Di studiare non le va molto, a fatica arriverà alla fine del liceo, e solo perché costretta. Da che cosa? A Golapi (Rosa), una giovane Orao, piccoletta e di poche parole, ma simpatica e arguta, piace girare nei villaggi, mescolarsi con le donne, i bambini, visitare i malati, parlare loro di Gesù. E lo fa. Un bel giorno una suora le dice: puoi farti suora, così ti dedichi completamente a predicare Gesù. L’idea le va, ma è nuova, le Suore del PIME sono arrivate da poco, tutte italiane; inoltre… “Io sono ignorante”. Con il papà d’accordo e la mamma titubante, riprende a studiare stando all’ostello, e a pezzi e bocconi supera l’esame di liceo. Quando due suore da poco arrivate chiedono all’ostello se c’è una ragazza disposta ad accompagnarle, dopo qualche esitazione si fa avanti. Lavorano insieme per un bel po’. Qualcuno le aveva detto: “le suore devono obbedire alle regole, ma tu non hai salute, non ce la faresti”. Ora ci ripensa: ma come, non sono suora, ma vivo con loro e come loro e sto bene! Anzi: essendo giovane, quando le suore viaggiano sul carro da buoi, lei e il catechista accompagnano a piedi – e di chilometri ne fanno tanti! Poi, finalmente, il salto: la accolgono, e la mandano in India perché in Bangladesh (allora Pakistan) l’Istituto non ha ancora programmi formativi. L’esperienza internazionale la entusiasma e le dà coraggio, aiutandola a superare il disagio di appartenere ad un gruppo aborigeno minoritario. Nel 1964 pronuncia i primi voti, nel ’70, quando ha 39 anni, i voti definitivi: la prima suora del PIME dal Pakistan, che sta per diventare Bangladesh.
Da allora, Golapi continua a fare proprio quello che aveva sognato: gira i villaggi parlando di Gesù, e non si stanca. Compila diligentemente vari quadernetti, dove annota con precisione luoghi e persone visitati, argomenti trattati, confessioni, lezioni, compagni di visita. Dice: “Quando morirò, come farà s. Pietro a riconoscermi in mezzo a tanta gente sulla porta del paradiso? Gli mostrerò i quadernetti, e saranno la mia carta di identità” Prega molto, senza ostentazione, rimane normalmente piuttosto silenziosa, ma spiega che le hanno detto che nel silenzio si ascolta Dio, e quindi tace – però “dentro sono contentissima.”
Dopo tanti anni nei villaggi, formando una coppia “famosa” con l’italiana suor Maria Assunta, tutte e due vengono trasferite a Dhaka, in un’area che si sta rapidamente popolando. L’ambiente cambia, ma lo stile rimane: girare di casa in casa, scovare i più lontani, i più poveri, i malati, e parlare di Gesù, fare catechesi, preparare a battesimo, cresima, matrimonio… Finchè le gambe smettono di obbedirle e deve rimanere in casa, a pregare e fare quello che può. La sera del 29 giugno, festa di s. Pietro e Paolo, partecipa, in carrozzella, all’adorazione eucaristica. Alla fine le dicono: “Saluta Gesù, è ora di andare.” Congiunge le mani nel saluto bengalese e improvvisamente il respiro diventa affannoso. La portano subito in stanza, la sdraiano – e spira in silenzio. Aveva 85 anni. Credo che ora s. Pietro stia sfogliando il diario di suor Golapi, e magari lo commentano insieme…
Archivio mensile:Luglio 2017
V.I.P.
La pronuncia italiana è come un soffio: “vip”. In inglese “vi ai pi” va già meglio, ma certo non esprime la solennità del significato del tronfio acronimo V.I.P.: Very Important Person! Espressione che cede il passo soltanto davanti al superlativo del superlativo, che incute sacro timore: V.V.I.P.: Very, Very Important Person. Persona molto, molto importante!
L’autobus di super lusso con aria condizionata, tre soli sedili per ogni fila, WiFi (se si dice così, e chi non sa che cosa sia, peggio per lui/lei), bottiglia di acqua e biscotti omaggio, copertina, sedile pulito… deve partire per Rajshahi alle 14.00. Essendo di lusso, l’autista alle 14.01 è già presente sul posto, e i passeggeri incominciano ad arrivare. Verso le 14.15 sembra che tutto sia pronto, salvo due posti sono ancora vuoti. Con qualche esitazione, sapendo che l’autobus di lusso dev’essere puntuale, alle 14.20 si parte.
Alle 16.04 l’aiutante che assiste i passeggeri riceve una telefonata imperiosa: “Avete lasciato a terra due V.I.P! Fermatevi immediatamente e aspettateli”. Nessuno fiata, mentre l’autista parcheggia vicino a un negozietto dove ci si può consolare con un tè. Il tempo passa… Qualcuno incomincia a chiedersi come faranno i due V.I.P. a raggiungerli così lontani, le signore sussurrano che è tardi, sta a vedere che arriviamo con il buio. Una di loro prende coraggio, e telefona ad un amico poliziotto informandolo di ciò che accade. Il poliziotto interessa i superiori, e poco dopo l’autista in persona riceve per telefono un ordine perentorio, ripartire subito e arrivare al più presto. Romba il motore, stridono gli pneumatici… Ma i V.I.P., su auto a noleggio, arrivano poco dopo là dove l’autobus avrebbe dovuto aspettarli. Stupore, indignazione, ira, interessamento di massime autorità, che minacciosamente intimano all’autista: “Fermarsi subito e attendere finché non arrivano”. L’aiutante, imbarazzato, informa i passeggeri, che sospirano e tacciono. Di nuovo fermi. La signora di cui sopra, dopo un attimo di riflessione, ha un colpo di genio. Chiama l’aiutante, gli dice di chiamare anche l’autista, sussurra loro qualche cosa, poi si alza e proclama a voce alta, chiara e sicura: “Voi non sapete chi sono io! IO sono una V.I.P., e non vi dico che cosa succederà se mi fate arrivare quand’è già buio”.
