episodio mi viene in mente quando mi metto a scrivere due righe di congratulazioni per la prossima celebrazione (il 15 novembre) di 60 anni di presenza delle Missionarie dell’Immacolata in Bangladesh. All’inizio erano poche, tutte italiane. Oggi sono oltre 70, quasi tutte locali. Allora desideravano evangelizzare e stare con i poveri, ma non sapevano bene che cosa avrebbero fatto; ora hanno programmi, scuole, dispensari, sanno che devono insegnare, curare, visitare, fare catechesi… Un bilancio di queste cose sarebbe molto interessante, e incoraggiante.
Ma mancherebbe ancora della parte più importante, che non si può misurare: quante persone sono state consolate da una loro visita? Accompagnate alla fede, o alla morte? Appoggiate nel bene, sostenute nella pazienza e nel perdono? Quante hanno mormorato, con semplicità: “Sono molto buone”? Mi pare che questo sia il complimento più bello che possono ricevere, l’obiettivo più concreto che possono darsi. Piacerebbe tanto anche a Papa Giovanni XXIII e a Papa Francesco.
Archivio mensile:Novembre 2013
12 – 24 – 48 – 72 + 24
“Dall’alba al tramonto”: era la formula con cui, in questi mesi, si organizzavano giornate di scioperi politici e blocchi della circolazione (hartal), con le motivazioni più varie: aumento dei prezzi sui mercati, condanna di un criminale di guerra, pestaggio di studenti universitari, “mancanza di rispetto” alla religione, frequenti interruzioni dell’erogazione della corrente elettrica… Ultimamente la faccenda s’è incattivita. I temi si sono focalizzati su un punto preciso: elezioni con un governo speciale istituzionale, non con un governo formato dai partiti. Nessuna delle due coalizioni arretra, e allora da una giornata (12 ore) si è passati a 2, poi 3 consecutive, lasciando libere le notti che diventavano incredibilmente affollate di traffico e commerci. Niente cambia, allora… sciopero anche di notte: 24 ore, poi 48, poi 72. Si prende l’abitudine di intimidire i disobbedienti bruciando i mezzi su cui viaggiano, gettando bombe rudimentali ma efficacissime per provocare ustioni su tutto il corpo. Entra in uso anche l’incendio preventivo: prima che inizi lo sciopero, si va a spasso dando fuoco a autobus e cittadini, perché si affrettino verso casa… La conta dei morti e dei feriti aumenta. Il governo si straccia le vesti per le crudeltà dell’opposizione; il Segretario del BNP afferma gelido: bombe e incendi sono opera di provocatori mandati dal governo. I professionisti della protesta passano le giornate in strada fra manifestazioni, cortei, picchettaggi; i professionisti della coalizione al potere scorrazzano a caccia di oppositori. Intanto, prosegue per conto proprio la lotta sindacale per l’aumento degli stipendi dei milioni lavoratori delle fabbriche di tessuti e abiti: vogliono che il salario minimo passi da 3.000 a 10.000 taka al mese. Pestaggi, vandalismi, fabbriche chiuse, minacce. Si arriva all’accordo su 5.300 taka (53 euro) al mese.
Ma niente accordo sul fronte politico, e non si sa più che cosa inventare per fare danno. Il governo fa arrestare diversi capi dell’opposizione con l’accusa di istigazione alla violenza; guarda caso, vengono arrestati i moderati, mentre i facinorosi continuano a circolare tranquilli. L’opposizione crea qualche variante: dopo 72 ore consecutive di sciopero, si aggiungano 12 ore di oborod (si può lavorare, ma non circolare). Si fanno marce con le bandiere nere, catene umane, assedi a sedi di partito. I notabili locali di tutti i partiti diventano bersagli, e gli omicidi aumentano.
Ultime notizie: il 17 novembre il tribunale emetterà la sentenza a proposito di Tareq, figlio della capo dell’opposizione Khaleda Zia, accusato di corruzione. I suoi sostenitori si radunano e si preparano a proteste grandiose, qua e là incominciano con incendi e vandalismi prima che la sentenza venga emessa. Poi – colpo di scena: il tribunale assolve Tareq. Grande giubilo! E i danni provocati? Opera di provocatori del governo.
Parrocchia
E’ una mattinata splendida, con cielo terso, tanto verde dei campi di riso e degli alberi, aria fresca. Sulla macchina del vescovo c’è il Nunzio, perciò siamo preceduti da una camionetta della polizia, ma anche la sirena si fa sentire poco, e non sembra aggressiva. Mons. George Kocherri, al suo primo giro fuori Dhaka dopo aver presentato le credenziali pochi giorni fa, è un indiano del Kerala, gioviale, perfettamente a suo agio nell’ambiente.
