Quando è stato chiaro che la pandemia era arrivata anche qui, e poche settimane di “lockdown” hanno sconvolto la vita di milioni di persone, il governo ha lanciato un progetto di aiuto su due fronti: dare “stimoli” ad imprese varie, grandi e piccole, e dare a 5 milioni di “ultra poveri” una donazione “una tantum” di 2.500 taka, circa 27 euro. A sei mesi dalla decisione risulta che è stata preparata una lista degli aventi diritto, ma con qualche problema: trecentomila persone – chissà come mai – hanno ricevuto più di un buono ciascuno; 3.000 impiegati governativi e 7.000 pensionati – che ultra poveri non sono – sono entrati in lista. Il 69% degli elencati, finora non ha ricevuto la somma. Chi ha potuto presentare il suo buono (ottenuto legalmente o no) a qualche ufficio incaricato della faccenda, per ricevere la favolosa somma di 2.500 taka ha dovuto lasciare mediamente 220 taka di “mancia” all’impiegato che distribuiva.
Archivio mensile:Dicembre 2020
Bestiario
Pochi anni fa, buoi e bufali che trainavano carri o aravano nei campi facevano parte del panorama, come le barche a vela sui fiumi. Sono quasi scomparsi, capita di vederli occasionalmente, in zone remote. Quasi scomparsi anche i cavalli, piccoli e robusti, che stavano ai buoi come l’automobile sta al camion: trasporto più veloce e più leggero…
Numerose le mucche, dovunque ci sia un filo d’erba, oppure accanto a grandi mucchi di paglia di riso, che consumano pian piano: cibo magro e poco appetitoso che giustifica le dimensioni minute della mucca, e l’avara produzione di latte… Si stanno facendo avanti le straniere: olandesi e australiane soprattutto, di cui con incredulità si sente dire che producono oltre 20 litri di latte, però ci vogliono un sacco di soldi per comprarle, nutrirle, curarle: non si adattano facilmente.
Le capre sono tante e dappertutto, presenti anche – come vittime – alla festa del sacrificio di Abramo. Latte, niente; ottime per la carne, devastanti per le pianticelle; non temono la concorrenza delle pecore, poche, piccole, malandate e arruffate.
Maiali? Neppure parlarne: impuri e proibiti, oggetto segreto di tentazione per musulmani poco osservanti.. Ma apprezzatissimi da bengalesi cristiani e soprattutto da aborigeni: impensabile un matrimonio, la commemorazione di un defunto, una riconciliazione senza un maiale da spartire. Sulle discariche lungo le strade accanto alle città si vedono ogni tanto grandi branchi di maiali nerissimi condotti al pascolo da fuori casta indù.
Le galline, regine di aie e cortili, erano in concorrenza con le anitre, regine degli stagni, in coabitazione con occasionali oche. Poi è arrivato l’allevamento industriale, le galline hanno invaso i mercati, la loro carne è la più economica e insipida. Restano prestigiose le “deshi” (letteralmente “nostrane” – ruspanti) magrissime e durissime, ma saporite; e le “pakistani”, le cui caratteristiche mi sfuggono.
Quanto ai piccioni, anche molti medici dicono che hanno la carne più nutriente, ideale per i malati, permessa anche a chi ha il colesterolo alto.
