Ha 11 anni. Nata in un giorno piovoso, l’hanno chiamata Bristi (Pioggia). Ho aiutato i genitori a trasferirsi, quando i loro vicini di casa – aborigeni hindu – li hanno costretti ad andarsene perché si preparano ad essere battezzati nella Chiesa cattolica. Abita lontano, e mi telefona per comunicarmi che è stata promossa in prima media con buoni risultati, e accetta volentieri di andare all’ostello per proseguire. “Però io e mio fratello ci siamo arrabbiati con la mamma, perché ha detto che per Natale e capodanno non potrà darci un vestito nuovo e nemmeno farci mangiare la carne.” E’ grande abbastanza, e le spiego: “Il Natale è bello anche senza vestito nuovo. Ci porta l’amore di Gesù e fra di noi. Voi in famiglia vi volete molto bene, siete uniti, dovete festeggiare la vostra famiglia insieme a Gesù. Neppure Maria e Giuseppe avevano un vestito nuovo, anzi, forse era sporco e stracciato per il viaggio, e avevano trovato una casa proprio malandata. Papà e mamma fanno tanti sacrifici per farti studiare, tu comincia a consolare loro, e a dire che non si preoccupino anche se non possono comprarti un vestito nuovo”. Lungo silenzio. “Ho capito bene. Non preoccuparti, li farò contenti anche senza vestito nuovo. Ma tu a Natale mangerai carne?” “Sì – dico con una certa esitazione – penso di sì…” “Allora metti un piattino vicino al tuo piatto, con un poco di carne, e pensa che quella è la mia porzione”.
A questo punto vorrei scrivere che la sera di Natale, invitato dalle suore insieme agli altri missionari, ho cenato e mangiato il pollo tenendo accanto il “piattino di Bristi”. Invece no, l’ho ricordata più volte durante il giorno e poi – al momento buono – non ci ho più pensato. Mi dispiace; voi però non ditelo a Bristi…
Archivio mensile:Gennaio 2015
Crescita
Nei villaggi aborigeni, quarant’anni fa non trovavi qualcuno che sapesse leggere correntemente, e per celebrare la Messa il prete doveva arrangiarsi a fare tutto lui, anche le letture. Oggi trovi persone istruite, anche universitari, pronti a collaborare e aiutare, e non solo per leggere. Trovi chi sta a testa alta davanti ai musulmani, andando tranquillamente al bazar per prendersi un te e sedersi a chiacchierare. Trovi professionisti capaci e autorevoli, convinti e consapevoli della propria cultura. Certo, gli aborigeni non sono più sottomessi e obbedienti come erano una volta a missionari e preti, qualche volta diventano opportunisti, arroganti. Ma sottolineare solo questo è un errore. Noi non siamo più “tutto” per loro, la nostra autorità si è affievolita, bisogna alzarsi dalla poltrona e mettersi alla pari. Sono i segni della liberazione che avviene gradualmente, del lievito del Regno. E’ lo Spirito che lavora facendo crescere. E qui troviamo la gioia del Vangelo, di essere missionari, quella gioia che – se siamo attenti – non manca mai!
P. Emilio, in Bangladesh con Santal e Orao dal 1975, in una riflessione condivisa durante la celebrazione eucaristica.
Natale
La vigilia celebro alle 21 nella chiesa parrocchiale di Suihari, zeppa. Cantano bene, seguono con attenzione. Finita la Messa, i giovani sparano qualche petardo, e iniziano i kirton, canti tradizionali del Natale, che tanto amano. Dura poco: un vento freddo tagliente fa scappare tutti a casa, a scaldarsi con un goccio (o due, o tre) di vino di palma…
Mattina. Il Parroco p. Zanchi m’ha detto che la Messa è verso le 8.30. Alle 7.30 sono nervoso perché non trovo la borsa con calice, vino, ecc.; alle 8, calma calma, arriva la ragazza incaricata e mi prepara tutto per bene. Su un “jippino” traballante, il seminarista Joseph, la giovane suor Dipa, la novizia Lolita e io partiamo verso Pargao, un villaggio santal che non conosco. La strada è discreta, anche quando diventa soltanto sterrata, e per le 8.45 arriviamo. Ci accolgono un arco di trionfo in tronchi di banani e tante bandierine; di gente non se ne vede. La chiesetta, quasi nuova, è bella ma completamente spoglia, salvo decorazioni di carta colorata e impertinenti palloncini con la scritta “Merry Christmas” appesi dappertutto.
