Capovolgere?

Ai superiori degli istituti religiosi riuniti nella consueta assemblea semestrale, l’oratore spiega diligentemente che cosa sono le “Comunità Cristiane di Base” e quali ne siano i pregi – cioè cose che tutti sanno già per averle sentite spiegare molte volte in sedi diverse. Il prete che spiega ha le carte in regola, perché da anni – unico nell’arcidiocesi di Dhaka – pratica questo modello pastorale, con buoni risultati. Tuttavia, quando viene trasferito da una parrocchia all’altra, mentre incomincia daccapo nella nuova sede, il suo successore nella sede precedente lascia morire di inedia le comunità che lui aveva fondato. Alla richiesta di uno degli uditori: “Ora che ci ha presentato la teoria, ci parli della sua esperienza pratica” l’oratore risponde in modo vago e generico…
Da decenni si presentano queste “Comunità”, tutti ascoltano attentamente, fanno domande, approvano, propongono commissioni, e i Vescovi le includono tra le “priorità” nei loro piani pastorali, con risultati a dir poco deludenti. Colpa della pigrizia del clero, che non ha voglia di pensare, immaginare, tentare qualcosa di diverso, perché richiederebbe maggiore impegno e creatività? Senza dubbio, ma c’è dell’altro. Sarebbe forse necessario vedere queste “Comunità Cristiane di Base”, concepite e sperimentate in altri contesti storici e culturali, non come un modello da sovrapporre e applicare tale e quale alla realtà che esiste, ma capovolgere l’impostazione, e considerare quali strutture e organizzazioni sociali di base esistono, per chiedersi come evangelizzarle e passare da comunità di base a comunità cristiane di base. Le strutture dei villaggi, diverse per ogni popolo, hanno alle spalle una lunghissima tradizione, e se è vero che si stanno logorando di fronte alla modernità che avanza al galoppo, è pure vero che non sono per nulla azzerate. Ignorarle, significa condannare la proposta delle “Comunità Cristiane di Base” all’inefficacia.

Motivo

L’intero quartiere di Kakoli-Banani rimane bloccato per oltre tre ore da una furibonda rissa a colpi di spranghe, mattoni, coltelli fra centinaia di studenti di due università private che si fronteggiano, sfondano vetrine, incendiano auto, terrorizzano i passanti; cinquanta gli studenti e dieci i poliziotti feriti. Terminati gli scontri, si chiede agli studenti quale sia il motivo della battaglia. Nessuno sa rispondere. Solo vaghi cenni ai ragazzi di una università che avrebbero disturbato le ragazze dell’altra, ma l’accusa – identica – è reciproca. Analogo episodio, ancora più grave, nello stesso giorno a Rajshahi.

Carrozzelle

La prima amara esperienza è stata con una scuola cattolica, spalleggiata dall’ostello cattolico e dal vescovo cattolico. Si tratta di ammettere ai corsi regolari una ragazza brillante negli studi ma invalida, che usa la carrozzella. E’ il momento in cui la scuola, passata dalla gestione PIME a quella di un altro Istituto, cerca di alzare il livello qualitativo (e quindi anche le rette) per diventare scuola di prestigio. La ragazza non viene iscritta, “per il suo bene”, perché le prese in giro dei compagni la metterebbero a disagio e perché dovrebbe farsi aiutare per salire al primo piano. Seguono altre scuole, private e statali, tutte molto preoccupate del bene della ragazza. Poi finalmente una scuola la accoglie. E’ un muro che si sfonda; altri “diversamente abili” vengono accolti in altre scuole e tutto fila più che bene. Ora che la ragazza sta per terminare i corsi e lasciare la scuola, la presidenza si rammarica, e chiede di mandare qualche altro nelle sue condizioni, perché migliora la qualità dei rapporti e l’educazione.

Opposizione

“Io qui non la posso accogliere, e se vuole un consiglio non vada a cercare posti in altri alberghi, neppure in ostelli privati. Troppo pericoloso!” Così un albergatore a un giornalista che si atteggia a cliente. Trovata chiusa questa porta, bussa ad altre, per ricevere le stesse risposte o per constatare che non pochi alberghi hanno chiuso, “per cause di forza maggiore”, fino al 12 marzo. La “forza maggiore” sono le forze dell’ordine che cercano di ostacolare in tutti i modi la manifestazione organizzata dall’opposizione in quella data. Gli autobus e treni vengono fermati, e i giovani rispediti indietro. Alberghi e ostelli perquisiti, gli ospiti minacciati. Aria pesante.

Accoglienza

Khaleda Zia, ex primo ministro e leader del Bangladesh National Party (BNP), principale partito di opposizione, gira il paese per organizzare una grande manifestazione di protesta il 12 marzo, a Dhaka. Per un comizio a Bogra, e una notte di permanenza nella città del suo defunto marito Ziaur Rahman, presidente assassinato, il partito ha fatto costruire su tutte le strade di accesso archi di trionfo in bambù e stoffa. Spesa totale: l’equivalente di 15.000 euro.

