Cipolle

È recente la scheggia che parla delle cipolle. Il loro prezzo sui mercati era salito talmente che il governo ha organizzato un ponte aereo per fornire il Paese del prezioso ingrediente di cucina, tentando di calmierare il mercato e minacciando di severissimi castighi ai profittatori. Il prezzo è calato un poco, ma poi s’è ripreso; non mi risulta che alcun profittatore sia stato castigato.Il Ministro dell’Agricoltura ha dichiarato che “ci vuol altro: per tener bassi i prezzi ci vuole abbondanza di prodotti, non interventi di reparti speciali delle forze dell’ordine…”. Corre voce che commercianti di riso, di cui presto ci sarà il raccolto principale, abbiano seguito gli eventi con interesse e si stia profilando un simile problema – in misura e con conseguenze ben più gravi – per quel prodotto, essenziale per la dieta di tutti in Bangladesh.

Incidente

Il tribunale ha condannato a morte sette terroristi accusati di essere coinvolti a vario titolo nell’assalto terroristico a un ristorante di Dhaka, dove, il primo luglio 2016, trovarono la morte 22 innocenti, fra cui 9 italiani, e 5 terroristi. “Giustizia è fatta”, hanno inneggiato in molti. Ma nessuno ricorda altri due coinvolti nella tragedia. Uno, Shaon, era lo sguattero del ristorante, l’altro, Saiful, il pizzaiolo. Arrestati per sospetto di complicità, il primo è morto in ospedale pochi giorni dopo, con ferite da schegge e vistosi segni di percosse. Il secondo pure è morto, mentre era in custodia della polizia la quale, dichiarando che a seguito delle indagini si era accertata la loro innocenza, ha informato della loro morte, dichiarandola “dovuta a incidente”. Poi sull’evento è piombato il silenzio, e sulle famiglie dei due l’isolamento: non hanno potuto vedere le salme dei loro cari, seppelliti di nascosto insieme ai terroristi, lo stigma di collaboratori dei terroristi rimane, il “risarcimento” che lo Stato ha dato alle famiglie delle vittime, bengalesi e straniere, a loro è stato negato. Il padrone del ristorante – ora trasferito altrove, e con altro nome -di sua iniziativa passa loro mensilmente 100 euro ciascuna.

Creatività

Tempo fa una scheggia informava che in un paese della provincia di Patuakhali (nel centro-sud, non lontano dal mare), stufi di lamentarsi per una strada resa assolutamente impraticabile dal fango, per richiamare l’attenzione delle latitanti autorità, i cittadini locali avevano accuratamente trapiantato riso sulla strada, trasformandola in un campo. Se il riso sia giunto a maturare e abbia dato un buon raccolto, non lo so. So però che le autorità hanno continuato a dormire, e gli sfortunati (e inzaccherati) passanti hanno dovuto escogitare altro: hanno costruito un ponte. Non perpendicolare alla strada, per attraversarla, ma parallelo, per costeggiarla lungo il tratto impossibile a percorrere. Purtroppo il ponte, in bambù, soddisfa le esigenze dei pedoni, ma non degli automezzi…

Manipolazione

La tecnica è sempre uguale: qualcuno infila su facebook, nella pagina gestita da un indù, o un buddista, o un “ateo”, frasi o immagini di cui i media non riferiscono nulla, se non che sono offensive nei confronti dell’islam o del Profeta. Come un fulmine, la notizia diventa “virale”, e – divulgata, ingrandita, ripetuta in mille modi – diffonde rabbia fra migliaia di persone che neppure sanno che cosa sia “facebook”; incita alla vendetta, si esalta con gli slogan a “difesa”dell’onore della propria religione, esige la pena capitale per i colpevoli. Si arriva presto alla violenza, a saccheggiare, incendiare case, raccolti e altri beni di fedeli della religione del possessore della pagina blasfema. La polizia interviene in ritardo, impotente per il numero enorme degli assalitori. Corre ad arrestare il “colpevole”, e parte la denuncia con la richiesta della condanna a morte.
L’ultimo di questi episodi è avvenuto il 20 ottobre scorso sull’isola di Bhola, dove la polizia – sopraffatta – ha sparato ammazzando alcuni dimostranti e facendo aumentare il furore. Questa è la quinta volta in pochi anni che, quasi in fotocopia, accuse, aggressioni, fughe, incendi, morti e feriti si rinnovano. È anche la quinta volta che i colpevoli non vengono identificati, e gli unici a finire in carcere, da cui escono dopo molto tempo e molta fatica, sono gli accusati di blasfemia – anche se è chiaro che nessun indù, buddista, ateo, cristiano o quant’altro, può essere tanto imbecille da mettersi in un pericolo del genere; non c’è argomento che tenga, né prova di innocenza che possa placare: era la loro pagina , devono essere impiccati.
Ovvio accusare il fondamentalismo di parti del mondo islamico, il fanatismo di chi, non conoscendo altro che slogan ripetutigli ossessivamente, s’intruppa furibondo per aggredire un “nemico” che non esiste, come le famiglie indù costrette poi a vivere nel terrore per anni – o ad andarsene.
Già, andarsene. Ma è proprio dalla massa ignorante dei fondamentalisti di campagna che partono queste provocazioni facili da creare per chi è esperto di computer, ma non certo per un contadino semianalfabeta? È il gusto di opprimere gli “infedeli” che dà il via? Le autorità non arrivano a concludere le indagini perché hanno paura dei fondamentalisti?
Sembra proprio sicuro che, vicino a coloro che vengono aggrediti, picchiati e costretti a fuggire, ci siano altri pronti a occupare le loro terre, o contenti di veder distrutte le loro attività commerciali. Le autorità hanno ovviamente paura dei fondamentalisti accecati dalla rabbia, ma forse ancora di più conta l’intoccabilità di “pezzi grossi”, magari impegnati in politica, per i quali è facile trovare un “hacker” compiacente, far circolare una notizia falsa, e poi vedere che cosa succede, aspettando che la paura costringa a fuggire, e la preda rimanga disponibile. Come avvoltoi.