Circa due anni fa sono apparsi per la prima volta gli sconosciuti tacchini. Un amico – pastore luterano – mi spiegò che per racimolare qualche soldo e pagare gli studi dei figli aveva accettato la proposta di una società che in cambio di una cauzione dava 15 pulcini di tacchino, più mangime e medicine, riprendendoli poi quando avessero raggiunto le dimensioni giuste, e pagando il servizio di aver accudito ai tacchini. Si stavano diffondendo, curiosità per tutti e specialmente per i bambini… finché la società scomparve, insieme con i soldi delle cauzioni. E in poco tempo scomparvero anche i tacchini…
Onnipresenti i cani, in città, in campagna, al nord, al sud, nei giardini, per le strade – bianchi e marroni, qualcuno bianco e nero. Vivono per conto proprio, sopportando con noncuranza la presenza di esseri umani sui loro territori; i gatti non si fanno notare, ma ci sono…
Zanzare? Tante: non solo quelle innocue, ma anche le tradizionali portatrici di malaria, rimaste nelle zone collinari nonostante le disinfestazioni radicali di qualche decennio fa, e si stanno diffondendo, tristemente famose e temute, quelle che trasmettono febbre dengue, e recentemente la cicungunia – che è ancora peggio. Meglio non parlarne…
Maria
Poco più di trent’anni, credo. La vedo per la prima volta quando viene alla parrocchia per ricevere un piccolo aiuto, distribuito grazie ad una donazione del PIME. Poi mi cerca e mi rintraccia, e la cosa mi dà fastidio. È troppa la gente che sente dire meraviglie di quel padre straniero che aiuta tutti, in qualche modo riesce a farsi dare da qualcuno il mio numero di telefono, e s’aspetta, direi esige, che con questo tutti i problemi saranno risolti… La mando via più volte, dicendo che non posso fare nulla, ma poi riesce ad agganciarmi.
Non è simpatica. Porta un velo sulla testa e la maschera antivirus; gli occhi grigi sono un mare di tristezza, smarrimento, paura; fissa a lungo, silenziosa, prima di parlare in modo aspro, che sembra aggressivo. Ha una grave infezione all’orecchio destro, che non ha mai potuto curare, con dolori che non la lasciano dormire, e l’orecchio sinistro è debole. Devo far ripetere più volte ciò che dice, lei non mi capisce, fraintende, si spazientisce… Era incinta del primo figlio, undici anni fa, quando il marito morì in un incidente e si trovò sola con il bambino, i genitori poverissimi, un fratello minore fannullone. Sono cristiani cattolici, vivono a Khulna, credo che appartengano al gruppo dei “rishi”, fuori casta indù, impuri e disprezzati scuoiatori di animali e conciatori di pelli. Giovane vedova affamata, venne con il bambino a Dhaka, trovando lavoro in una fabbrica di abiti; con lo stipendio e tante ore di straordinari manteneva tutti. Poi… ecco la pandemia: la fabbrica chiude, e ora Maria è qui, davanti a me, e disperatamente mi chiede di farla uscire dalla disperazione.
Le do qualche cosa. Ritorna, insistente, noiosa; ma alla fine mi convinco che è seria. Vuole una macchina per cucire e quando le chiedo se sa fare la sarta mi risponde irritata: “Certo che lo so fare, ho cucito abiti per tanti anni, e non ho imparato?”. “E il taglio? e tutto il resto?“ “Anche taglio e tutto il resto, so quello che dico”. Mi do dello stupido perché so bene che finirà per confessare che non se la cava, ma prometto di procurarle la macchina e, come sempre in casi del genere, in poco tempo saltano fuori i “corollari”: macchina significa anche ferro da stiro, tavolino, coperta, orlatrice, filo, tessuti in abbondanza, anticipo per trovar posto in un ostello, e medicine per l’orecchio ormai insopportabile.
Mi stupisce invece perché, messo insieme l’indispensabile per iniziare, in brevissimo tempo si fa conoscere, e inizia a guadagnare. Ovviamente, con questo si sente autorizzata a chiedere di più, perché non può lasciare genitori, figlio e fratello alla fame, e perché le hanno detto che l’orecchio è in condizioni molto gravi, occorre uno specialista, probabilmente un’operazione. Mi telefona tre, quattro volte al giorno per chiedermi se sto bene, per implorare: non lasciarmi! Però il lavoro si avvia decisamente bene e qualche volta, quando ne parla, sorride un po’, quasi per dirmi: “Pensavi che non sarei stata capace, vero?” Non manca qualche bugia: “sì, le bugie dei poveri” mi spiegò una volta una poveretta che avevo accusato di aver mentito per farsi aiutare.
