Casalingo

Se qualche amico dall’estero viene a trovarci, siamo contenti. Addirittura deliziati se in valigia mette qualche salame, formaggi, e caffè. Si accettano anche cioccolato fondente e altre leccornie non troppo sensibili al caldo…
Volenti o nolenti, tutti devono effettuare la prima tappa a Dhaka. Così gustano le strade deserte se arrivano entro le cinque del mattino o partono alle 2 di notte, mentre gustano le delizie del traffico indescrivibile della capitale nelle visite che faranno durante il giorno – e non le dimenticheranno facilmente. Sbarcati e ritirate le valigie, qualcuno (di solito l’amico missionario che vi ha invitato) vi accompagna alla “PIME House” che ora, dopo qualche anno di sonnolenza per lo scarso uso, ha ripreso vita. Vi abitano i dodici giovani di college che cercano la loro strada nella vita, l’educatore p. Francesco, i giovani padre Brice (camerunese) e p. Papu che studiano il bengalese, quasi sempre qualche ospite che risiede con noi mentre studia, o preti diocesani di passaggio a Dhaka per vari motivi. Ma soprattutto, da qualche giorno in qua, chi viene ha l’inestimabile fortuna di incontrare il sottoscritto se, assentatosi per qualche ragione, non sta vagando in altre aree del Bangladesh. Sì, se non sono assente, sono io a fare “gli onori di casa”, perché sono diventato – o meglio – sto cercando di diventare “casalingo”, con il solenne titolo di “Rettore” della casa. Non penserete certo di scegliere la stanza che volete: no, decido io. Non mangerete all’ora che vi piace: dico io quando sono i pasti e quale il menu. Se vi manca qualcosa, avete il permesso di comprarvelo – ma nel caso non sappiate come fare, potete ricorrere a me – che troverò qualcuno a cui farlo comprare. Volete sapere se si può bere l’acqua del rubinetto? Vi darò informazioni precise e sicure.
Vi risparmio la lista delle mie incombenze: sto ancora imparando quanto sia lunga. Ma non temete, c’è sempre qualcuno a cui posso far fare quello che vi serve. Se poi volete dare una mano anche voi, penso che non mi opporrò.
Ma spero proprio che, come finora è sempre successo con i miei predecessori, vi troverete bene, si faranno interessanti chiacchierate, si scambieranno informazioni di ogni genere. E soprattutto, siate benevoli: sto imparando un nuovo mestiere.

Rischio

Rispondo con questa “scheggia” a un affezionato lettore e commentatore, che a proposito di un mio scritto sulle elezioni in Bangladesh* aveva chiesto (6 dicembre 2018):

Caro padre Franco,
quali sono le prospettive per i cristiani?
Io sono rimasto impressionato da quello che sta succedendo in Pakistan, dove centinaia di migliaia di persone sono scese in piazza per chiedere l’impiccagione di una innocua madre di famiglia, che potrebbe (ma la cosa, se ho ben capito, è stata negata dalla sentenza della Corte Suprema) avere chiesto ad altre donne cosa aveva fatto Maometto per loro.
Soprattutto, mi ha impressionato la mancanza di reazioni, di una contro-manifestazione del cosiddetto Islam moderato… mi sembra di capire che, mentre esistono molte persone che non approvano il radicalismo, ben poche sono disposte a rischiare la pelle per i cristiani.
C’è il rischio che anche il popolo bengalese si incammini per la strada del fondamentalismo e della persecuzione delle altre religioni?

Carissimo,
condivido la preoccupazione, credo che il rischio di cui parli ci sia. Ci sono però anche circostanze diverse. Il Pakistan è nato per dare ai musulmani una nazione, uno stato separato, per loro. L’attuale Bangladesh ne faceva parte, ma poi s’è staccato, rifiutando questo modello. Il popolo Pakistano è formato da gruppi etnici numerosi e diversi, in conflitto fra loro per motivi storici, etnici, economici, politici, ecc. ma i conflitti sono aggravati da componenti religiose: tutti musulmani sì, ma con grandi diversità di interpretazione della fede islamica, con contrasti anche molto violenti fra loro. Una miscela pericolosissima. Il contesto è dunque molto più frazionato e violento che in Bangladesh, dove c’è un tessuto culturale e religioso più omogeneo, e la tradizione dei gruppi pakistani è molto più radicale. Non è vero che non ci siano state manifestazioni contro queste tendenze, ma ovviamente sono meno spettacolari, numerose, scomposte – e quindi catturano poco l’attenzione del giornalismo. Ci sono musulmani che rischiano (e perdono la vita) per la libertà religiosa e anche per Asia Bibi. Ma fanno poco chiasso. C’è pure – come dici tu e come si trova ovunque, in ogni paese, cultura, religione – chi non è d’accordo ma non vuol rischiare. Il tema dell’apostasia (che però non è il caso di Asia Bibi, condannata e poi assolta dall’accusa di blasfemia) è particolarmente delicato, perchè la condanna a morte dell’apostata è decretata dal Corano stesso, nell’interpretazione di molti, anche non radicali. C’è chi non la condivide ma non sa come “contraddire” il Corano e tace, chi la ritiene giusta perchè è un “troppo” che mette a rischio l’Islam. Qualcuno sostiene che questa condanna era legata ai tempi, quando Islam e stato coincidevano e quindi l’apostasia religiosa coincideva con il tradimento (durante la prima guerra mondiale – e non solo – i soldati italiani che lasciavano le trincee venivano fucilati); oggi dunque non sarebbe più così e quindi la condanna coranica dell’apostata non andrebbe seguita alla lettera… ma oggi però ci sono anche molti che vorrebbero tornare a questa unità/identità, e quindi niente clemenza per il traditore…
Tornando al Bangladesh, l’aria che tira è verso un Islam più conservatore e chiuso.
L’estremismo è accanitamente combattuto da chi ha la responsabilità politica oggi, e da chi ha ereditato il pensiero che ha portato all’indipendenza: si tratta di moltissime persone di ogni categoria, anche se, non si può negare, sembra stiano perdendo terreno, e devono fare concessioni che loro stessi non gradiscono. Bisogna tenere in mente che chi combatte più efficacemente l’estremismo (e per questo finora non ha preso piede) sono i musulmani stessi: se fossero soltanto cristiani, indù e minoranze etniche, avrebbero già straperso!
In sintesi: il rischio c’è, ma la speranza che il peggio non avvenga è forte e fondata.
Un saluto cordialissimo e una preghiera
p. Franco

