Questa “scheggia” sarà per il pellegrinaggio, o per Fratel Ettore? Vedete voi…
Il pellegrinaggio si è svolto il 31 ottobre a Rajarampur (Dinajpur), al santuario della Beata Vergine del Rosario di Pompei, la cui costruzione, nel 2000, è stato un raro esempio di stretta collaborazione fra i nostri missionari “esperti” in edilizia – tutti autodidatti, tutti abili, ma con idee e stili differenti. Un primo miracolo?
In una giornata splendida, il programma si è svolto con perfetto ordine (in queste occasioni i tribali sono disciplinatissimi, pazienti, silenziosi), organizzazione lodevole, addirittura puntualità. Presenze maggiori del previsto: circa 5.000 persone. Nella sua bella omelia (va beh, meglio ancora fosse stata un po’ meno lunga…) il Vescovo ha spiegato che vuol creare una tradizione diocesana.
Purtroppo, nonostante la mia buona intenzione di pregare devotamente, l’insolita puntualità, con la straordinaria bellezza del posto e dei fedeli mi hanno distratto: mi guardavo attorno quasi dovessi trovare Fratel Ettore, che ora sta a Lecco, e vederlo felicissimo per l’evento, ma anche ansioso – il perché lo dirò.
Fratel Ettore Caserini da Pizzighettone (Cremona), dopo alcuni anni nella nostra scuola tecnica di Eluru (India), ne dedicò molti altri alla scuola tecnica di Dinajpur (Bangladesh) contribuendo a dare gli elementi fondamentali dell’organizzazione che ancora adesso funziona. Poi gli venne affidato il sottocentro di Putimari e lui, solo soletto, ispirandosi alla tradizione monastica, fece ampi lavori di bonifica dei terreni della missione e della gente, curando anche la loro formazione umana e cristiana e rendendo il luogo, come gli dissi quando andai a trovarlo – un sorprendente angolo di Svizzera in Bangladesh. Dopo una pausa in Italia, e un periodo alla scuola tecnica di Watuluma (Papua Nuova Guinea), quando sembrava arrivato il momento del meritato riposo, Ettore tornò, accettando l’incarico di “custode” del santuario.
Un custode solo soletto, ma decisamente attivo, e preciso. Cucinando per sé, aveva inventato la minestra di verdure (coltivate da lui) “a ciclo continuo”, che bastava cuocere ogni tanto, senza mai svuotare la pentola… Lavorando la terra, chiamando gli artisti e tenendoli ben disciplinati accanto a sé, verificando tutto ciò che veniva fatto, e anche l’ordine preciso con cui crescevano gli alberi (se un ramo non era in riga… zac!), seguendo con pazienza la gente del villaggio e tampinando preti e vescovi perché venissero regolarmente a celebrazioni e feste… ha reso Rajarampur un gioiello. Un grande “pukur” (stagno artificiale) all’entrata, con maestosi alberi all’intorno e illuminazione notturna (per ragioni estetiche e ittiche, perché le lampade attirano gli insetti che nutrono i pesci) rende la vista della bella facciata ancora più bella. Lungo un ampio muro di cinta, bassorilievi con i misteri del rosario, presso il pukur la Via Crucis, sul lato sinistro acqua, panche e servizi per i pellegrini, alberi da frutta, salette di riunione, parcheggio esterno, proibizione assoluta di picnic, di foglie secche fra l’erba, e di chiacchiere inutili; prato… non alla svizzera ma all’inglese.
Attenzione, questo non è un necrologio in cui si possono anche ingrandire le virtù, tanto nessuno contraddice: Ettore è vivo e sta bene!. Perciò dovete credermi: Rajarampur è davvero bello, e i pellegrini, il 31 ottobre, continuavano a dirlo, meravigliati.
