Continua

Chi segue le “Schegge” da anni, forse ricorda Dino e Rotna, giovane coppia di insegnanti con due figlie, che – vivendo ai margini di una grande baraccopoli, hanno sentito di dover aiutare alcune ragazze, la parte più debole del variegato popolo delle baracche. Iniziano insegnando a ricamare, passando poi a taglio e cucito, poi aggiungono corsi di alfabetizzazione per le più grandi, e poi si danno da fare per tirar fuori le piccole dalla strada. L’esca è un bel sacchetto con dieci chili di riso ogni mese, in modo che, sicure di poter mangiare, vengano a scuola senza paura di restare a pancia vuota. Quando le bambine sono ormai quasi cento, l’esca si dimostra insicura: spesso il riso finisce nelle mani di papà alcolizzati o drogati che lo vendono lasciando le figlie con la fame. Ecco allora che si organizza la cucina scolastica: classi in due turni, il primo turno mangia a scuola alla fine delle lezioni, il secondo turno mangia alla stessa ora, e poi va in classe. Il tutto in locali ristrettissimi, senza banchi, tavoli, sedie… e sostenuto da una varietà di donatori che Dino sa agganciare e convincere: dalla segretaria di un’ambasciata alla moglie di un industriale, alla signora moscovita che vuole aprire un negozio di abiti confezionati da loro, via via fino al sottoscritto, che fa da canale per aiuti vari che vengono da amici italiani.
Continuavo con il mio contributo mensile, ma per varie ragioni ultimamente non ero più riuscito ad andare a trovarli. Poi Dino mi dice che per la quarta o quinta volta sta per cambiare casa: nella prima mancava sempre l’acqua, il padrone della seconda chiedeva sempre aumenti, la terza finiva sott’acqua nella stagione delle piogge, e così via. Vado a vedere… sbagliando data: si trovano ancora nel vecchio edificio; in quello nuovo, leggermente più grande, si trasferiranno fra qualche giorno. Ma anche nel vecchio, trovo belle sorprese. Sempre schiacciati come sardine, si sono riorganizzati separando la sartoria vera e propria, che produce procurando circa un quarto delle risorse necessarie al tutto, dalla parte di istruzione, con corsi di taglio e cucito di tre mesi. Ora fanno tre turni scolastici, insegnando a ben 200 bambine (con qualche fratellino benevolmente accolto), che danno gli esami nelle scuole di stato con buoni risultati. Sempre senza banchi e sedie, hanno però un bel po’ di sussidi didattici interessanti, abilmente ottenuti da scuole varie per stranieri: sussidi americani, francesi, turchi, australiani e via viaggiando per il mondo. E persino, udite, udite! tre computer dove insegnano agli alunni di quarta e quinta elementare gli elementi essenziali per la gestione di una piccola attività economica e per l’uso di internet.
Tempo fa non avrei scommesso su questa iniziativa, aiutavo… finché la va… Invece pare proprio che sia una piccola storia di successo a cui si aggiunge un non trascurabile particolare: Dino, che appariva sempre piuttosto timoroso, preoccupato e quasi piagnucoloso, ha ora una grinta di tutt’altro tipo e sprizza fiducia.
Speriamo che si continui!

Dispetti

La situazione politica di stallo completo, senza soluzioni in vista, è rallegrata da aneddoti che la dicono lunga sulla qualità dei nostri leaders.
Khaleda Zia, la capo della coalizione di opposizione (BNP, Jamaat, e altri 18 partitelli) aveva detto di sentirsi in pericolo e chiesto maggiore protezione. Quando è iniziato il blocco ad oltranza, s’è trovata la casa circondata da camion carichi di sabbia, camionette e cordoni di polizia e le autorità hanno dichiarato che erano là per proteggerla. Lei prova ad uscire, e poi dichiara che l’hanno bloccata in casa e si trova in pratica agli arresti domiciliari.- Improvvisamente muore d’infarto il suo secondo figlio, di 45 anni, rifugiato in Malaysia per sfuggire a una valanga di processi e accuse per corruzione e simili. La primo ministro Sheik Hasina, ricevuta la notizia, va subito alla residenza dell’avversaria “per consolarla”. Trova il cancello sbarrato, nessuno si fa vedere, e deve ritornarsene senza essere ricevuta. Le diranno poi che Khaleda era sotto sedativi, dormiva e non poteva accoglierla.- Il ministro della Marina Mercantile (chissà perché proprio lui?) minaccia: se non fermano il blocco, blocchiamo noi luce, acqua, gas e rifornimenti a Khaleda, così capisce i danni che fa. Detto e fatto, il giorno dopo la fornitura elettrica e le comunicazioni telefoniche sono tagliate per 19 ore. Il governo dichiara: non siamo stati noi, ma gli operai, inferociti dal blocco imposto al Paese… Poi la storia si ripete, l’opposizione dichiara: se la luce non ritorna, non solo blocco, ma sciopero ad oltranza in tutto il Bangladesh.