Una notte all’una, mi sveglia con una telefonata, piangendo irrefrenabilmente: mio padre ha avuto un ictus, è paralizzato in ospedale. Parte subito per Khulna; derubata mentre viaggia in autobus, non sa come far dimettere il padre: finché non paga il conto, niente dimissione, e il conto cresce giorno dopo giorno. Ritorna a Dhaka, lavora, paga. Ora le cose per lei andrebbero benino, ma non può sopportare il pensiero del papà affidato alle cure della mamma, anche lei malandata.
L’orecchio va un po’ meglio, il lavoro cresce, il ritornello rimane, insistente e angosciato: padre Franco, non lasciarmi, è la prima volta che trovo qualcuno a cui appoggiarmi…
Le spiego che mi assenterò per una decina di giorni: vado a Rajshahi alla comunità Snehonir. Mi telefona spesso anche là finché le rispondo irritato: piantala, lo sai che sono via, sto bene, non chiamare tutti i momenti! Due giorni di silenzio, poi di nuovo una chiamata notturna. È Padre Shamir, il giovane assistente della parrocchia di S. Christina, a Dhaka. “P. Franco – mi chiede – conosci una donna che abita a Kollanpur, è di Khulna, e fa la sarta?” “Maria?” “Sì, credo si chiamasse Maria. È partita questa mattina per Khulna, perché il papà si era aggravato. Lo ha visto in ospedale, lo ha fatto portare a casa, e poi… e poi è morta. Un ictus”.
Il padrone della stanza in cui viveva, saputa la notizia, subito sostituisce la macchina da cucire e il ferro da stiro, nuovi di zecca, con un’altra macchina arrugginita e fuori uso, e con un ferro da stiro malandato, e fa sparire le stoffe e gli abiti in lavorazione. Ai parenti che si fanno vedere consegna la macchina da cucire vecchia, e chiede due mesi di affitto per permettere di portar via le altre cose che appartenevano a lei, compreso lo scarso mobilio e il materassino su cui dormiva per terra… Loro non pagano, tutto rimane a lui.
“Maria, ho scritto questa scheggia per mostrarti che, anche se mi arrabbiavo con te, non ti volevo proprio abbandonare, e per dirti il mio rammarico perché non sono riuscito a farti vincere la paura. Ti ammiravo, e speravo tanto di riuscire a vedere nei tuoi occhi un poco di pace, di speranza. Pensavo alle parole di Gesù: Beati i Poveri, Beati coloro che piangono. Ora ti prego – sì, prego proprio te – di aiutarmi a credere in quelle parole.”
Mi hanno detto che è stata sepolta con un abito bianco.
Rajshahi, 25 novembre 2020
Aggiunta
Ho esitato a lungo se pubblicare o no la scheggia “Maria”, pubblicata subito prima di questa, perché molto, forse troppo emotiva e personale. Ma ho deciso per il sì perché esprime un momento autentico del Bangladesh come lo vedo e lo vivo.
Ma poi… sorpresa. Maria non si chiamava Maria, forse non faceva la sarta, forse il furto di cui mi aveva parlato non è mai avvenuto, forse le ricevute che mi ha mostrato e consegnato erano false, certamente il papà non ha avuto un ictus ma sta bene e – pur anziano – ancora lavora, forse è morta veramente: ho visto numerose fotografie della salma nella bara, e c’era pure l’abito bianco che mi ha commosso. Lo so che oggi si possono falsificare le fotografie a piacere, ma la notizia della sua morte non me l’ha data lei (avrei avuto qualche dubbio in più…) e chi mi ha parlato della faccenda non era parte in causa e non aveva interesse a raccontarmi di una finta morte.
