Per qualunque cosa, c’è sempre un’altra prospettiva, e conoscerla fa bene.
Dopo questa profonda considerazione filosofica, vengo al punto. La giovane primo ministro della Nuova Zelanda, di cui ricordo il volto (un volto disastrosamente poco adatto a un politico, perchè dà la penosa sensazione che pensi prima di parlare…) ma non il nome, ha commosso il mondo, almeno il mondo islamico del sud Asia, dopo la tragedia accaduta a Christchurch, nel suo Paese, quando un fondamentalista cristiano ha ucciso in due moschee 40 musulmani radunati in preghiera e ne ha feriti 19. La commozione non viene dal fatto che abbia pronunciato nuove, più indignate parole per stigmatizzare l’accaduto, ma perchè:
– Non ha detto “vedremo, aspettiamo di capire, forse è un pazzo isolato, ecc.” Ha subito parlato di terrorismo. Non ha parlato di “musulmani” immigrati colpiti da un cristiano di nazionalità australiana, ma di “noi neozelandesi” colpiti da questo atto terroristico, usando in ogni intervento questo “linguaggio inclusivo” che evita il “noi e loro”.
– Ha fatto in modo che il nome dell’attentatore non venisse diffuso e il suo volto non venisse fotografato: un metodo intelligente e non violento per frustrare un narcisista come lui.
– Non si è presentata con l’atteggiamento del generale che arringa le truppe per sconfiggere il nemico, sicuro che “la vittoria sarà nostra…” ma come una persona sinceramente addolorata e preoccupata, che invoca il buon senso delle persone di pace, l’unità di tutti, e che fa subito approvare una legge per controllare meglio a chi vanno in mano le armi che si producono e vendono.
– Quando il presidente turco Erdogan – noto per la sua delicatezza e per il suo tatto – ha detto che avrebbe fatto introdurre la pena di morte in Nuova Zelanda perchè il colpevole venga impiccato, e che spedirà a casa in una bara chiunque accosti la Turchia con animo anti-islamico, lei ha risposto: “ Chiederò al mio ministro degli esteri di andare di persona a parlargli, per capire bene che cosa dice e perchè”
– Quando nelle moschee s’è pregato per i defunti, ha partecipato stando insieme ad altri, all’esterno, anche lei silenziosamente in preghiera, con il capo coperto.
A ben vedere, niente di straordinario. Ma molti musulmani si sentono assediati dalla “islamofobia” di chi vede solo il terrorismo di origine islamica, di chi ha paura dell’islam e tenta di isolarne tutti i fedeli, di chi non vede o non capisce comportamenti che polarizzano le differenze, colpevolizzano i musulmani e offrono pretesti per il terrorismo – che ha anche altre origini, ragioni e matrici. Perchè – si chiede qualcuno – dopo una strage in una scuola americana si parla di malato mentale, e dopo una strage in una scuola pakistana nessuno parla di far ricorso allo psichiatra?