Questa scheggia è un intervallo: una pausa nel racconto del mio storico viaggio con p. Gian Paolo, che riprenderà fra non molto.
Voglio accennare ad alcuni episodi accaduti nel mese di marzo, che i giornali di lingua inglese hanno più volte descritto come “mayhem” (secondo il dizionario: “confusione e paura normalmente causate da comportamenti violenti, o da improvvisi avvenimenti sconvolgenti”). Ma scrivo come quando si viaggia nella nebbia, e faticosamente si individua la strada, ma non si capisce esattamente dove si è. Qui da noi non ci sono cartelli che informino sui nomi dei bazar o dei villaggi che si attraversano; se c’è nebbia, si procede sperando di aver indovinato… Dunque, niente nomi, luoghi, date.
Perché? Ci sono ben tre ragioni. Simili, ma distinte.
Ragione numero uno. Sembra che da qualche tempo sia in aumento il numero di persone malintenzionate, soprattutto giornalisti, insegnanti, persone che si dice abbiano una certa autorità morale, che approfittano della loro professione o posizione per calunniare, dare notizie piene di pregiudizi, distorcere la realtà, sviare persone semplici e persino – quel che è peggio – infangare il buon nome del paese in cui vivono e le sue autorità politiche. Un’apposita legge approvata di recente considera questi casi, e le autorità sono attente a farla osservare, naturalmente nel rispetto dei diritti di ciascuno: arrestato il colpevole, prendono tutto il tempo necessario per capire e descrivere bene perché proprio lui sia stato arrestato, quali siano i comportamenti illegali che ha avuto, quali i danni che potrebbe provocare se rilasciato. Anche per questo è impensabile concedere la libertà provvisoria, e se i tempi della detenzione senza denuncia, e senza decisione di un tribunale, vanno oltre quelli stabiliti dalla legge, qualunque persona di buona volontà, e onesta, capirà che questo è un dettaglio trascurabile, se messo in rapporto alla necessità di impedire la diffusione di menzogne, per di più “politicamente motivate”. A volte le persone coinvolte vogliono far credere di non capire queste ragioni, peraltro evidenti, per cui con la necessaria fermezza vanno calmate, e persuase che devono attendere e che non è il caso di badare a sottigliezze come otto o dieci mesi in più o in meno, quando la posta in gioco è tanto importante. A volte poi, risulta che le persone accusate erano state male consigliate o volontariamente male informate, e allora bisogna intervenire, cercando e arrestando anche coloro che le hanno spinte a commettere i reati di cui sono accusate, e perciò a mettere in circolazione falsità di ogni tipo. Insomma, voglio stare attento a non commettere – magari inavvertitamente – i loro stessi errori: scrivere qualche cosa che possa essere inteso male…
Ragione numero due. Altre volte (e di questo ho già scritto) persone preoccupate della morale della loro comunità, e della Verità, sotto il nome di una persona che non la pensa come loro mettono su Facebook idee erronee, offensive, malvage, irreligiose, blasfeme, ingiuriose e poi lo fanno sapere in giro, suscitando la giusta indignazione dei benpensanti. La notizia si propaga rapidamente, diffusa da potenti altoparlanti dall’alto di quelli che noi chiameremmo campanili, che denunciano i pericoli che corrono coloro che credono a queste menzogne, i danni per la loro fede, e chiedono con fermezza che il tizio in questione venga arrestato. Infatti, anche se non ha scritto il testo e forse neppure sa che si trova sotto suo nome su Facebook, certamente la pensa così; inoltre il tale è diventato un problema per l’ordine pubblico perché a questo punto molte centinaia o migliaia di persone, radunatesi per manifestare il loro disappunto, rumorosamente esigono che il colpevole o i colpevoli vengano immediatamente puniti. La pena di morte è il minimo, vista la mostruosità del reato; la persona titolare di Facebook dunque va immediatamente arrestata per il bene pubblico. Poi deve capire che – se volesse dimostrare che proprio non c’entra, occorre tempo. Un tempo che – per la sua sicurezza – è meglio che trascorra in prigione. Nel frattempo, i difensori della religione e della verità esprimeranno la loro indignazione assalendo la sua famiglia, bruciando la sua casa, devastando le proprietà di decine di famiglie che appartengono alla sua stessa religione. Premurandosi però (bisogna dirlo a onor del vero) di non procedere a distruzioni e incendi in maniera insensata: la prova che agiscono pacatamente, disinteressatamente e a fin di bene sta nel fatto che – pur nella fatica e nella concitazione, e persino nel rischio che corrono – non dimenticano di sottrarre alle fiamme denaro e oggetti di valore che rischierebbero di rovinarsi. La profanazione poi di qualche tempio è come un’invincibile pulsione che manifesta la profondità spirituale di queste persone, disgustate da questi edifici pieni di statue, che alimentano concezioni false, e idolatrie di ogni tipo.
