Mukto

“Mukto” significa “libero”. Mesi fa c’è stata un’energica campagna di stampa contro l’uso, diffusosi fra contadini, macellai, pescatori e commercianti di usare abbondante formalina per conservare frutta, verdura, carne, pesce. Le autorità sono intervenute esaminando, sequestrando e distruggendo carichi sospetti diretti a Dhaka; ma la stagione dei mango quest’anno è stata magra e triste per la paura diffusa. Sono stati messi in vendita anche “kit” per esami “fai da te” rivelatisi in seguito non corretti, e sono apparsi qua e là mercati con la vistosa scritta: “Formalinmukto Bajar”: Mercato libero dalla formalina.
L’idea è piaciuta a qualche pezzo grosso. Poiché la legge che proibisce la mendicità, solennemente approvata dal parlamento, non ha avuto neppure l’ombra di un risultato, ora le autorità di uno dei due municipi di Dhaka hanno creato le aree libere da mendicanti. Un bel cartello stradale triangolare di un simpatico colore arancione reca la scritta “bhikkhuk mukto elaka” (zona libera da mendicanti), e l’immagine di un anziano che tende la mano. E c’è una X sovrapposta – per fortuna non sul mendicante ma sulla mano tesa. Le zone libere per ora sono tre: quella delle ambasciate, quella dell’aeroporto, quella degli hotel di lusso. Chi viene a Dhaka può tenerlo presente.

P.S. Una dispettosa fotografia pubblicata da un quotidiano riprende il cartello in primo piano, e sullo sfondo tante auto incolonnate, con due mendicanti che si destreggiano fra l’una e l’altra, con la mano tesa per chiedere…

Scale

E’ normale che molti viaggino sui tetti dei treni, a vederli da lontano sembrano pure comodi e tranquilli; qualche ragazzotto fa anche le corse da un vagone all’altro. Il salire e scendere però, agganciandosi a finestre, ganci e affini, è un altro discorso. Qualcuno mostra evidenti segni di fatica. Nelle grandi occasioni si avventura anche qualche donna, e allora il problema diventa grave – specie se indossano il sari. Ma sarà così ancora per poco tempo, perché si sta diffondendo il mestiere dello “scalista”. Ragazzi intraprendenti stanno pronti; basta un cenno del passeggero, corrono con una scala a pioli, l’appoggiano nel punto richiesto, e il passeggero/a sale o scende senza troppa fatica, spesso aiutato dallo zelante scalista, sistemandosi adeguatamente sulla sua porzione di tetto o andandosene con il suo bagaglio. Tutto con la modica spesa di taka 10/.

BUON NATALE A TUTTI !

 

 

Faro

L’Unione Europea sta finanziando un progetto di sostegno alle scuole elementari in Bangladesh, attraverso organizzazioni locali, fra cui la Caritas. Si chiama “Lighthouse”, in bengalese “aloghor”, in italiano “faro” – della conoscenza, presumo…
Sguinzagliati fra scuole e scuolette, gli incaricati Caritas hanno anche il compito di provvedere ai bambini che a scuola non ci possono andare. Infatti, nei primi due anni del progetto quinquennale, ne trovano parecchi con problemi fisici o mentali. Per aiutarli devono appoggiarsi a opere già esistenti, che però sono pochissime o non affidabili. Così – nonostante le perplessità di qualche funzionario europeo che, mi dicono, avrebbe fatto volentieri a meno di rivolgersi a opere della Chiesa Cattolica – approdano anche alla diocesi di Dinajpur e ne sistemano alcuni. Poi, a Rajshahi, si fanno vivi con il nostro Snehanir (Casa della tenerezza), per la sua esperienza decennale e la sua bella comunità mista di ragazzi e ragazze, normodotati e con handicap, affidata alle suore locali Shanti Rani. Ci fanno abbondanti complimenti, promettono sostegno economico e organizzativo, e ci convincono (non ci voleva molto…) ad accettare venti bambini e bambine non vedenti o non udenti. Nel prossimo gennaio si aggiungeranno agli altri 28 ragazzi già in comunità che, ne sono sicuro, daranno ancora una volta prova del loro grandissimo spirito di accoglienza e aiuto reciproco. Intanto, nuove maestre e assistenti – tutte prese dal nostro “giro” – si stanno preparando con il braille e con il linguaggio dei gesti.
Venti bambini sono pochissimi, ma per ciascuno di loro sono proprio contento.

