Pian Piano

Per cinque anni, il Bangladesh ha avuto un Nunzio vaticano coreano. Tra l’altro, ha raccolto molti Coreani che lavorano qui e li ha seguiti pastoralmente (con qualche battesimo di adulti) e ha fatto in modo che venissero in Bangladesh ben tre congregazioni di origine coreana, che hanno trovato sistemazione in tre diocesi. Fra loro, dopo ricerche, dubbi e tentativi, le Suore dell’Istituto Missionario di Corea sono approdate a Dinajpur. Hanno faticato non poco, a cominciare dalla pioniera suor Fiat (sì, come Alfa Romeo) che sembrava fragile fragile e invece s’è dimostrata tenace quel che basta per non scoraggiarsi. Difficile la lingua (qualcuna non ce l’ha fatta ed ha fatto ritorno alla base), la cultura, il cibo, il clima, intendersi con i locali e fra loro – ma difficile soprattutto scoprire che cosa fare, come “situarsi”. Intelligentemente, hanno deciso di darsi tempo e iniziare dentro strutture e iniziative di altri: un ospedale diocesano, una scuola tecnica… Il primo tentativo di far da sé s’è rivelato un flop – proprio come la prima missione del PIME in Papua (1855), anche se non così drammaticamente. Ora però, qualcosa sta prendendo forma. Pochi giorni fa, il Vescovo, ha benedetto le fondamenta di una nuova scuoletta per “diversamente abili”, che sorgerà proprio vicino alla loro casa anch’essa in costruzione. Auguri!

Numerati

L’anno scorso ho comprato un campo. Non chiedetemi quanto grande, perché ve lo so dire solo in misura bengalese (4 biga e 1/3) e non so come spiegarlo in misure italiane. Non immenso, comunque. L’ho comprato con i vostri soldi, presentando un progetto al fondo “5×1000” messo a disposizione del PIME, grazie a chi lo ha scelto come destinatario di questa fettina di tasse che il governo assegna ad usi sociali gestiti da organizzazioni non governative. Il progetto si chiamava “Riso per crescere”, perché il campo va coltivato a riso, che – debitamente raccolto, trebbiato, ecc. – sfamerà ragazze e ragazzi del centro “Snehanir”, che devono appunto crescere.
L’altro ieri sono venuto a Rajshahi, ospite di Snehanir, dove sta per tenersi il pellegrinaggio annuale dei “diversamente abili”. A cena hanno messo in tavola alcuni “ciapati”, che sono una specie di pane simile alle piadine, anzi meglio, le piadine sono simili ai ciapati. Ne prendo uno, e m’accorgo che tutti mi guardano curiosi, mentre lo addento. Buono, ma… che c’è? “C’è – mi dicono trionfanti – che li abbiamo fatti noi, con la farina del primo raccolto del “tuo” campo!”. Il campo di riso, per questa volta ha dato frumento, non solo, ma anche se voi saggiamente direte che sono impressioni psicologiche legate al fattore emotivo, ecc. vi assicuro che quei ciapati sono i migliori che io abbia mai mangiato. Anzi, i migliori del mondo. In assoluto – come si dice.
Abbiamo deciso di concedere a qualcuno il privilegio di assaggiarli: li mettiamo in vendita. Non a casaccio però, in balia di un pubblico che non li sappia apprezzare! Saranno ciapati numerati, come le riproduzioni d’arte e come le Ferrari. Da uno a cinquanta e basta… anzi, da uno a trenta.
Il prezzo? Pagatevi il viaggio per venirci a trovare, e ve li diamo gratis.

BUONA PASQUA!

Telefonata

Telefona Mong Yeo. Sullo sfondo, le voci dei ragazzi che giocano. Saluti… “Che notizie?” “Niente di speciale, tutto bene, ma c’è Phru che ti vuol parlare…”. Phru frequenta – se non sbaglio – la quinta elementare, e ricordo il suo faccino simpatico, con due grandi occhi tondi e i capelli a caschetto, in una sua foto dove, piccola piccola, trasporta con fierezza una specie di materasso che quasi la sommerge. Mi saluta contenta, mi chiede come sto, quando vado a trovarli… chiedo notizie e risponde con sicurezza, poi conclude: “Guarda che ti ricordiamo tutti i giorni, però anche tu ricordati di noi.” Forse voleva solo farmi sapere che ormai è grande, e quindi è capace di telefonare. Ripenso ai primi tempi, quando ci siamo conosciuti e i bimbi mi guardavano timidissimi, smarriti, affogati nei loro vestitini malconci, incerti sull’identità di questo straniero che parlava in bengalese a loro, che capivano solo la lingua marma. Phru non c’era all’inizio, è arrivata dopo qualche anno, anche lei impacciatissima. Sentirla ora che mi dice, spigliata e fiera: “Volevo proprio parlarti”, è stato come bere un sorso di acqua freschissima, o come ricevere un fiore appena sbocciato.

Archivio

P. Gregorio, dopo l’operazione alla valvola cardiaca, non s’è ristabilito bene, ma ha voluto tornare fra noi. Debole debole, lo abbiamo aiutato a coniare un’espressione per spiegare come si sente: non “stanco morto” perché morto non è, ma “stanco vivo”. Letto, quattro passi – proprio quattro di numero, al massimo cinque – mezzo piatto di minestrina, letto. Ogni tanto sbuffa, ma subito dopo lo senti canticchiare i canti dei bei tempi: La Montanara, Fazzolettino, Piemontesina bella… P. Fabrizio gli propone una variante, “Che sarà” di Sergio Endrigo. Lui ascolta curioso, ma non gli va dietro: “Ma questi sono canti moderni, io non li so…”
Partendo, ognuno di noi missionari ha portato con sé un piccolo, personale archivio musicale: le canzoni e filastrocche dell’infanzia, i canti della giovinezza, quelli in parrocchia… Poi ne ha imparati altri, ma in altre lingue e stili; l’archivio rimane nel fondo della memoria, e non s’aggiorna. Riaffiora, e si spolvera quando abbiamo le riunioni e celebriamo insieme in italiano, e allora magari salta fuori il canto offertoriale “Al tuo santo altar”, primo in assoluto (credo) del rinnovamento liturgico post-conciliare, oppure “Esci dalla tua terra” che, anche se nessuno lo sa, è stato ideato e composto da due missionari` del PIME sul punto di partire: P. Ghislandi e P. Cocquio, primissimi anni ’70. Fuori di chiesa, quando arriva un poco di nostalgia, da soli o insieme, ecco i canti di montagna, quelli degli scout, dell’oratorio, Sul mare luccica e Oh mia bela Madunina… a noi sembrano nuovi, e vibrano come allora.
Se qualcuno vuol fare ricerche archeologiche musicali, venga a trovarci!