I ragazzini che affollano e animano i cortili della parrocchia di Mirpur, scatenandosi intorno ad un pezzo tanto entusiasmante quanto raro come il “calcetto da tavolo”, fiore all’occhiello del nostro parco giochi, provengono da vari ambienti, benestanti e poverissimi, da varie religioni, da vari gruppi etnici. Se in mezzo a un gruppetto vociante di loro passa un adulto – magari straniero – come salutarlo? In Bangladesh un saluto “universale” ci sarebbe: “adab”, ma è quasi caduto in disuso, e non tutti lo conoscono. I ragazzini cristiani “giocano in casa” e per loro un devoto “Jesu pronam” (onore a Gesù) risolve il problema. Per gli altri, la via più sicura è tacere. Alcuni sembrano addestrati a irrigidire il volto e guardare nel vuoto – meglio, guardarti con gli occhi vuoti – comunicandoti la gelida sensazione che tu non esista. E’ lo sguardo in cui si rifugiano le giovani donne, quando temono di essere fraintese se sorprese a salutare uno sconosciuto. Alcuni bambini buttano là un istintivo “assalamu aleikum” (“la pace sia con te” significa, ma quanti lo sanno?), a volte però con uno scrupolo a due facce: se lo sconosciuto che saluto non è musulmano, si offende? Oppure sono io che manco di rispetto alla mia religione salutandolo così?”. Un ragazzino m’ha chiesto il permesso: “Posso dirti assalamu aleikum?” “Nomoskar”, il saluto hindu, è abbastanza usato anche dai cristiani, per questo anche qualche musulmano lo tira fuori, in spirito di apertura interreligiosa; ma si usa con un certo impaccio… Per andare sul sicuro, meglio l’inglese: uno squillante “Good morning” non si nega a nessuno e non può turbare equilibri interreligiosi.
Però… per diversi pomeriggi sono passato accanto al calcetto da tavolo affollato di giocatori e aspiranti giocatori, salutato da un coretto di “good morning” cui rispondevo con l’aria di chi la sa lunga: “Si dice: good afternoon!”. Dai e dai, la lezioncina di inglese ha dato frutto. Ieri mattina passo davanti al calcetto e tutti insieme, sorridendo per la soddisfazione, mi fanno vedere che hanno capito: “Good afternoon, father!”
Archivio mensile:Luglio 2018
Primo luglio
La sera del primo luglio 2016, cinque giovani terroristi di matrice islamica assalirono un ristorante nel quartiere Gulshan a Dhaka, con la precisa intenzione di massacrare i non musulmani. Uno per uno, fecero ai presenti l’esame: recitare qualche versetto del Corano. Liberarono tutti quelli che sapevano farlo eccetto uno: un giovane di 20 anni che, essendo musulmano, e potendo recitare i versetti, volle rimanere accanto alle due amiche con cui si trovava. Vennero uccisi loro tre, insieme a nove italiani, sette giapponesi, e due poliziotti. La mattina seguente, una squadra speciale dell’esercito passò all’attacco, uccidendo i terroristi.
A due anni dalla tragedia, l’Ambasciata italiana ha organizzato una cerimonia commemorativa molto semplice, invitandomi a guidare una breve preghiera, che ora propongo come scheggia.
“Viene l’ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio”. Nel Vangelo di Giovanni (16,2) Gesù pronuncia queste parole poco prima della sua stessa morte, inflittagli in nome di Dio, a difesa della struttura di potere religioso e del potere politico del momento. Esprimono un aspetto particolarmente sconcertante, e odioso, dell’avvenimento che ora commemoriamo: vite stroncate con ferocia da persone che dissero di agire in nome di Dio, e di volersi guadagnare così il paradiso.
Accanto ad esse, voglio richiamare, dal libro biblico della Sapienza, altre parole che indagano sulla realtà ingiusta e assurda vissuta da innumerevoli persone lungo tutta la storia, vittime di tante forme di fanatismo sia anti-religioso (come quello cui fa riferimento la Sapienza), sia religioso, che ha spinto a infierire sui miti, su chi desidera opere di giustizia e di bene, su chi si rifiuta di essere partecipe della violenza e del settarismo.
La Sapienza si riferisce agli “iniqui” che dicono fra sé: “Tendiamo insidie al giusto, che per noi è d’incomodo e si oppone alle nostre azioni… ci è insopportabile solo al vederlo” (2, 12a.14b); e ancora “Gli empi stringono con la morte un patto, perché sono degni di appartenerle” (1,16). Questa è la realtà di cui siamo parte e che non possiamo ignorare, anche se ci disturba profondamente, e fa paura. Realtà cui la meditazione biblica risponde: “Ma le anime dei giusti sono nelle mani di Dio… la loro fine fu ritenuta una sciagura, la loro partenza da noi una rovina, ma essi sono nella pace… la loro speranza resta piena di immortalità (2,1-4).
Una speranza che si esprime e si attua nel nostro ricordo pieno di rispetto e affetto, e che può trovare base, forza e completezza nella fede nel Dio della vita, che si schiera dalla parte del giusto.
Il giusto, secondo l’insegnamento di Gesù, non è colui che si arrocca in una appartenenza religiosa “vera” piuttosto che in un’altra. E’ colui che si apre a relazioni di attenzione, rispetto. E’ colui che, anche se non lo riconoscesse come tale, incontra Dio nell’altro, specie chi è nel bisogno; è colui che offre cibo a chi ha fame, abiti a chi è nudo, dignità a chi ne è privato. Così insegna Gesù nella parabola del “giudizio finale”.
Il massacro di due anni fa si proponeva di creare paura, odio, inimicizia. La nostra riflessione e preghiera ci aiutino a sfuggire a questa trappola, rassicurandoci che queste vite distrutte non sono state vissute invano; anzi, ci incoraggiano a dare un senso alla nostra vita non sopraffacendo gli altri, ma accogliendoli.
Raccogliamoci nel profondo della nostra coscienza dove – è ancora il Vangelo che ce lo dice – abita il mistero di Dio, un Dio di pace, di vita, di amore. Chiediamo di non lasciarci allontanare dal desiderio di perseguire ciò che è pacifico, giusto e buono, nella speranza che questo sia un seme che continua a germogliare e a rinascere.
“Le tenebre non hanno vinto la luce”, leggiamo ancora nel Vangelo di Giovanni (1, 5).
Al termine di un breve momento di silenzio, pronuncerò il Padre Nostro, e invito ciascuno a seguirlo interiormente, così come si sente di farlo.