Una V.I.P. contro due V.I.P. – direte voi. Sarà, però l’autista non fiata, si mette al volante e parte, per fermarsi soltanto all’arrivo, anzi – dieci metri oltre. Vale dunque il principio che una V.I.P. presente conta più di due V.I.P. assenti…
Picnic?
Tutti gli anni si ridiscute: “Dove fare il picnic che fa parte del programma Samuel?” Il programma ha a disposizione 9 giornate, distribuite su un anno intero, per aiutare una settantina di giovani a riflettere sulla loro vita, sul loro futuro, sulla vocazione. Fra le 9 giornate, una ingolosisce, perché ha la faccia di un picnic – anche se nasconde una motivazione segreta: far incontrare i giovani con qualche esempio di impegno un po’ differente da quelli che già conoscono. Quattro suore di quattro congregazioni diverse, due pimini, un prete diocesano e qualche “osservatore” di provenienza variabile, riconsideriamo i pro e i contro delle varie possibilità: destinazioni, distanze, condizioni delle strade, costi, emergenze in caso di pioggia, e compagnia. E poi si decide: andiamo a Mymensingh: come l’anno scorso, come due anni fa, come tre anni fa… Tanto tutti i giovani ogni anno cambiano, e d’altra parte solo Mymensingh – una cittadina a 150 chilometri a nord di Dhaka – ha un menu così vario e insolito per la Chiesa del Bangladesh, piuttosto monotona in fatto di iniziative: parrocchie, scuole, dispensari medici, cooperative di risparmio – punto.
Che cosa c’è di diverso a Mymensingh? C’è la Comunità di Taizé, con Fratelli di appartenenze ecclesiali e nazionali diverse che vivono e lavorano insieme, specialmente fra i poveri e i giovani: una vocazione ecumenica che è ancora una perla rarissima. Si ascolta la loro esperienza, presentata con grande semplicità e convinzione, si prega con uno stile un po’ insolito e gradevole, si passa un po’ di tempo lungo un fiume con una brezza deliziosa.
E poi varie “gemmazioni” delle attività dei Fratelli. A poca distanza, la Comunità dell’Arche, che raccoglie persone con disabilità mentale, organizzate in tre gruppetti tipo famiglia, con l’aiuto di volontari. Qui le religioni si incontrano e convivono, rispettate e incoraggiate, senza miscugli e senza barriere. Basta poco per intuire che i disabili mentali non sono “oggetto di assistenza”, ma persone a cui si chiede di esprimere tutto ciò che possono, che ricevono e danno affetto. Ci si può incontrare anche con “Amici della Pace”, un’associazione nata fra gli studenti di varie religioni, che hanno un programma di sensibilizzazione e formazione alla pace anche in condizioni di tensioni nei villaggi, nelle scuole, ovunque si può. Seguono 10 “decisioni” fra le quali – mi dice una ragazza musulmana – quella che preferisce è la volontà di vivere una vita sobria, perché è profondamente liberante. E c’è pure un’associazione insolita, chiamata “Svegliamoci!”, che raccoglie solo persone del gruppo etnico Mandi, e solo cristiani (lo sono quasi tutti i Mandi…). Lo scopo? Intercettare Mandi che vivono isolati, bevono o si drogano, sono trascurati in ospedale, non possono studiare… e dire loro: “Non sai che noi siamo i migliori? Dai che ci tiriamo su!” Un messaggio sorprendente per popoli di minoranza spesso angustiati dal complesso di inferiorità, o da una rabbia troppo a lungo inghiottita.
E poi, prima di ripartire, una visita e una chiacchierata con le Suore del Monastero di Clausura, le “Clarisse adoratrici”, che suscitano un’infinita curiosità e non poche domande, a cui arrivano risposte di semplicità sconcertante. “Suora, perché ha deciso di chiudersi qui dentro?” chiede una ragazza. “Perché é bello stare con Gesù”. “Non so se posso chiederlo – balbetta un ragazzo – ma vorrei sapere… quali programmi potete vedere alla televisione?” “Beh, la televisione qui non c’è”. Il ragazzo quasi sviene e poi balbetta “Ma come fanno?”
Il tutto in una giornata: partenza alle 5.30, una banana e una specie di pagnottella dolce lungo il viaggio, arrivo alle 10, programma con Taizé, L’Arche, Amici della Pace, Associazione Svegliamoci, preghiera con i Fratelli, un piattone di risotto, una passeggiata al fiume, trasbordo dall’altro capo della città, Messa in cattedrale, colloqui al monastero, partenza, e in viaggio un pacchettino di biscotti. Tutti contenti, e noi gongoliamo perché nessuno dice: ma che razza di picnic è questo? Faremo poi una valutazione, discuteremo i pro e i contro, e… decideremo che anche il prossimo anno si tornerà a Mymensingh.