Franco Cagnasso

Elezioni

Cinque anni fa le elezioni parlamentari furono precedute da disordini gravissimi, con bombe incendiarie gettate negli autobus affollati, interminabili blocchi di ogni circolazione, e altre amenità del genere. Ma il partito al potere, Awami League (AL), non cedette di un millimetro, e organizzò le elezioni come le voleva. Il principale partito di opposizione, BNP, per protesta ritirò i suoi candidati, così AL s’impossessò del parlamento, pregando un terzo attore della vicenda, l’ondivago Jonota Party (Partito Popolare), di svolgere il ruolo di oppositore.
Cinque anni al potere senza opposizione organizzata hanno cambiato di molto il quadro politico e sociale. Siamo in pieno boom economico. I leader del principale partito islamico, Jamaat-ul-Islam, sono stati processati e impiccati per crimini compiuti durante la guerra del 1971; la leader del BNP è in carcere. Condannata a 5 anni di reclusione, ha fatto ricorso chiedendo l’assoluzione, e recentemente la Corte di livello superiore ha portato la condanna da 5 a 10 anni, mentre vari altri processi l’attendono, per altre accuse di reati. Ultimamente le retate di membri e leader del BNP non si contano più, le carceri sono stracolme di persone, soprattutto giovani, catturati per impedire manifestazioni e per intimidazione. In non pochi casi, la polizia ha denunciato per violenze persone residenti all’estero da anni, o a letto per sopravvenuta paralisi…
Ma la gente sperimenta una pace relativa, la classe medio-alta apprezza la rapida crescita economica, e diversi servizi pubblici – soprattutto strade – sono in corso di miglioramento. A Dhaka enormi pali di cemento crescono a fianco o al centro di strade affollatissime: reggeranno la nuova lunga metropolitana sopraelevata, che si attende con curiosità e speranza.
Le opposizioni hanno creato una coalizione variopinta di idee e tendenze, promettendo che questa volta – qualunque cosa succeda – dalle elezioni non si ritireranno: un coacervo tenuto insieme dalla paura. In tutto, la coalizione di maggioranza e quella di opposizione, più qualcuno che corre per conto proprio, contano 126 (centoventisei) partiti, molti dei quali ovviamente piccolissimi, e neppure registrati come tali; si accodano ai partiti maggiori per ottenere posti come candidati.
Intanto, continua la caccia agli spacciatori di droga: oltre 400 persone uccise negli ultimi 10 mesi, in cosiddetti “scontri a fuoco” con le forze dell’ordine.
La data delle elezioni era stata fissata al 23 dicembre; le opposizioni hanno chiesto di rinviarla di un mese, la Commissione Elettorale ha rinviato di una settimana: 30 dicembre.
Severe norme a proposito della propaganda elettorale, emanate qualche anno fa, stabilivano fra l’altro che i cartelli elettorali dei candidati fossero solo in bianconero e di piccole dimensioni; niente colla sui muri. Ne seguì un periodo in cui, per le elezioni locali, sventolavano ovunque fogli con nomi, facce e simboli attaccati a lunghi fili sopra le strade, sui portoni, ai cavi telefonici, di internet, ecc.. Ora sono tornati i colori su grandi fogli appiccicati ovunque e – guarda caso – sono tutti della maggioranza, che può permettersi di non osservare le regole.
Come andrà a finire? L’opposizione sembra debolissima, ma alcuni sostengono che si è defilata per sfuggire ai maltrattamenti; al momento giusto verrà fuori dall’ombra e avrà l’appoggio delle innumerevoli persone stanche della corruzione e delle prepotenze. Le minoranze hanno paura.