Poi arrivò la “destinazione al Bangladesh”, e prima di andarci volevo trovare il modo di mettere insieme intuizioni, domande, desideri che si incontravano e scontravano in me. Decisi di partecipare a un “Mese di Nazareth”, cui presi parte in una “Nazareth” decisamente improbabile: Galway, città sulla costa occidentale dell’Irlanda. Si trattava di un mese di convivenza, preghiera, riflessione, condivisione fra preti di tutta Europa, per lo più diocesani, che si ispiravano a Charles De Foucauld. Eravamo una trentina, eterogenei per provenienza, età, esperienze, ed ero il più giovane. Unico italiano, fecero a gara per farmi assaggiare le migliori birre dell’Irlanda, e mi misero in guardia dall’oceano “troppo freddo per un italiano, anche in agosto”. Mi tuffai “per difendere l’onore della patria”… uscendone a stento, mezzo congelato.
Non ci fu nulla di speciale, ma fu un’esperienza arricchente. Ciascuno di noi portava e condivideva la sua piccola storia personale vissuta con onestà, senza pretese, a volte confessando errori e riprese, o sofferenze interiori nascoste, dubbi e paure per cui cercava il balsamo della fraternità. Il riferimento a De Foucauld non era una venerazione “doverosa” come spesso si ha per i santi, ma il riferimento ad un un uomo che esprimeva in tanti modi la sua passione per Gesù che gli aveva dato un Padre, la sua voglia di farne partecipi altri, la sua fedeltà nei fallimenti e nelle delusioni. Nella sua storia, per tanti aspetti unica, trovavamo un poco di noi stessi. In modi diversi constatammo che ciascuno portava dentro di sé, senza ribellioni o contestazioni (come si diceva allora), un desiderio struggente di una Chiesa umile, vivace, capace di cercare il cuore degli uomini e delle donne del nostro tempo, innamorata di Dio e meno preoccupata di occupare posizioni di prestigio… Ricordo una condivisione che facemmo a partire da una confidenza scritta da Charles, che per un certo tempo visse a Gerusalemme facendo il giardiniere, portinaio e tuttofare in un convento. Quando usciva per andare a fare acquisti, i ragazzini del quartiere ritenevano matto quello straniero vestito con vecchi abiti, che faceva il servo delle suore: ridevano, lo prendevano in giro, gli lanciavano sassi. Charles si rallegrava di poter sperimentare un poco delle umiliazioni subite da Gesù.
Nell’autunno del 1978, salutati i nostri cari all’aeroporto di Roma, partimmo per il Bangladesh.Superati i controlli dei passaporti, Achille e io appoggiammo le borse per terra e ci guardammo: “Allora,finalmente si parte. Ma… che faremo?” Ci pensammo un attimo e la risposta fu: “Andiamo a cercare Dio in Bangladesh.”
All’aeroporto del Cairo, non so come, riconoscemmo fra i passeggeri in attesa Renè Voillaume, fondatore dei Piccoli Fratelli. Gli confidammo che cosa pensavamo e come ci eravamo preparati. Rispose sorridendo: “Vous êtez bien equippè”. Arrivati a Dhaka in piena notte, dopo un viaggio piuttosto travagliato e senza nessuno ad aspettarci, ci guardammo intorno smarriti, alla luce fioca di un lampione nella strada deserta: “Dio era qui prima di noi, e ci aspetta” ci dicemmo.
Sorprendentemente, dopo il mio arrivo in Bangladesh – ambiente islamico e povero – il mio riferimento diretto alla spiritualità di De Foucauld si affievolì. I primi anni furono pieni di shock culturali ed emotivi, dubbi, esperienze della mia debolezza e delle mie incapacità. Giocavo in difesa, cercando di sopravvivere in mezzo a situazioni senza soluzioni e domande senza risposte. Rimaneva però il desiderio di qualche cosa che andasse – almeno un po’ – oltre i modelli di missione che vedevo in Bangladesh, pur rispettabilissimi, e che avevano chiesto a molti prima di me una fede e un coraggio davvero grandi, a cui mi appellavo per incoraggiarmi. Dopo lo studio del bengalese e poco più di un anno di servizio come assistente in una parrocchia rurale, con p. Gianni Zanchi e P. Achille ottenemmo il permesso del superiore del PIME e del vescovo, e cercammo un posto a Bogra, una cittadina dove l’unico segno di presenza cristiana era un piccolo ospedale della “Church of God”, la cui direttrice, americana, non vide certo di buon occhio il nostro arrivo. Volevamo essere “una presenza” in un contesto urbano completamente musulmano e indù, cercando un modo di rapportarci con queste persone di altre fedi che fosse di amicizia e di testimonianza. Achille e Gianni – uno accostando famiglie con persone disabili, l’altro attraverso un po’ di medicina preventiva – riuscirono a creare una piccola rete di rapporti. Io che – grazie agli studi fatti – avrei dovuto accostare il mondo delle moschee e delle madrasse (scuole coraniche) mi trovai completamente spiazzato. Non avevo un’identità con cui presentarmi in modo comprensibile e accettabile, anzi, suscitavo sospetti; non avevo capacità di semplici contatti personali con sconosciuti… non trovavo punti di aggancio, una pista… Dopo due anni circa, Achille si ammalò e dovette recarsi a Hong Kong per cure impegnative, Gianni, eletto superiore dei missionari in Bangladesh, dovette trasferirsi a Dinajpur. Io mi identificai con una curiosa immagine biblica del profeta Baruc (6,69) quando, descrivendo l’inutilità degli idoli, dice che sono “come uno spaventapasseri in un campo di cetrioli (o di cocomeri, secondo la traduzione)”, che sta là e non combina nulla…
Alzai bandiera bianca, e il vescovo mi chiese di dare una mano al seminario intermedio, che allora si trovava a Dhaka e serviva le quattro diocesi del Bangladesh. Scoprii allora che esisteva una piccola “Fraternità sacerdotale Charles de Foucauld”, con alcuni preti bengalesi e stranieri che si riunivano periodicamente, ma non ebbi l’opportunità di frequentarli.
Ebbi occasione di conoscere don Andrea Gasparino, un prete di Cuneo che nel dopoguerra aveva avviato una “Città dei Ragazzi” per aiutare ed educare ragazzi poveri e sbandati. Cercando di dare una formazione e motivazioni solide ai volontari che lo aiutavano e ai ragazzi, don Andrea si era incontrato con la spiritualità di De Foucauld. Facendola sua, fondò il “Movimento Contemplativo Missionario Charles De Foucauld” che crebbe, e allargò sguardo e presenze da Cuneo fino all’Africa, America Latina, e Asia. In Bangladesh alcune Sorelle erano arrivate pochi anni prima, aprendo una piccola comunità sulle palafitte lungo il fiume che costeggia la città di Khulna. Venuto per visitarle, don Gasparino fu ospite del PIME a Dhaka, dove ci incontrammo e parlammo a lungo, trovandoci a nostro agio. (continua)