Qualcuno ci porta tre sedie, e se ne va. Mi dicono che la Messa è alle 9.30, quindi c’è tempo per le confessioni, e sguinzaglio i tre accompagnatori ad avvisare che il prete è a disposizione. Aspetto seduto, con tanto di camice e stola, battendo i denti…
I tre, visitate diligentemente tutte le famiglie nelle casette sparse nella pianura, tornano delusi: nessuno s’è fatto avanti. “Niente paura, si vede che qui nessuno fa peccati” – dico per tirarli su. Arriva il catechista, suona il gong e se ne va; entra esitante un anziano che si accovaccia vicino a me, s’inginocchia, prega, e se ne va. Alle 9.40 i tre hanno finito il secondo giro di avvisi, e quando si siedono presso la porta della chiesa, qualche giovane si avvicina per chiacchierare. Sono sempre in attesa, quando entra un tizio con una grossa borsa, estrae l’armonium, lo sistema e se ne va. Subito dopo, seconda serie di colpi di gong. Alle 10 entrano pian piano i primi fedeli, luccicanti nei loro vestiti migliori, e in pochi minuti la chiesetta è piena. Il catechista attacca le usuali preghiere prima della Messa, accompagnate dalla recita dei comandamenti, i precetti della chiesa e altro. Indosso i paramenti, parte il canto d’ingresso e io, pronto ad incominciare, mi siedo all’altare davanti a tutti quando – calmo calmo – si alza un anziano che viene al mio fianco e s’inginocchia per confessarsi. Uno, due, tre, dieci… uno dopo l’altro, prima gli uomini poi le donne, senza fretta, mentre i canti vanno avanti. Ogni volta penso che sia finito, faccio per alzarmi, e se ne alza un altro…
Alle 10.40 incomincia la Messa. Comunico a tutti la mia delusione: speravo che in questo villaggio nessuno facesse peccati, invece vedo che anche voi come me… Ridono di gusto. Della mia omelia pare colgano il raccontino: io ai miei nipotini non facevo regali, ma dicevo: “Vengo io stesso, e gioco con te. Non ti basta?”. Il Signore ha fatto così, è venuto di persona a vivere con noi. Sono un poco scandalizzati di me, e dispiaciuti per i miei nipotini, ma fanno cenni di aver capito e condividere.
Poi tutti fuori. Due musulmani con tanto di barba hanno fiutato l’affare e stanno pronti con un padellone di olio bollente su un fuoco improvvisato; per 10 taka fanno friggere in pochi secondi tre saporite, sottilissime larghe frittelle di un impasto di legumi. Chiacchierando, si fa la fila per questo inatteso antipasto, e intanto si chiacchiera aspettando che sia pronto il cibo per tutti: risotto con carne! Fa capolino il sole, un po’ timido ma sufficiente a scaldare i commensali intirizziti accoccolati all’aperto con i piatti in mano…
Giaccone
Mi hanno regalato un giaccone da motociclista, imbottito, perfettamente su misura per me, caldo. Un poco fuori moda, ma bellissimo. Protegge ottimamente dal vento. In precedenza avevo avuto in regalo un casco da motociclista. Pure lui un poco fuori moda, ma bellissimo.
Io non ho la motocicletta.
Kharma/Destino
Shundori (Bella) ha quindici anni, sta studiando – con un po’ di fatica – in seconda elementare, viene da Bhutahara, un villaggio di Orao dove da qualche anno p. Emilio ha fondato una missione. Sta con noi a Snehanir, perché dalla nascita ha i piedi storti e non cammina. A casa si spostava gattoni, appoggiando a terra non il palmo ma il dorso delle mani su cui s’è formato un callo; piegandoli all’interno, ha finito per stortare anche i polsi, ma questo non le impedisce di usare le mani benino e anche di fare lavoretti di artigianato. Ora ha una carrozzella su cui la portano a scuola, e si trova molto bene in comunità.
Credendo di fare una cortesia, ero andato a trovare la famiglia, trovando un’inattesa atmosfera di gelo. P. Emilio ci aveva detto: “State molto attenti a tenere i rapporti con la famiglia: sono hindu tradizionalisti, non volevano lasciar andare Shundori a Snehanir, ma lei ha insistito. Sono sospettosi e ostili. Non sono mai andati a trovarla…”
Il mese scorso, suor Dipika l’ha accompagnata a Khulna, dove ogni anno, per una ventina di giorni, un gruppo di ortopedici italiani visita e opera, nell’ospedale S. Maria, dei missionari Saveriani con le Suore di Maria Bambina. I medici hanno detto che Shundori, se operata, potrà rizzarsi in piedi e camminare. Possono operare subito, oppure l’anno prossimo; costo totale, simbolico, 10 euro. Abbiamo avvisato il fratello maggiore che sta a Rajshahi e a sua volta ha avvisato i genitori. P. Emilio ha parlato con loro. Il giorno dopo, la sentenza del papà: “Niente operazione: è nata così, viva così.”