Ecco un commento alla scheggia “Benefattori”, del 29 gennaio scorso:
Caro padre Franco, tu parli di questa cosa con il tuo consueto “umorismo disincantato”, ma io sono indignato del comportamento di questi “benefattori”, che in realtà hanno agito come farabutti patentati. Possibile che non ci sia modo di mandarli in galera per usura e violenza privata?
Caro Mario, grazie! So che il mio modo di presentare fatti del genere può sembrare cinico, penso che sia un tentativo per gestire la sofferenza e l’impotenza che sento; e per fare intuire che non si tratta di un caso straordinario, ma quasi “normale”.
Possibile che non ci sia nulla da fare? Di usura non sento mai parlare, ma in casi di violenze sulle donne, o su bambini, qualcuno ha il coraggio, e l’aiuto, per sfidare la situazione. Se il papà della famigliola di cui parlo non fosse gravemente ammalato, e la mamma non fosse costretta a dare tutto il suo tempo per raggranellare ciò che neppure basta a sopravvivere, potrebbero appellarsi a recenti leggi in difesa delle donne e dei bambini, che hanno reso “temibile” una denuncia. Se si appoggiassero a organizzazioni per i diritti, potrebbero persino avere qualche eco su alcuni mezzi di comunicazione. Ma…
Va dato per scontato che una denuncia alla polizia richiede parecchi soldi, e può essere ad alto rischio. Se i “benefattori” stanno politicamente “dalla parte giusta”, tanto per cominciare la polizia rifiuterebbe di accettare una denuncia contro di loro. Rifiutati dalla polizia, e minacciati pesantemente, le vittime capirebbero alla svelta che devono tacere e cambiare indirizzo. E se i “benefattori” non avessero “agganci”? Potrebbero a loro volta sporgere una “contro-denuncia”, accusandoli di qualsiasi cosa venga loro in mente. Poi, mentre la loro denuncia – grazie ad adeguate mance – giace in un cassetto, le vittime saranno coinvolte per anni in udienze, rinvii, carte da bollo, spese con uscieri, falsi testimoni, improvvisati consiglieri, mentre il loro avvocato tirerà per le lunghe più che può, prima di dimostrare che sono innocenti. Conclusione tutt’altro che garantita, se chi denuncia ha i soldi per corrompere il loro avvocato difensore, o il giudice.
Innumerevoli famiglie di sottoproletariato vivono una miseria che è sempre unita al disprezzo, all’essere indifesi, sfruttati da ogni parte fino all’ultima goccia di sangue. Impegnano tutto il loro coraggio e le loro energie nell’impresa gigantesca di sopravvivere a disoccupazione, fame, mancanza di casa, debiti, malattie, angherie di ogni sorta: dalla “mancia” quotidiana al vigile perchè li lasci pedalare su un rikscio, alla “tariffa” per avere due secchi d’acqua dopo ore in fila, dalla percentuale all’incaricato di vendere il riso a prezzi calmierati, al maestro che vuole soldi per promuovere il figlio a cui non ha insegnato nulla, a chi impone un “affitto” sul terreno demaniale dove hanno la loro baracca… la lista è lunga, lunghissima. Spesso poi sono i poveri stessi che si fanno violenza e s’imbrogliano a vicenda, perchè non conoscono un altro modo di vivere.
I genitori di questo “caso” sono preoccupati anche per la figlia di 14 anni, perchè lo stupro singolo o collettivo per “dare una lezione” a qualcuno non è impossibile. Recentemente, uomini del partito che ha vinto le “elezioni” hanno violentato per vendetta donne che personalmente, o i cui fratelli, o mariti avevano sostenuto gli avversari. Nel 2001, quando l’attuale opposizione andò al potere, i casi furono tanti e gravi: il “metodo” non è prerogativa di una delle due parti…
Nella situazione di cui parlo io la politica non c’entra, ma – nonostante ci siano anche in Bangladesh reazioni indignate e impegni concreti per cambiare la mentalità e punire i colpevoli – che questo sia un metodo efficace e relativamente frequente per agire contro qualcuno è idea diffusa e praticata.
Franco Cagnasso
Dhaka, 18 febbraio 2018
Festa di S. Alberico Crescitelli, PIME – Martire