Amore

Sono contadini di religione indù, abitano nella zona di Lalmonirhat, nel nord del Bangladesh. Sposati da vent’anni, hanno due figli. Da qualche tempo lei è spesso ammalata, e non si riprende nonostante le varie cure che fa, affidandosi a “kubiraj” (medici tradizionali) e a medici moderni. Ma una notte ha sognato. Il sogno le ha rivelato che per guarire deve portare in casa alcuni animali, fra cui un cavallo, un cigno, una capra e un elefante. La capra non è difficile da trovare, il cavallo costa un po’ caro, il cigno è una rarità possibile. E l’elefante?

Comprati gli altri animali, la coppia prepara diversi altarini davanti ai quali ogni giorno fa la preghiera, con devozione. Ma la salute della signora non migliora. Alla fine, il marito decide: vende due terzi del terreno agricolo che possiede e si mette alla ricerca di un elefante. Dove lo trovi e da dove lo porti a casa sua, non lo so. Ma ce la fa, con l’aiuto di un giovane addestrato a guidare gli elefanti, che ovviamente chiede uno stipendio, più vitto e alloggio, e assicura che addestrerà due giovani del villaggio a prendersi buona cura dell’animale. L’elefante non commenta, ma visto in fotografia sembra in piena forma e addirittura, direi, contento. Contento è pure il marito, perché la moglie sta molto meglio e non nasconde la sua riconoscenza – e contenti i figli perché papà e mamma stanno bene.

La gente commenta: “Mai vista una cosa così!”. Si riferisce all’elefante, ovviamente; ma non pochi – pur senza dirlo – pensano all’amore.

Deturpatori

I lavoratori che emigrano clandestinamente dal Bangladesh in cerca di lavoro, per lo più non hanno vita facile. Quasi tutti si sono appoggiati ad agenzie clandestine, o legali che fanno anche lavoro illegale: le quali li hanno persuasi che tutto è facile, basta pagare. Così partono facendo debiti e poi… documenti sequestrati, stipendi non pagati, nessuno cui rivolgersi, impossibile ritornare; per le “collaboratrici domestiche” botte, stupri, e anche morte. Le disavventure sono innumerevoli. Ci si è messo anche il Covid 19, che ha fatto licenziare migliaia di lavoratori rimasti – supponiamo – in un paese straniero senza soldi, né casa, né documenti, e tenuti alla larga perché sospetti portatori del virus. I paesi in cui si trovano cercano di liberarsene alla svelta e non se ne fanno carico; il Bangladesh fa finta di niente perché sono partiti senza documenti appropriati. Qualcuno di loro implora, poi protesta. In Vietnam, ad esempio, hanno organizzato proteste sotto l’ambasciata del Bangladesh, e alla fine ce l’hanno fatta. Ottantuno di loro sono stati messi su un aereo e poi tenuti in quarantena, dopo di che – finalmente… tutti in galera! Fanno compagnia ad altri 219 lavoratori ritornati nel giugno scorso da Qatar, Kuwait e Bahrain. Accusa? Mai presentata ufficialmente. Processo? Dopo che sarà chiarita l’accusa. Avvocato? Per che cosa, se non c’è un’accusa? Diciamo allora, usando un termine generico: quale è la colpa? Questa è chiara, chiarissima: hanno “tarnished” l’immagine del Bangladesh all’estero. Tradurrei “tarnished” con “macchiato”, o forse meglio con “deturpato”. Gente così fa fare brutta figura al Paese, e questo è un crimine – in Bangladesh. Meglio tenerli dentro. Per quanto? “Vedremo. Intanto, se ne stiano in carcere perché – ha scritto un pezzo grosso della polizia – se lasciata libera dopo la quarantena, potrebbe spargersi qua e là per il Bangladesh, e commettere crimini come furti, terrorismo, omicidi, anarchia.” I carcerati per precauzione e per macchie sparse sulla loro patria, al momento (2.10.20) sono 416, tutti vittime collaterali della pandemia.

E chi li ha imbrogliati, tenendosi le ingenti somme sborsate da loro? Sembra che quelli non abbiano macchiato nulla…

Charles de Foucauld (5)

Seguirono 19 anni lontani dal Bangladesh. Al mio ritorno, nel 2002, venni assegnato al seminario teologico e cercai le tracce della “Fraternità Sacerdotale” che avevo conosciuto. Era cresciuta fino ad accogliere tutti i diocesani del Bangladesh, ma il riferimento a De Foucauld si era perso per strada. Ancora oggi la Fraternità esiste, organizza momenti di preghiera e formazione, stimola rapporti fraterni fra i preti, ma forse nessuno sa quale sia stata l’ispirazione iniziale. Che “dare il via e scomparire” sia il contributo maggiore che il prossimo Santo ha dato e ancora darà alla Chiesa e alla missione?