Crescendo

Dal 5 gennaio a oggi (29 gennaio 2015) l’opposizione (BNP + Jamaat-ul-Islam) ha proclamato il blocco totale, ad oltranza, di tutto il traffico, per far cadere il governo e avere nuove elezioni; di tanto in tanto, si aggiungono giornate extra di sciopero generale, nazionale o per regioni. In realtà, il traffico e le attività ordinarie a Dhaka proseguono quasi indisturbate, mentre in tutto il resto del Paese la situazione è pesante: quasi impossibile viaggiare, merci non consegnate, rifornimenti che scarseggiano, i prodotti agricoli marciscono nei campi, e i prezzi crollano nelle zone rurali, mentre crescono enormemente nelle città. I lavoratori a giornata fanno fame.
L’adesione al blocco, pur in calo, è ampia, perché buttando qualche bomba incendiaria, anche non grande, dentro un autobus, o nella cabina di un camion, con qualche morto e molti ustionati, e anche i più duri di testa capiscono che è meglio stare a casa. La mano d’opera per questi “servizi” non manca: basta girare nelle baraccopoli promettendo soldi a chi incendia. I giornali offrono i bollettini quotidiani; oggi siamo a quota 35 morti, oltre 350 feriti e un numero imprecisato di veicoli dati alle fiamme.
Le autorità minimizzano: tutto sotto controllo. Il Primo Ministro ha promesso di rimborsare chi viene danneggiato mentre viaggia, e le promesse/minacce si fanno più dure. Il comandante delle guardie di frontiera dice: “La forza paramilitare per mantenere legge e ordine userà armi letali, se la gente viene attaccata”. Il ministro del “Welfare”: Si spari a vista su incendiari e sabotatori. Stiamo per dare l’ordine, come in tempo di guerra”. Un deputato della maggioranza: “Prima le forze dell’ordine caricano con i bastoni… se non basta sparino alle gambe, e quando necessario al petto”. Il Primo ministro Hasina dice alla polizia: “Prendo io la responsabilità di qualunque cosa accada, voi fate tutto quello che occorre per garantire la sicurezza della gente. Non esitate, vi do io la libertà”. E infine (ma sarà davvero in-fine?) un altro deputato di maggioranza ha dichiarato: “Chiedo ai leader del mio partito di darci via libera. Non servono polizia, guardie, esercito… centinaia di migliaia di uomini dell’Awami League scenderanno in strada per eliminare Khaleda, il suo partito, e tutti gli sconfitti.”

Chi guarisce?

In un incontro con alcune giovani suore bangladeshi, non ricordo attraverso quale girovagare del discorso, mi capita di dir loro che “ai miei tempi”, cioè “tanti e tanti anni fa”, poco dopo l’inizio del mio cammino di prete nel 1969, mi dovetti confrontare con uno slogan che circolava negli ambienti allora un po’ turbolenti della Chiesa e del mondo missionario: “Non si predica il Vangelo a chi ha la pancia vuota.” Stupore assoluto delle ascoltatrici, tutte provenienti da famiglie molto povere. Spiego con pazienza il testo e offro una dotta ambientazione storica, dicendo che si voleva “contestare” il modo tradizionale di fare missione che – secondo chi usava lo slogan – era “spiritualista” e non teneva conto del dovere di attuare giustizia, e di pensare allo “sviluppo” che libera dalla fame, prima di fare proposte spirituali. Dopo molto mio impegno linguistico e logico, una sorellina mi conforta: “Padre Franco, ho capito quello che vuol dirci.” E mi confessa: “Ma non capisco come si possa dire che prima di annunciare Gesù a uno che soffre bisogna guarirlo: ma non è Lui che guarisce?”

Negozietti

Una o due, massimo tre sigarette per volta. Una lametta da barba, una dose singola di shampo, o detersivo per lavaggio a mano, olio per capelli… una gomma da masticare o, molto più frequentemente, il “pan” – foglia con spezie che fa masticare e salivare abbondantemente… due biscotti, 5 taka di ricarica del telefono… Milioni di negozietti in Bangladesh praticano questo commercio veramente “al minuto” o “al dettaglio”, e costituiscono il sogno di tutti i disoccupati, i tiratori di rikscio, i lavoratori a giornata, chi non può fare lavori pesanti. Il cambio di marcia avviene quando riescono ad avviare, insieme alla fornitura di sigarette e lamette da barba, anche il servizio “Bkash“, diffusosi ovunque in un lampo: trasmissione di soldi ovunque nel paese sulle onde dei telefoni portatili. Allora si passa dalle due alle migliaia di taka – e la famiglia si sistema davvero.