Contentissimo del pellegrinaggio sarebbe stato anche lui, perché ho parlato di ansia? Eh sì: per l’erba inevitabilmente calpestata da migliaia di piedi, e per cartacce e sacchetti di plastica inevitabilmente sfuggiti al servizio ordine e pulizia; che era buono, molto buono, ma… senza Ettore…
Archivio mensile:Novembre 2014
Gregorio
Dopo un tempo lungo di paziente, graduale indebolimento, p. Gregorio Schiavi ci ha lasciati. Era un uomo buono, che ha camminato fuori da ogni schema, difficile – anzi impossibile da “inquadrare” e anche soltanto da descrivere. Stavo pian piano preparando la mia “scheggia”, quando mi è arrivato un “ritratto” di lui molto bello e vero. Questa volta vi propongo dunque una scheggia insolita, che non è opera mia, ma di P. Quirico Martinelli. .
Carissimo Gregorio, e così ce l’hai fatta… a morire in Bangladesh. Tre anni fa ti avevamo comprato,a tua insaputa, prendendo l’occasione della venuta di tuo fratello Virgilio, il biglietto aereo per andare in Italia insieme a lui, a fare un controllo medico, necessario dopo l’operazione che avevi avuto anni prima alle valvole del cuore… ma avevi detto ancora di no: avevi paura, anche se non lo dicevi apertamente, che non saresti più potuto tornare in Bangladesh… Il Bangladesh e la sua gente era la tua vita e la tua felicità…
51 anni di Bangladesh non sono pochi e non sono stati facili neanche per te, ma li hai vissuti con serenita, gustandoli giorno per giorno… Dopo i primi anni passati nelle missioni tradizionali, hai fatto la scelta di vivere nel villaggio, per essere ancora più vicino alla gente, anzi,per diventare come loro… I Santal,nel cui villaggio sei andato a vivere, ti hanno accolto e ti hanno dato un nuovo nome “Chondon” e uno dei loro cognomi “Mardi“… Loro ti chiamavano “Naikè” che in lingua Santal significa “uomo della religione”…
E così hai vissuto 30 anni nel villaggio di Mohespur, lontano dal centro della Missione di Suihari 40 Km. Ti sei fatto uno di loro in tutto, nei loro pregi e anche prendendo qualche loro difetto… A molti di noi tutto questo sembrava anche un po’ esagerato: ma come si può misurare, se c’è una misura, questo ” Farsi tutto a tutti…” come diceva S.Paolo? (1 Cor.9,19) Sono stati anni di grande lavoro: scuole per i bambini, cooperative per i contadini, lavoro per la gente (avevi iniziato anche una tessitura) ed evengelizzazione: avevi sempre due catechisti a tempo pieno che giravano per i villaggi non cristiani… e parecchi villaggi non cristiani in quegli anni hanno chiesto e ricevuto il Battesimo…
Io ho condiviso con te 10 anni, stando però al centro della missione, a Suihari. Ho visto i tuoi sacrifici: (non ti preoccupavi per niente di te stesso: tu dicevi che la vita di villaggio non era un sacrificio per te, anzi ci godevi un mondo…). Ho visto il tuo amore per la gente e soprattutto per i bambini: la tua casa ne era sempre piena. Quanti ne hai fatti studiare e quanti hai avviato al lavoro nella nostra scuola tecnica di Dinajpur! Venivi a Dinajpur con la tua moto (che non hai mai voluto cambiare, anche se spesso si rompeva, vista l’età…) carica di bambini…
Una sera sei arrivato molto tardi, sotto l’acqua, spingendo la moto rotta, con i tuoi bambini… Dopo un po’ ti ho sentito cantare, mentre facevi la doccia… E’ questo, che faccio ancora fatica a capire e in un certo senso anche ti invidio: in tutti i guai e i dolori che hai avuto, sei sempre stato sereno: mai ti ho sentito lamentarti e tanto meno criticare o inveire contro qualcuno. ” Cetbon cekaia ” dicevi in santal, che signifiva “Che vuoi farci ! ”
E ne hai avuti tanti di dolori e fallimenti (la tua tessitura è fallita: il manager si è magiato fuori i soldi… e poi anche la cooperativa di credito è andata in crisi: molti non davano più indietro i prestiti…) Mi dicevi un giorno: “Vedi,quando i guai vengono dall’esterno, si sopportano, ma quando vengono da quelli più vicini, quelli che vivono con te, allora è più difficile, più dura… Con questo ti riferivi ai guai e alle delusioni avute nella tua famiglia, da quelli che vivevano con te… Ti dissi un giorno: “Tutti questi guai te li vai a cercare tu o vengono per conto proprio?” Mi risposi “Un po’ tutti e due le cose!” Secondo me tu gli volevi bene così tanto, da accettarli cos’ com’erano, nel bene e nel male…
Il sindaco di Mohespur (mussulmano) alla fine del tuo funerale si è rivolto alla gente dicendo loro: “Ricordatevi che se non era per il padre Gregorio, voi sareste scappati tutti in India e avreste perso tutto, case e terreni…” Con questo si riferiva ai disordini scoppiati negli anni ’80 per cui molti tribali erano scappati in India dove si sentivano più al sicuro. Tu avevi faticato non poco a convincerli a restare, dicendo loro ” Non abbiate paura, io rimango con voi! ” Alla fine sono rimasti, tutti…
Anche tu potresti dire, come don Milani: “Signore, talvolta forse è potuto sembrare che io abbia voluto bene più alla mia gente che non a Te. Ma Tu, che tutto vedi e tutto comprendi, sai bene che Tu sei sempre stato nel mio cuore e tutto quello che ho fatto, l’ho fatto per Te.”
