Fuori

Chiamiamolo con il suo nome, senza giri di parole: “senso di colpa”. E qualche volta “angoscia”.

Il “Covid 19” ci ha costretti a stare in casa. Ogni volta che telefono, una gentile signora mi raccomanda di lavarmi le mani, coprirmi la bocca quando arriva lo starnuto o il colpo di tosse (usare il fazzoletto, il tovagliolino di carta o il gomito – suggerisce), stare distante e soprattutto non uscire se non è necessario. E io obbedisco. Uscire è necessario qualche volta, per andare al mercato, per celebrare in una delle comunità di suore che stanno nella nostra stessa via, o per spedire un piccolo aiuto a qualcuno che ha avuto la fortuna di non sentirsi dire “no, non posso”. Una parola terribile, perché se è vero che non posso aiutare tutti, è pure vero che chi se lo sente dire avrebbe voglia di rispondere: “Ma io non sono tutti, io sono uno” – e dice proprio così, con altre parole…

Siamo 21 residenti e mezzo nella casa del PIME a Dhaka: Louis e Anselmo, due nostri dipendenti che risiedono qui, conoscono tutto e tutti, e danno una mano nella gestione della casa; nove studenti di college, cinque di filosofia; Alberto, missionario laico dell’ALP che studia il bengalese; p. Prasad del PIME, indiano, pure lui alle prese con la lingua (come per Alberto, naturalmente le lezioni sono a distanza, usando le diavolerie moderne che in questi tempi tutti apprezziamo); padre Brice del PIME, camerounese, che svolge programmi formativi per giovani, p. Francesco e il sottoscritto. Il “mezzo” residente è Fratel Lucio, che ha la base in una baraccopoli ed è impegnato, con i suoi volontari, con i bambini di strada. Viene qui il sabato sera, sta chiuso in camera per evitare eventuali contagi a noi, riparte il lunedì in mattinata. Cerchiamo di servirlo per bene – ma certo non è difficile immaginare quanto sia entusiasmante un “week end” in “quarantena”…

Possiamo pregare e celebrare insieme, nel refettorio che è largo e ci permette di non stare ammucchiati come in cappella. Sono i giovani che cucinano, e se la cavano bene. Coltivano un minuscolo orto e allevano 10 conigli (uno ce lo ha mangiato una mangusta, e ora qualcuno sta cercando di catturare e mangiare la mangusta…), facciamo lezioni di inglese e di computer, e pure un cineforum. Luban non ama il cricket e ogni pomeriggio, per tre quarti d’ora, prende elegantemente a calci – da solo – un pallone bucato, mentre gli altri s’accontentano del cortile per far finta di giocare a cricket. Tutto bene, neppure si litiga…

Io, che ho vissuto in vari luoghi del Bangladesh, tengo quasi sempre spento il cellulare perché da tutte le parti arrivano chiamate sempre più accorate e insistenti, a volte arroganti, per lo più imploranti. Inutile spiegare che non posso aiutare tutti. “Sì, sì, dici bene che non puoi, ma io non mangio da due giorni…” Magari non è vero, sta esagerando per commuovermi. Però è sempre più verosimile.

Quando poi uscire “è necessario”, ( armati di mascherina, guanti, ecc.) balza agli occhi che giorno per giorno aumenta il numero di chi vaga per le strade mendicando, spesso a gruppi: donne e bambini, anziani, ragazzi…

Per quanto umanamente si possa, senza dubbio noi siamo in situazione di sicurezza. Ma basta questo? È la domanda di ogni momento. Qualcosa facciamo, ma se pensiamo al numero di persone in gravissime difficoltà, gira la testa… Il cervello ci dice tante cose, per esempio: con un po’ di fantasia e di coraggio si potrebbe fare qualcosa; ma che cosa?… guarda che se anche facessimo molto di più, la situazione rimarrebbe praticamente la stessa… Verissimo, ma ciascuno di coloro che soffre non chiede di risolvere la situazione, chiede di stare un poco meno male. Chi chiede non è una “situazione” da risolvere, è uno – o una, magari con bambini a carico…

La strada sotto casa nostra, a causa del “lock down” (chiusura generale) è molto meno frequentata di prima, e la notte ora c’è quasi silenzio; ma non per questo si dorme meglio…

Pensavamo…

Vedova da pochi mesi, lavora come domestica in alcune famiglie; ha quattro figli, fra cui la seconda sta preparandosi all’esame di maturità – poi rinviato a tempo indeterminato. La ragazza improvvisamente accusa forti dolori all’addome; appendicite? Ricovero in uno degli ospedali governativi più grandi ed efficienti di Dhaka. Dopo due giorni, dicono alla mamma che è un caso molto grave, operano, asportano le ovaie, avvisano che ci vogliono soldi e tempo per analizzare il materiale. L’ammalata si riprende un po’, e la mamma non ha più mezzi per continuare le cure; la mandano a casa: torni per togliere i punti. Ritorna infatti, ma la ferita è in pessime condizioni, infetta: tolgono i punti, puliscono, e fasciano, rispedendola a casa: un po’ in ricksciò e un poco a piedi, visti i divieti di circolazione in corso. Altro tempo di attesa, “poi cuciremo di nuovo”.Ovviamente ci vogliono ancora soldi. La donna li mette insieme con miracoli che solo una madre può fare, e torna alla data fissata. Controllo, non c’è male. Prende coraggio; “Dottore, mi scusi, ma che cosa è successo a mia figlia?” Il medico si guarda attorno e le spiega in un sussurro: “Vedi che non ci sono medici qui intorno? siamo rimasti pochissimi. Quasi tutti si sono messi in malattia per paura del coronavirus. Abbiamo operato tua figlia come potevamo, stava davvero male, e pensavamo che sarebbe morta. Abbiamo chiuso la ferita in fretta, pensando che non valesse la pena dare altro tempo. Ma è andata diversamente: l’esame è negativo, tua figlia ha reagito, ora abbiamo sistemato la ferita. Mi dispiace, è anche colpa mia, ma devi capire…” “Capisco, ma la spesa in più?”“Niente da fare, si tratta di costi, e l’ospedale non può fare sconti…”

