Viaggio – 4

CORREZIONE. Nella scheggia “Viaggio – 1”, ho scritto che siamo partiti da Dhaka sabato 16 gennaio 2021. Giusto. Nella scheggia “Viaggio – 2” ho scritto che siamo ripartiti da Zirani domenica 27 gennaio. Sbagliato. Siamo rimasti a Zirani soltanto una notte, perciò siamo ripartiti domenica 17 gennaio 2021, non il 27. Mi scuso e auguro a tutti… buon viaggio…

Oltre Mirzapur e l’ospedale Kumudini, si procede verso ovest sulla strada ora a quattro corsie, salvo qualche lungo tratto con lavori in corso. Molta campagna, villaggi, bazar, risaie a perdita d’occhio. Non sono al corrente di alcuna presenza di comunità cristiane in quest’area del Bangladesh. Dopo oltre un’ora, si arriva al Jamuna – nome locale del fiume che conosciamo come Brahmaputra (Figlio di Brahma). Scende dal nord, più a sud incontra il Gange e, insieme, i due fiumi formano il grande delta, una “ragnatela” di corsi d’acqua che sfociano nel golfo del Bengala.

Nel 1998 è stato inaugurato il ponte che collega le due rive del Jamuna, collegando le regioni est e ovest, via strada e per ferrovia. È un’opera di ingegneria molto complessa, lunga quasi 5 chilometri (4.800 metri), su cui tutto ciò che so mi è stato spiegato da p. Carlo Buzzi. Durante gli anni in cui veniva costruito, p. Carlo si coinvolse con maestranze e lavoratori stranieri e bengalesi, facendo loro da “cappellano”, non so se ufficiale oppure no, e scoprendone i “segreti”. Mi ha spiegato alcuni complessi problemi tecnici per la costruzione, soprattutto quello delle sponde. L’enorme massa d’acqua che scende dall’Himalaya, durante la stagione delle piogge erode le sponde sabbiose facendo crollare interi villaggi, forma nuove isole, muta i giochi delle correnti, e metterebbe gravemente a rischio la stabilità del ponte. È stato necessario un grande lavoro per consolidare le sponde, “fermarle” con muraglioni enormi; inoltre, con il fiume in piena si formano vortici profondissimi che possono “rosicchiare” il fondo al di sotto dei muraglioni facendoli crollare.
Perciò speciali barconi perlustrano le rive per identificare i gorghi e dare l’allarme a grosse chiatte, che accorrono per scaricare nei vortici blocchi di cemento e così “scombinarli” (linguaggio da incompetente, ma spero che sia chiaro) per impedire l’erosione. Anche i piloni sono costruiti con particolari accorgimenti che li rendono stabili nonostante il fondo sabbioso.

Oggi la nebbia ci impedisce di vedere il maestoso panorama del fiume, fino a qualche anno fa ingentilito dalle vele di barche da pesca e chiatte da trasporto che lo percorrevano, ora sostituite da motori. C’è acqua a perdita d’occhio o, nella stagione secca, grandi isole sabbiose che affiorano, in poco tempo coprendosi di verde brillante, dove povera gente dalle due rive si avventura per coltivare qualcosa o pascolarvi mucche – nella speranza che non arrivino impreviste violente piogge fuori stagione e tutto venga spazzato via…

Frequentando chi lavorava per il ponte, p. Carlo si interessò anche ai guardiani notturni delle numerose, piccole fabbriche di tessuti, tecnicamente ancora molto rudimentali, che si trovano oltre la sponda ovest del fiume. Si tratta di cristiani, che appartengono alla popolazione “Mandi” (chiamati anche Garo), e provengono dal nord est del Bangladesh. Uno dopo l’altro, hanno conquistato la fiducia dei proprietari, in qualche modo ottenendo il “monopolio” di questo poco ambito mestiere, per lo più lavorando lontani dalle famiglie, guardiani durante la notte e conduttori di riksciò durante il giorno. I Mandi gli dissero che volevano un prete con loro e che ne valeva la pena perché erano parecchi, un migliaio. Presto p. Carlo si accorse che in realtà si trattava di un centinaio di persone e non di più, ma non li volle deludere. Perciò aggiunse anche questo ai molti impegni che già aveva nella vasta area, quasi priva di cristiani, della missione di Gulta, diocesi di Rajshahi. Fra l’altro, aveva aperto e sosteneva piccole scuole in vari villaggi di aborigeni, e altre fra i poveri, fra cui molti fuori casta hindu, nel capoluogo Sirajgonj, cittadina sulla riva del fiume, sempre a rischio di venire inghiottita dalle sue acque… Una curiosità: a Sirajgonj p. Carlo si dedicò anche ai… defunti, “riscattando” con grande fatica e sistemando un cimitero cristiano lasciato dai coloni britannici e da decenni completamente abbandonato e indecoroso, che ora si presenta bene ed è un dignitoso testimone della storia, oltre che quasi una curiosità turistica.

Fuori città, a pochi chilometri dalla strada che stiamo percorrendo, p. Carlo diede vita ad un villaggetto dove i bambini mandi vanno a scuola, e pure gli adulti, da soli o con la famiglia, hanno un punto di appoggio. Poco lontano, su un altro terreno, ha costruito una chiesetta e spazi per incontri, catechesi, attività varie. Un “centro mandi”, piccola isola cristiana fra bengalesi hindu e musulmani.

Sarebbe bello passare a salutarli, si è sempre bene accolti; ma oggi proprio non possiamo. Proseguiamo in fretta per quasi un’altra ora, arrivando allo svincolo dove la strada si dirama verso nord, ovest e sud.

A questo punto è quasi automatico fermarsi al “Food Village” (Villaggio del Cibo) che, insieme al suo gemello posto a qualche chilometro verso nord, in Bangladesh è forse l’unica struttura di ristorazione paragonabile ai nostri “Autogrill”. Nelle ore di punta, anche in piena notte c’è una ressa incredibile di autobus e di passeggeri che approfittano del servizio di bar, ristorante, toeletta, vendita di ottimo “doi” (una deliziosa specie di yogurt), bancarelle con frutta, kebab, ecc. ecc. e da qualche tempo anche un caffè dalla macchinetta automatica che è il meglio della produzione locale. Perfino gli italiani, che in materia sono schizzinosissimi e si ritengono gli unici al mondo che sanno preparare un caffè degno di questo nome, quando lo assaggiano arricciano il naso, ma ammettono a mezza bocca: “Non è un caffè, ma si può bere”. Io non lascio scappare l’occasione per gustare uno o due “tanduri”, specie di piadine emiliane croccanti e leggere che, servite calde, sono ottime. Ma il timore che il Covid 19 sia in agguato nella ressa del Food Village è più forte della golosità, e questa volta Gian Paolo e io ci limitiamo al caffè automatico con bicchierino in plastica. Poi ripartiamo, prendendo la strada che va a nord.
(continua)