Il seminario dove vivevo non era lontano dalla piccola comunità delle “Blue Sisters”, come comunemente, qui in Bangladesh, sono chiamate le Suore del “Movimento contemplativo missionario” basato a Cuneo. Le frequentai, celebrando settimanalmente l’Eucaristia nella loro piccola cappella, che chiamai “La cattedrale di Cocacola”: Giuseppe Berto,un imprenditore italiano che viveva a Dhaka, e spesso veniva con la moglie Giovanna a pregare con noi, diceva che partecipare alla Messa in quella umilissima cappella fra le baracche del quartiere chiamato “Cocacola”, lo aiutava più che parteciparvi in una cattedrale.

La missione delle “Blue Sisters” – a quanto ho capito – vuole essere una presenza orante in mezzo ai poveri, e condividere la vita con loro: visitano gli ammalati, danno qualche aiuto quando ci sono difficoltà più acute; per coinvolgere vedove e donne molto povere, organizzano piccole attività artigianali, cose semplici, gestibili in casa, che creano rapporti. La mia situazione in seminario e la loro nella baraccopoli erano evidentemente diverse, eppure ci ritrovavamo con facilità a condividere problemi, dubbi, esperienze e fallimenti – oltre alla preghiera.

Presenti in Bangladesh ormai da oltre 40 anni, le “Blue Sisters” si chiedono a volte con molta pena perché il numero di ragazze bengalesi che si è unito a loro sia insignificante. La mia impressione è che anche per loro, come per Charles de Foucauld quand’era in vita, succede che chi le conosce le stima e ammira, ma non le imita. La Chiesa francese dei tempi di De Foucauld era impegnatissima nello sforzo di creare opere, soprattutto educative, che influissero sulla cultura e sulla società del Magreb. Capiva bene che non si trattava – almeno per il momento – di battezzare, ma pensava che occorressero opere qualificate, di prestigio per realizzare qualcosa di utile, per incidere sulla cultura, e per farsi conoscere. Bisognava, in qualche modo, avere un “di più” rispetto alle società locali, e non pochi pensavano che la diffusione della civiltà francese fosse in qualche modo parte della missione. Neppure De Foucauld fu completamente libero da quest’ottica. Che comunque, mi pare, rendeva meno recepibili le sue impostazioni spirituali e missionarie. I frutti vennero dopo…

La chiesa del Bangladesh è locale e non ha desideri di colonizzazione ma è infima minoranza. Non è perseguitata, si può dire che è libera, però, in quanto minoranza, deve comunque abbassare la testa molto spesso, ingoiare rospi, sentirsi emarginata o almeno ignorata. Forse anche per questo sente il bisogno di visibilità, s’impegna a fondo nell’organizzarsi, nel rendersi presente con qualche cosa che venga apprezzato. Non manca la preghiera, in alcuni luoghi i fedeli amano molto grandi e prolungate riunioni di preghiera,con canti e stili tradizionali in parte mutuati da denominazioni protestanti, o creati da loro; i pellegrinaggi attirano… ma la meditazione, e il silenzio di Nazaret sembrano non attirare. “Che cosa fate?” è la prima domanda che molti pongono alle “Blue Sisters”, e quando sentono una risposta che ritengono vaga, indefinibile, senza incisività, rimane, forse cresce la stima personale, ma non si sentono attirati. Questa è la sensazione che hanno anche i Fratelli di Taizè che hanno una piccola comunità qui da oltre cinquant’anni, ma ben poche vocazioni. Presenze infruttuose?

Mi pare che qui e ovunque la spiritualità di Charles De Foucauld non sia chiamata ad incidere nella chiesa come ha inciso l’omonimo di Charles, suo predecessore nella santità: san Carlo Borromeo, o come hanno inciso i monasteri di S. Benedetto, le attività di Ignazio di Loyola, le scuole dei Salesiani, gli Istituti missionari e tanti altri. Se il carisma fondamentale richiama il nascondimento di Nazaret, il suo silenzio che i Vangeli stessi non violano, allora chi si ispira al futuro nuovo santo deve, come lui, desiderare di vivere pagine che non saranno scritte, amare persone che nessuno conosce, pregare ore che nessuno conta. Ma chi mai ha contato le ore di preghiera di Gesù a Nazaret, o sulle montagne della Galilea e della Giudea? Come per Charles de Foucauld, i frutti verranno, in modi imprevisti e senza clamori.

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Ecco, siamo arrivati alla fine della mitragliata di schegge. Concludo con una citazione in cui mi ritrovo: “Si diventa adulti dentro una vocazione quando si riesce a capire che la vita che stiamo facendo non è quella che volevamo fare, e nasce una profonda sensazione di infedeltà, una infedeltà che non è tradimento ma svelamento della verità della prima voce. Qualche volta, lungo questi fiumi, riusciamo anche noi a gridare a Dio “ricordati di te”, per dirgli: “io non ce l’ho fatta a custodire la fedeltà del primo patto, ma tu devi essere fedele. E se tu sei fedele al patto con me non mi manca nulla, è un bel modo di invecchiare e di morire”. Luigino Bruni, commentando il salmo 89.