Ragione numero tre. Può succedere che avvengano cose pubbliche, permesse o addirittura incoraggiate dalle autorità, che sono insopportabili. Per esempio, celebrare il giubileo (50 anni) dell’indipendenza del Bangladesh, evento riprovevole perché ha spezzato l’unità di un paese che era nato in nome della religione, o il centenario della nascita del “padre della Patria”, che ha fomentato e guidato il deprecabile processo di divisione. Lui, quelli che lo seguirono, e quelli che oggi inneggiano a lui si dicono religiosi e praticanti, ma nei fatti mostrano di non rispettare e di non far rispettare gli elementi fondamentali della religione. Non ne seguono scrupolosamente le direttive, ne dimenticano gli obiettivi, avvelenati da interessi inconfessabili o sviati da teorie diaboliche come il secolarismo o addirittura l’ateismo. Bisogna correggerli assalendo con energia i loro uffici, le sedi dei loro partiti, le case delle loro famiglie, i simboli dell’indipendenza, i segni di un modo di pensare e di governare inaccettabili, e trattando come merita la polizia che cerca di fermare questi interventi correttivi.
Interventi di chiara matrice religiosa e di patriottismo autentico, che vengono effettuati da centinaia di migliaia di persone per lo più giovani, educate in scuole serie, finanziate da paesi esteri amici, che sanno dare la dovuta importanza alla tradizione e alla religione, che non hanno paura di menar le mani quando necessario, che non hanno interessi politici: basta che il governo faccia quello che dicono loro, ritirando leggi che non gradiscono e inserendo norme che loro sanno essere giuste, e obbediranno pacificamente e lealmente.
Queste persone, disponibili e coraggiose, fanno parte di una organizzazione che ha un nome ma, come ho spiegato sopra, nella nebbia non sono riuscito a leggerlo; e come me anche altri. Si erano già fatte sentire negli anni passati, occasionalmente, in modo energico. Avevano provocato vari “mayhem”, fra cui uno aveva messo a ferro e a fuoco tutto il centro di Dhaka. La politica, dopo le prime reazioni, aveva deciso di calmarle accogliendo parecchie loro richieste: le loro scuole furono riconosciute, i libri di testo vennero corretti secondo le loro direttive, le leggi sul matrimonio dei minori vennero ritoccate abbassando – “in casi speciali”- l’età minima della sposa, le proposte di legge sulla parità delle donne vennero archiviate… Ci fu un periodo di ottimi rapporti, di sorridente intesa. Purtroppo però, l’intesa sembra ora in pericolo. Il mondo politico è preoccupato, ma capisce che è meglio non fare nomi, non insistere nel dare la colpa a qualcuno, a rischio di calunniare: loro picchiano ma sono amanti della pace, esigono ma sono nella giustizia. E poi – diciamocelo chiaro – se qualcuno volesse lo scontro frontale, non è affatto garantito che loro sarebbero i perdenti. Dunque un po’ di prudenza non guasta.
Insomma, ci risiamo. Spero comunque di non essere frainteso: nessuno pensi che io sto pensando a lui o a lei o a loro. Si tratta certamente di altri, dispersi nella nebbia…
Non è chiaro che cosa io voglia dire in questa insolita scheggia? Bene, benissimo, è proprio ciò che desideravo.