 

Donne

So bene che l’autobus parte sempre in ritardo, ma non riesco ad adeguarmi, arrivo in anticipo e mi siedo solo soletto nel buon posto che mi è toccato alla prenotazione: C4. Pian piano i viaggiatori scendono da riksciò vari con marmocchi e bagagli, e si sistemano. Una giovane donna viene alla mia fila, confronta due volte il suo biglietto e i numeri sui sedili, si guarda intorno, mi scruta a lungo convincendosi, penso, che oltre ad avere una età veneranda, ho anche un passato integerrimo. Si siede sul sedile a fianco, C3, senza una parola – e io doverosamente la ignoro. Ne arriva un’altra, più anziana. La guarda, mi guarda, si agita, esita, sbuffa, poi sussurra all’orecchio della mia vicina: “Qui c’è un uomo, cambia posto!”. Forse ha problemi di udito, perché il sussurro viene sentito da tutti i viaggiatori, che ovviamente fanno finta di non aver udito. La risposta suona sicura: “Lo so mamma, non preoccuparti, va bene così.” La donna si guarda attorno in cerca di solidarietà, insiste, poi si rassegna, saluta la figlia e se ne va. Arriva il controllore: “Che posto ha lei?” “Il C3”. “Scusi, adesso vediamo di cambiarlo.” “Lasci pure, va bene così.” Torna la mamma, di fretta: “Ho parlato con l’autista, ora provvede lui.” “Vai a casa mamma, non c’è problema.” Arriva l’autista: “Le ho trovato il posto, vada là…” La giovane cambia posto. L’autobus sta per partire, ma un riksciò si para innanzi e lo ferma, scende in fretta un’altra signora – ben più larga della precedente. S’affanna a bordo e si schianta sul sedile rimasto libero. Iniziano le grandi manovre del controllore, che attraverso un attento gioco maschi-femmine riesce a liberare un altro posto e a mandarvi la signora. Io naturalmente non ho visto e non ho sentito nulla, ma confesso che viaggiare con il sedile a fianco vuoto non mi dispiace affatto. Senonché… c’è una fermata prima di uscire da Dinajpur. Sale una persona sola, una giovinetta (magra). Si siede. Il controllore sa bene che ora il bus è al completo, e fa finta di niente. La fanciulla dorme quasi ininterrottamente per 11 ore, e io – vi assicuro – mi sono comportato in modo integerrimo.

Lobbying

Come tadurre lobbying? Intrigare forse; persuadere il prossimo che le cose stanno proprio come le voglio o le dico io, così che, alla fine, la legge vada dalla mia parte.
Mir Qasem Ali, 62 anni, era giovane quando si dedicò con impegno a torturare, uccidere, stuprare la sua gente a Chittagong, per contrastare il movimento popolare che nel 1971 portò alla creazione del Bangladesh (allora Pakistan Orientale). Sconfitto, scomparve per 6 anni, riaffiorando quando, dopo l’assassinio del Padre della Patria, il vento cambiò direzione. Si diede a riorganizzare gli ex collaborazionisti in vari gruppi di opposizione radicale, e a far soldi a favore suo e del partito Jamaat-ul-Islam, di cui era segretario generale aggiunto. Era nella direzione di ben 36 imprese: banche, istituzioni educative, ospedali, centri di studio, televisioni, ecc. Nel 2010 il vento soffia di nuovo contro: parte l’ondata di processi di capi del Jamaat, con l’accusa di crimini contro l’umanità. Mir Qasem, arrestato con 14 capi d’accusa, firma un contratto da 25 milioni di dollari con una società americana perché faccia “lobbying” a suo favore, convincendo giornalisti, opinione pubblica, ambienti politici in USA, e nel mondo intero, che il tribunale opera contro i diritti umani, viola le norme internazionali, e che lui è innocente. Poi, per buona misura, ne versa altri 50 ad un’altra società.
Il 2 novembre scorso, la Suprema Corte del Bangladesh ha confermato per Mir Qasem la condanna a morte per impiccagione.

Credit Union

Il sistema delle Credit Union, qui in Bangladesh, è stato avviato da un missionario americano 59 anni fa. Il principio è semplice: sei povero e vuoi aiuto? Incomincia ad aiutarti tu stesso dai un contributo alla Credit Union, piccolo piccolo, secondo le tue possibilità, ma regolare. Vuoi che la Credit Union ti dia fiducia? Bene, ma trovati qualcuno che ti conosce e ha fiducia in te quanto basta per farti da garante. In questo modo, ci si aiuta e ci si controlla a vicenda, e il metodo dà buoni frutti – senza escludere periodici guai, imbrogli, litigi…
Il 31 ottobre scorso a Bonpara si sono radunate – dicono – ben 4.000 persone per festeggiare i 50 anni della Credit Union locale, fondata dal nostro P. Luigi Pinos. I primi membri erano 19, con un capitale di 58 taka (50 centesimi di euro). Ora sono in circolazione ben altre cifre, e i membri della Credit Union sono 2.754 – molti dei quali lavorano nella capitale, o all’estero. Non è solo questione di soldi, le Credit Union cercano di formare alla solidarietà, responsabilità, ad un risparmio intelligente.