Mi sono chiesto se dire a Bruno e a Giuliano – i fedelissimi curatori di Banglanews e anche della pubblicazione delle schegge – di non pubblicare questa scheggia; oppure se pubblicarla facendo poi finta di niente, tacendo sull’imbroglio per non fare la figura del… Ma ho scelto di pubblicare e di fare questa aggiunta: anche questo è Bangladesh, anche questa è missione, anche questo sono io.
Rimane il rammarico che questa signora non abbia potuto fare l’attrice, rimane la preghiera per lei – che certo non ha vissuto bene la beatitudine annunciata da Gesù, ma spero si sia ora incontrata con la Sua misericordia. Rimane la fatica di discernere, capire, trovare le vie giuste per offrire un aiuto a chi ha davvero bisogno – e anche questa sedicente Maria aveva bisogno di aiuto: un bisogno di aiuto differente che mi dispiace non aver saputo cogliere.
Dhaka, 4 dicembre 2020
Smarrimento
Sila e Rakish si vogliono bene; dicono spesso che solo questo li consola da una povertà estrema, dolorosa. Sono musulmani, hanno due figlie, vivono al villaggio di Sila. Rakish viene a trovarmi e mi racconta smarrito: “Hanno violentato la figlia di un mio vicino di casa. Tutti sanno chi sono i colpevoli, ma loro vanno in giro tranquilli: sono i due figli di una “persona di rispetto”, e gli altri sono loro amici. Sila dice che dobbiamo far presto a sposare la nostra più grande…”. “Ma… quanti anni ha?” chiedo perplesso. “Ne ha 14, e in paese tutti dicono che non c’è altro da fare”.
Pare che la pandemia abbia portato ad un forte aumento del numero dei matrimoni precoci, forse perché, non andando a scuola, le bambine corrono più rischi. La legge permette il matrimonio solo quando la ragazza ha compiuto 18 anni, ma una clausola, introdotta circa due anni fa su pressione di gruppi islamici conservatori, prevede possibili ”circostanze particolari” che rendono lecito anche il matrimonio precoce. Che cosa siano questa circostanze non è detto; non occorre fantasia per capire che si tratta di fuga della ragazza, ma soprattutto di rapimento e stupro. Il matrimonio “sistema tutto”, e “protegge”: l’idea rimane, anche se non pochi episodi di stupro includono un preludio con cattura e pestaggio del marito, che spesso è costretto poi ad assistere.
La lettura dei quotidiani da qualche tempo è impressionante: ogni giorno numerosi casi di stupro, in mille circostanze diverse: notte, giorno, villaggio, città, viottolo, autobus, fabbrica, stupratore povero e ignorante, istruito e ricco, parente, conoscente, sconosciuto, compagno di scuola o lavoro, da solo, in gruppo, a volte con torture sadiche e con la morte della donna, o bambina, o bambino. Non mancano gli stupri nelle madrasse (scuole coraniche), e abbiamo pure un prete cattolico in carcere con l’accusa di sequestro di una quindicenne. Nella vicina India già da oltre un anno c’è grande fermento, dovuto ad alcuni episodi molto gravi, l’ultimo avvenuto con una donna fuori casta. Qui non siamo da meno, e anche qui una parte dell’opinione pubblica si muove.
Non è chiaro se si sta scoprendo una realtà finora accuratamente coperta ma in atto anche prima, o se c’è un effettivo aumento di questi episodi. Aumento dovuto… a che cosa? Alla pandemia? A un imbarbarimento della vita sociale causato dalla massiccia, rapidissima urbanizzazione incontrollata? All’effetto imitazione creato da pornografia disponibile ovunque, o dalla diffusione di filmati delle loro imprese messi in circolazione dagli stupratori stessi? Forse alcuni episodi sono in qualche modo la “risposta” del maschilismo alla sua messa sotto accusa? Fra i colpevoli ci sono numerosi membri della sezione giovanile del partito al potere; nell’ultimo caso, clamoroso perché le scene fatte circolare sono particolarmente feroci, il capobanda aveva iniziato la sua carriera di noto e indisturbato delinquente nella sezione giovanile del BNP, allora al potere, ed era passato all’Awami League quando quest’ultimo ha vinto: un delinquente e uno stupro “bypartisan”… Recentemente alcuni gruppi hanno organizzato una marcia da Dhaka a Noakhali, dove era avvenuto questo fatto clamoroso. Passando per la cittadina di Feni sono stati ripetutamente assaliti da giovani del partito Awami League, appoggiati dalla polizia – che proprio nello stesso giorno aveva organizzato raduni e marce in tutto il Bangladesh per sensibilizzare i poliziotti e per dimostrare la loro volontà di contrastare gli stupri.