Arriviamo addirittura in anticipo, ma già ci sta aspettando fuori della missione un gruppo di danzatori e danzatrici, che ci precede per un pezzo di strada; poi riceve il cambio da un altro gruppo, poi un altro, fino a quattro: pieni di gioia ci accompagnano fino al palco preparato nel prato davanti alla chiesetta.
Oggi – 16 novembre 2013 – nasce la nuova parrocchia di Kudbir, quindicesima della diocesi di Dinajpur. I fedeli sono tutti aborigeni santal, sparsi in 41 villaggi di un’ampia zona, contenti e ordinatissimi, come sempre sobri nell’espressione dei sentimenti. Anche i bimbi non fiatano durante le due ore di celebrazione. Tutto è molto semplice, ha sapore di autenticità.
Tanti missionari, e recentemente preti locali, hanno continuato per anni a visitare queste zone, con pazienza, spesso forti disagi, delusioni, fiducia. Fra i tanti, p. Sandro Giacomelli è rimasto qui, sepolto proprio vicino alla cappella. Nella sua continua ricerca di come essere missionario, e come essere uno insieme ai “suoi” santal, era approdato in questo sperduto villaggetto, in una casa di terra. Lo avevano criticato, perché spesso era a sua volta critico; qualcuno lo riteneva interessato solo allo sviluppo sociale dei santal, altri troppo partigiano nello sposare questo popolo trascurando gli altri.
Ci stimavamo a vicenda, … e non mancavano contatti che provocavano scintille…
Vado a visitarlo, mi accoglie volentieri, minimizzando i disagi della vita che ha scelto. Attento alle persone, prima mi presenta la cuoca, e poi mi offre un piatto di riso con curry molto piccante, e un tipo di carne che non conosco. E’ buono, anche se mi fa lacrimare. Lui, mangia guardandomi di sottecchi, con l’aria tra provocatoria e sorniona. Alla fine non ce la fa più: “Lo sai che cosa hai mangiato?” “Sì – dico – carne di topo”. Indovinato! Uno a zero a mio favore… lo scambio di idee e impressioni si fa ancora più interessante e spontaneo.
Poi dovette andarsene per malattia, e quando si riprese scelse di dedicarsi ai santal in un altro modo: rintracciando i loro giovani che sempre più numerosi si stavano disperdendo – e perdendo – in cerca di lavoro nei meandri dell’immensa Dhaka. “Le difficoltà ora sono qui, nei villaggi al confronto si sta benissimo.” Come aveva quasi previsto, fu proprio la città ad ucciderlo, travolto da un camion.
P. Michele Brambilla, dopo qualche anno, ne ha raccolto l’eredità. Altro carattere, stile, idee, ma stessa passione per il Vangelo e per la gente, ha accompagnato a consolidarsi le comunità che Sandro aveva avviato, come divenne subito chiaro, con una catechesi e un metodo ottimi. E ha dato loro la voglia di diventare protagoniste del loro cammino cristiano.
Seduto sul palchetto, in fila con il Nunzio, e gli altri “pezzi grossi”, non mi stanco di guardare questa gente semplice che, seduta sulle stuoie, prega, canta, ascolta, e si sente parte della grande realtà della Chiesa. Che cosa li ha mossi a diventare cristiani? La loro fede ora sostiene la mia. Il mistero dell’amore di Dio che si fa uomo è affidato a loro, è attraverso di loro che gli altri sapranno qualcosa di Gesù – proprio come a Betlemme “gli altri” vennero chiamati dai pastori ad andare a vedere un bimbetto deposto in una mangiatoia.
Penso che p. Sandro sarebbe contento, anche se la presenza del Nunzio e della polizia gli offrirebbero l’occasione per fare qualche battuta pepata. Nel Regno dei Cieli non ci saranno divise nè titoli, entreremo tutti insieme, tenendoci per mano.
Festival
Piove forte, fuori stagione, ma sono pur sempre un centinaio i ragazzi e ragazze (meglio dire bambini) “di strada” radunati da Fratel Lucio per l’ottavo loro Festival, ospitato nella prestigiosa scuola “St. Joseph”, il 25 ottobre. Arrivano da vari quartieri di Dhaka, dove gli oltre 40 volontari di ogni ceto, età e religione li visitano ogni settimana giocando con loro, provvedendo ai malati, insegnando qualcosa, soprattutto facendo sentire che non sono abbandonati. Si apre la giornata con un “mago” che fa strabilianti giochi di prestigio, poi si passa a lavori manuali divisi in varie salette, e mentre da pezzetti di carta nascono fiori, bambole, disegni, un medico professore universitario si ferma un po’ in ogni aula per curare mali di pancia e bronchiti, medicare tagli e infezioni, consigliare. Segue un pezzo teatrale realizzato da una piccola compagnia: storia di animali parlanti, un gran ridere. Poi… il miracolo: sono passate le 14 e abbiamo tutti una fame da lupi. I ragazzi si dispongono attorno a grandi tavoli preparati nella hall aperta al piano terra, i volontari portano di corsa fumanti, profumati piatti di riso, con uovo, carne, verdure. Ma nessuno tocca nulla, si aspetta che l’ultimo piatto sia portato all’ultimo ragazzo, e la preghiera, poi via!
