Per caso

Narrano le cronache che, a metà degli anni sessanta, un prete di Novara, don Ercole Scolari fece un viaggio fino a Roma, pieno di buona volontà. Era il periodo in cui la chiesa cattolica portava alla ribalta il tema della “fame nel mondo”, e don Scolari – un instancabile animatore – aveva mobilitato i giovani della diocesi per una raccolta che finanziasse un progetto di formazione tecnica in un paese povero. Messo insieme il gruzzolo, gli era sembrato bene offrirlo all’organizzazione che per statuto si cura degli affamati di tutto il mondo, la FAO – e andò a Roma. Ma l’accoglienza fu freddina, forse un poco ironica: “Noi lavoriamo su progetti grandi, non su sommette del genere…” Così don Ercole, deluso, riprese la via del ritorno. Proprio alla stazione ferroviaria di Roma, incrociò per caso uno sconosciuto, inequivocabilmente missionario: veste nera, aria semplice, un po’ smarrita nel viavai di gente, fluente barba bianca, voglia di chiacchierare. In più, un anello episcopale al dito. Era mons. Giuseppe Obert, valdostano del PIME, vescovo di Dinajpur. Don Ercole gli confidò la sua delusione, e il monsignore gli confidò che la somma rifiutata dalla FAO a lui non sembrava poi tanto disprezzabile, anzi… Da tempo infatti sognava di fondare una scuola tecnica per “insegnare un mestiere” specialmente agli aborigeni e tirarli fuori dalla crescente miseria dei villaggi. Una scuola del genere non si trovava in tutto il nord del Bangladesh, e con il tempo sarebbe diventata sempre più utile.
Il primo maggio scorso si sono festeggiati i 50 anni dalla fondazione di quella scuola, la “Novara Technical School”, che nacque “per caso”, e fu occasione per dare il via ad una collaborazione intensa e ricca di frutti. Non solo la scuola, ma anche la parrocchia di Suihari, le scuole elementari e poi medie, gli ostelli per bambini poveri e mille altre cose devono la loro esistenza alla tenacia e all’entusiasmo di don Ercole e della diocesi di Novara. E quando don Ercole fu trasferito a Varallo come parroco, fu la gente di Varallo a raccogliere il suo appello e a continuarlo anche dopo la sua morte, fino ad oggi.
La NTS accoglie circa 150 giovani per periodi più o meno lunghi, e la maggior parte di loro risiede all’ostello annesso. Sono dunque molte centinaia di ragazzi – e da qualche anno anche ragazze – che si sono formati là: elettricisti, meccanici, falegnami, motoristi, operatori di computer, e di macchine per maglieria. Nei primi anni trovare sbocchi per queste professioni in un Bangladesh ancora esclusivamente rurale non era facile; ora invece i tecnici che escono da questa scuola, presentati dal Direttore Fratel Massimo Cattaneo, sono richiesti da parecchie ditte ancora prima che finiscano la preparazione. Che, si insiste, non è solo formazione tecnica, ma umana e religiosa, con risultati degni di nota.

Atrocità

I caratteri del libro sono abbastanza grossi, e ben stampati, per cui sono riuscito a leggerlo nel viaggio fra Dhaka e Dinajpur nonostante gli scossoni dell’autobus. E non riuscivo a staccarmene. Si tratta di una biografia di Edith Stein, Santa Teresa Benedetta della Croce, eccellente e stimatissima filosofa degli anni ’30, ebrea convertita al cristianesimo e diventata suora carmelitana, arrestata e uccisa nel lager di Auschwith per il solo fatto di essere ebrea. Il libro parla della situazione politica e sociale della Germania e dell’Europa del tempo, solo quel tanto che è necessario per collocarvi la vicenda della giovane Edith, ma basta poco per porsi tante domande sull’oggi che stiamo vivendo. Oggi 21 lavoratori egiziani in Libia possono essere decapitati solo perché cristiani; allora insegnanti, professionisti, scienziati, gente comune veniva mandata nelle camere a gas solo perché ebrea. Oggi ad agire è una porzione impazzita del mondo islamico, in nome della religione; allora era una porzione impazzita del popolo tedesco, in nome della razza e della supremazia culturale. Che cosa accomuna il mondo arabo islamico di oggi e il mondo germanico di 70-80 anni fa? Non so darmi una risposta, se non questa: la nostra tendenza a crearci un nemico da condannare sempre e comunque, senza permetterci di distinguere, senza voler capire, senza criticare se stessi. La nostra assurda speranza che si possano dividere i buoni dai cattivi, per eliminare questi ultimi e vivere finalmente nel modo giusto: giusto secondo la mia religione, la mia razza, la mia classe sociale, la mia cultura – quale che sia.
Oggi è il mondo islamico che ha questa febbre alta e delirante. Ha identificato il suo nemico e lo vuole distruggere; ma lotta e soffre al suo interno, nonostante un’apparente compattezza che ci scandalizza. Come lottarono e soffrirono molti tedeschi sotto l’asfissiante cappa del nazismo; molti russi sotto l’egemonia comunista. Se non riusciamo o non vogliamo vedere questa lotta, se avviene l’identificazione fra tedeschi e nazismo, russi e comunismo, musulmani e terrorismo, allora siamo anche noi vittime di questi germi letali che corrodono dall’interno la nostra umanità. Combattiamo gli estremismi, ma ne siamo contagiati pure noi.
(Elisabeth de Miribel, Edith Stein – dall’università al lager di Auschwitz, Paoline, 1987)