Folle

A seguito del blocco della circolazione e delle attività lavorative non essenziali per contrastare la diffusione del coronavirus, in Bangladesh c’è stato intorno al 20 marzo un esodo di milioni di lavoratrici e lavoratori dalle aree industriali ai rispettivi villaggi. Ma il 4 aprile, mentre la polizia bloccava a chiunque l’ingresso in Dhaka, e perseguiva chi circolava senza motivi nelle città e in molti villaggi, altrove si sono viste scene tipo “andiamo al villaggio, arriva la festa”, con migliaia di persone stipate su traghetti stracarichi, camion presi d’assalto da passeggeri, centinaia di migliaia di rientri nelle zone di lavoro. Altro che “social distance”, distanza di sicurezza! Si era sparsa la voce che le imprese avrebbero pagato gli stipendi di marzo; alcune imprese avevano deciso di riaprire assicurando che avrebbero fatto osservare le distanze di sicurezza, alcuni lavoratori avevano ricevuto telefonate minacciose: il 5 si riapre, e se non ci siete, perdete il posto. Ma il 5… cancelli chiusi. Quasi tutti. Gli imprenditori – come chiunque altro in questo tempo – non sanno che pesci prendere, e quando alcuni hanno scelto di riaprire, le loro organizzazioni sono entrate in campo raccomandando di aspettare ancora. Qualcuno l’ha fatto, altri no, e non si sa che posizione abbia preso o prenderà il governo.

Emergenza

Non so quante siano, ma certamente non sono poche anche qui le persone di buona volontà che si organizzano, o collaborano con organizzazioni già esistenti, per dare una mano ad alleviare i tanti problemi che accompagnano la pandemia del Coronavid 19.

Ambulanze. A Chittangong le ambulanze sono diventate temutissime, perché si pensa che trasportino persone colpite dal virus: anche chi ha problemi gravi di salute e urgenza di ricovero (infarti, incidenti…), rifiuta di usarle, correndo a volte gravi rischi e disagi.Un privato s’è accorto del problema e ha messo a disposizione, a sue spese, quattro ambulanze che fanno gratuitamente la spola in città, garantendo di essersi tenute lontane dal virus.

Mietitura. In varie zone del Paese è tempo di raccolta del riso. Normalmente, lavoratori stagionali si recano in queste aree per la mietitura, ma quest’anno il blocco della circolazione ha reso i viaggi teoricamente impossibili, praticamente molto difficili e costosi, proprio mentre forti piogge fuori stagione stanno mettendo a rischio i raccolti. Molti giovani, spesso studenti delle aree interessate, si improvvisano contadini per aiutare gli agricoltori, così che il preziosissimo riso non vada perduto.

Condivisione. Nel mese di Ramadan, al tramonto si rompe il digiuno quotidiano con una piccola festa che è molto sentita e simpatica (iftar). Si condividono leccornie con parenti e amici, anche con vicini di casa e poveri. Quest’anno ci sono moltissimi nuovi poveri in più, per i quali ricevere cibo diventa questione di sopravvivenza. E ci sono anche più persone che vivono questo “valore aggiunto” del Ramadan: sperimentare, grazie al digiuno, le condizioni di chi patisce la fame, ed essere più generosi con loro – almeno al momento dell’iftar.

Bambini in strada. Fratel Lucio Beninati, Pime, ha chiamato a raccolta la “sua” associazione “Pothosisu seba songho”, che si dedica a “bambini di strada” a Dhaka, e anche a Sylhet. In questo periodo organizza per alcuni di loro distribuzioni di cibo in due zone della capitale. Dopo alcuni giorni, alla distribuzione per bambini si è aggiunta la distribuzione per circa 50 adulti, sperando di calmare l’irrequietezza – e il rischio di reazioni violente – di chi rimaneva a bocca asciutta. A Sylhet, anche il Vescovo ha preso parte ad una distribuzione.

Ficcanaso. Sono almeno venti i giornalisti minacciati, picchiati, o fatti arrestare perché hanno pubblicato notizie di abusi nella distribuzione di aiuti, sopratutto riso e altri alimentari, che dovrebbero essere dati gratuitamente, o venduti a “prezzi politici” ridottissimi, e invece “spariscono”.

Blocchi. Da ogni angolo si sente la lamentela: di aiuti qui non si parla… fanno promesse ma non arriva nulla… tutto è finito nei magazzini del sindaco… del prefetto… del parlamentare… e dei loro amici… siamo alla fame… Qua e là, alcuni hanno iniziato a mobilitarsi, organizzando blocchi su strade o incroci di una certa importanza. Finora queste iniziative si sono risolte pacificamente: arriva la polizia con qualche autorità che promette di provvedere, la gente si fida, il blocco è sciolto. Riusciremo a evitare violenze del tipo “assalti ai forni” di cui ci ha raccontato il Manzoni?