Non è finita. Dopo danze, canti, condivisioni, per evitare i temuti disordini politici, che infatti avverranno, si anticipa il ritorno… sulla strada.
Tre studenti che ho portato con me per vedere, commossi, stentano a lasciarli…
Linea Rossa
Sheik Hasina, primo ministro, e Begun Khaleda Zia, capo dell’opposizione, si erano parlate di persona una volta, nel 1990, per mettersi d’accordo e rovesciare il dittatore Ershad. Poi basta. Solo pochi incroci e sguardi torvi in occasione di celebrazioni ufficiali. La sera del 26 ottobre si sono parlate al cellulare per 37 minuti!
Dapprima Hasina ha chiesto, risentita, come mai ha dovuto ricorrere al cellulare, dato che Khaleda non rispondeva alla chiamata sul “telefono rosso”, installato anni fa (e mai usato) per comunicazioni urgenti e importanti. Khaleda ha risposto risentita che il telefono rosso non funziona da tempo, da quando Hasina l’ha costretta a lasciare la villa che l’esercito le aveva messo a disposizione: doveva sentire che la linea era muta, e chiedere al suo staff di fare il collegamento. Poi si sono date reciprocamente della bugiarda. Dopo di che ha preso il via il colloquio politico.
Intanto, sono confermati tre giorni e due notti (60 ore) di sciopero nazionale totale e il 27 ottobre, primo giorno, ci sono stati disordini in tutto il Paese con 5 morti e 645 feriti, incluso un dodicenne cui è scoppiata in mano la bomba che voleva lanciare. Dall’inizio dell’anno i morti sono 250.
Forse occorrerebbero altre telefonate, non importa su che linea.
Restituzione
“La mia era una famiglia senza molte risorse, povera. Lavoro e circostanze favorevoli mi hanno regalato beni abbondanti, oltre ogni mia aspettativa. Con questo, sono contento di restituire una parte di ciò che ho ricevuto…” E’ la riflessione che accompagna un cospicuo dono per un centro di assistenza ad ammalati di cui mi occupo.
Legna
“Una bracciata di legna buona sul fuoco della nostra amicizia”. Così un carissimo amico che risento dopo tanti anni. Solo una breve telefonata, e l’espressione sincera del rammarico di non poterlo incontrare neppure questa volta. Dispiace a tutti e due, ma pazienza: un’amicizia solida continua a vivere e a scaldare anche dopo tanto tempo, e basta una bracciata di legna buona per mantenerla accesa…
Bentornato
Caro Padre, con gioia ti informiamo che il prossimo 19 ottobre celebriamo la nostra grande festa buddista chiamata WA. I nostri monaci la fanno precedere da tre mesi di penitenza, alcuni vivono vari giorni in caverne per meditare, digiunano. Con questa festa terminano la penitenza e noi fedeli ci uniamo a loro per pregare per la pace e la giustizia, celebrare, festeggiare con gare, giochi, canti, suoni di tamburi, luci… lo facciamo anche nel nostro ostello e i ragazzi sono entusiasti di prepararsi. Pregheremo la mattina nel tempio e poi faremo festa tutto il giorno.
Vogliamo far partecipi tutti gli amici di questa gioia. Quelli che ci aiutano, che ci ricordano, che pregano per noi (e noi per loro).
Dì a tutti che alcuni di noi hanno superato bene gli esami di dodicesima. Uno sta cercando di farsi ammettere all’università, siamo molto fieri. Molti nuovi vogliono venire. La piantagione di gomma cresce. Il frutteto è pieno di papaie grosse, grosse…
La lettera è arrivata con buon anticipo, e poco prima del 19 ottobre sono arrivati, dopo 16 ore di viaggio, Mong Yeo, direttore dell’ostello Marma, con un ragazzo e una ragazza che lo aiutavano a portare un borsone delle loro davvero gustosissime papaie con la polpa rossa e, cosa che non avevamo mai visto, nè io nè i ragazzi e la cuoca bengalesi con cui mi trovo in questi giorni, banane dalla buccia rossa, saporitissime.
Arrivato dall’Italia, potevo ricevere un “bentornato” migliore di questo?