Riposa in pace, carissimo Gregorio, e prega per noi il Signore perchè tra le vicende belle e quelle difficili della vita, sappiamo anche noi gustare un po’ quella “Perfetta Letizia” di cui parla san Francesco, e che tu hai avuto la grazia di godere… I tuoi ultimi tre anni sono stati molto faticosi e dolorosi: dentro e fuori dall’ospedale, ma sempre sereno, senza lamentarti, e sempre accogliente con tutti quelli che venivano a trovarti… Hai terminato il tuo cammino in mezzo ai fiori… e in mezzo alla tua gente, come tu hai desiderato… Ed ora puoi dire come san Paolo: (2 Tim. 4,1) ” Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta soltanto la corona di giustizia che il Signore mi darà…” La corona di fiori l’hai già ricevuta dalla tua gente e questo, penso, sia un buon lasciapassare per avere la corona del Signore in Paradiso… Un grande abbraccio da tutti noi…
p. Quirico
P. GREGORIO SCHIAVI (1935-2014)
P. GREGORIO SCHIAVI è morto il 2 Ottobre, dopo lunga malattia, all’età di 79 anni in Bangladesh, dove ha vissuto per 51 anni. Nasce ad Onore, Bergamo, il 19 ottobre 1935. Entra nel PIME a Villa Grugana nel 1958, proveniente dal Seminario di Bergamo. Il 30 marzo 1963 è ordinato presbitero a Milano dal card. G. B. Montini e nell’ottobre dello stesso anno parte per la missione di Dinajpur. P. Gregorio è mancato alle 12:00 ora locale del 2 ottobre 2014. Il funerale si è svolto il 3 Ottobre alle 15:00 e, secondo le sue volontà, è stato sepolto nel villaggio di Mohespur, dove ha passato gli ultimi trent’ anni di missione in Bangladesh.
Coetanei
Carissimo Achille,
71.
“Una bella età”, si diceva una volta. Oggi invece dicono: “Ancora giovane!”
Comunque sono 71, e a me va bene che sia un’età bella.
L’età in cui ci si distacca, ma con pace, ci si arrende, ma non da sconfitti.
L’eta’ in cui si accoglie senza pretendere di possedere, e in cui si è indulgenti senza abbandonare ciò che è giusto.
L’età in cui Dio si avvicina, e noi possiamo incominciare a sorridergli senza rivolgergli troppe domande. Un abbraccio. Franco
Carissimo Franco,
parole sagge che meditiamo insieme mentre il cammino procede.
Angelo Silesius mi sta aiutando con le sue sintetiche ma profonde meditazioni:
“Nulla da te Dio vuole se non che in Lui riposi.
Fa’ questo e Lui per te farà ogni altra cosa”.
Un grande abbraccio ! Achille
Sepoltura
“Fino a pochi anni fa, quando qualcuno moriva, eravamo costretti ad avvolgere la salma in una stuoia, legare dei sacchi di sabbia ai fianchi e buttarla nel
fiume. Poi è arrivato p. Arturo che si è interessato di noi. Ora il nostro villaggio ha un pezzetto di terra dove possiamo seppellire i nostri morti.”