Tutti d’accordo nell’invocare la pena di morte, che il 15 ottobre è stata approvata. Si parla di “far giustizia”, di “vendetta”, di “dar sollievo alle vittime” e si afferma che la morte è una “pena esemplare”. Non immagino che prima di “divertirsi” massacrando una ragazza, un branco o una singola persona assatanati valutino se rischiano l’ergastolo o la pena di morte. In un delirio di onnipotenza si pensano immuni da tutto. Inoltre, chi protegge gli stupratori facendoli sfuggire alla possibile condanna all’ergastolo… non li proteggerà più se c’è la possibilità di una condanna a morte? Se gli stupri sono tanti, le denunce sono molto meno; meno ancora le indagini, meno ancora i processi, sotto l’1% il numero delle sentenze. Qualcuno avverte che la definizione del reato va cambiata e precisata, perché spesso basta un particolare per passare dalla qualifica di stupro al “tentativo di stupro” – alleggerendo molto la pena.
Ma chi sa spiegare le radici culturali di un fenomeno del genere? È possibile cambiarlo a colpi di sentenze di tribunale? Di che cosa abbiamo bisogno?
Hotel
Hariful Islam, oggi imprenditore agricolo, era ancora studente universitario quando, nel 2009, pensò di far qualcosa per i poveri, e con un gruppo di amici, autotassandosi, incominciò a offrire pasti gratuiti. Jahid, circa 10 anni, ne approfittava spesso: mangiava e se ne andava senza troppo ascoltare le loro raccomandazioni di comportarsi bene, lavarsi le mani e così via. Ma un giorno si accorsero che il ragazzino, dopo ogni pasto, passava accanto ad un piccolo albero fiorito e lo dissetava con un poco di acqua. Fu una sorprendente scoperta che ispirò gli organizzatori a farsi pagare… con una buona azione: io ti offro un pasto, e tu fai qualche cosa di buono. Non ci crederete, ma funzionava.
Il discorso è stato ripreso con maggiore impegno in tempo di pandemia. Il gruppo “Youth For Bangladesh” (YFB: Giovani per il Bangladesh), formatosi attraverso Facebook, che conta oltre 250 membri, ha iniziato a tassarsi con 10 taka al giorno per ciascuno, per aprire e gestire un “Hotel Bhalo Kaj”, “Ristorante Buona Azione”. Con un camioncino elettrico portano pasti preparati e impacchettati nella zona accanto alla Stazione Centrale di Dhaka, distribuendoli ogni mezzogiorno, dalla domenica al giovedì; il sabato si offre invece la cena, e il venerdì (giorno della preghiera comune) l’Hotel si suddivide per distribuire cibo accanto ad alcune moschee. Chiunque desidera un pasto si sente chiedere: “Oggi hai fatto una buona azione?” Basta dire “sì”, e il pranzo è offerto gratis. Nessuno può dire: “No, ma pago”. Se è “no”, vai a mangiare altrove. Non posso negare che mi viene qualche dubbio sulla sincerità di tutti i frequentatori dell’Hotel, ma gli organizzatori lo sanno bene, e pensano che comunque il messaggio è chiaro, e vale la pena di mandarlo anche se qualcuno non raccoglie.