Biciclette

L’8 marzo, a Dhaka, alle primissime ore dell’alba, prima che il traffico impazzisca completamente, una cinquantina di ciclisti ha pedalato dal palazzo del Parlamento all’Hotel Sheraton, forse tre chilometri di percorso. Biciclette rosa, sulla sella ragazze e giovani donne, e “persino mamme!”, informa stupito il giornale. La bicicletta proposta come emancipazione dal peso di girare per le strade a piedi o con i mezzi pubblici, continuamente disturbate dai maschi.

Voce

Una voce sottile, dolce, ferma, percorre con perfetta intonazione un bellissimo canto di Tagore che invoca lo Spirito. E’ una bimba di nove anni, ma non canta da bimba, né per dare spettacolo. Quelle parole e quella musica sono come trasfigurate dalla sua interpretazione, dal suo pregare.
L’emozione è quasi insopportabile per la bellezza del canto, e perché la bocca da cui sgorga quella preghiera è un taglio informe, il viso una maschera spaventosa che sembra di cuoio scuro, priva di espressione, gli occhi gonfi con il taglio irregolare, i capelli a ciocche alternate a chiazze di pelle bruciata. Aveva solo dieci mesi, Sima, quando suo padre, seccato perché avrebbe voluto un maschio, perché era scura di pelle, e perché aveva litigato con la sua mamma, decise di eliminarla versandole sul volto acido corrosivo.
Ne ho parlato in una scheggia qualche tempo fa. Presa in cura da “Acid Survivors”, un’organizzazione che si occupa della riabilitazione di sopravvissuti a questa esperienza devastante, Sima ha subito tante operazioni, tantissima sofferenza, è cresciuta nella graduale consapevolezza della sua condizione che la rende ributtante per chi la vede.
Ora, finalmente, è arrivata a “Snehonir” (La casa dell’affetto) insieme ad una piccola amica, Seila, anch’essa vittima – meno grave – dell’acido. I ragazzi e le ragazze di Snehonir le aspettavano, ma il primo incontro è stato sconvolgente anche per loro. La bimba che dorme nel letto accanto a quello di Sima la prima notte non ha chiuso occhio. Poi, dopo un sereno colloquio e tanto affetto da parte di suor Dipika, s’è tranquillizata, e ora sono amiche. Seila si sta rivelando piena di umorismo e un’imprevedibile sorgente di scherzi. Sima ride, scherza, studia, gioca con gli altri. Sono parte della famiglia, e Sima non telefona più alla mamma: “Portami via di qui” ma le spiega: “Non piangere quando vai via, perché io sono proprio felice”.
Il suo canto mi è sembrato un miracolo.

Sima e' in prima fila, a destra, seduta. Seila e' anchessa in prima fila, accanto alla barella, seminascosta dal bimbo accovacciato

Sima è in prima fila, a destra, seduta. Seila è anch'essa in prima fila, seminascosta dal bimbo accovacciato

 

Sima con suor Dipika, direttrice dello Snehanir

 Entrambe le foto sono state scattate al monumento nazionale dell’Indipendenza, il 3 febbraio

Nebbia

Processare i responsabili di crimini di guerra e contro l’umanità, commessi durante il conflitto che nel 1971 ha portato il Bangladesh all’indipendenza dal Pakistan, era un punto forte del programma elettorale dell’Awami League. Stravinte le elezioni nel 2008, dopo le prime trionfanti e bellicose dichiarazioni che scatenarono la corsa alle denunce, cala il silenzio. Nel febbraio 2009 un inspiegato ammutinamento del corpo delle guardie di frontiera, che massacrano in poche ore 70 loro ufficiali e molti civili, viene da qualcuno ritenuto un tentativo di destabilizzare il governo e non lasciar organizzare i processi. Ma con una certa lentezza e qualche contraddizione vengono formate le corti che dovrebbero agire secondo gli standard di giustizia internazionali, e iniziano le indagini. Tutto lo stato maggiore del partito islamico Jamaat-Islam viene arrestato, fra manifestazioni e proteste. Le accuse fioccano, entra in carcere anche qualche pezzo grosso del principale partito di opposizione, il BNP che, finora in posizione di imbarazzante neutralità sulla faccenda, esce con dichiarazioni sempre più esplicite volte a persuadere che “questi processi non s’hanno da fare, né domani né mai”. Si mobilitano organizzazioni per i diritti civili, associazioni di ex partigiani, studenti. Scontri anche molto violenti fra studenti Jamaat-Islami e Awami League. Il mese scorso, lo stato maggiore dell’esercito fa sapere ai media di avere appena sventato un tentativo di colpo di stato, elaborato da un ex militare e molti colleghi ancora in servizio, tutti di orientamento islamico fondamentalista. Il motivo esplicito sarebbe stato quello di bloccare i processi, oltre che creare una repubblica islamica filo-pakistana. Vero tentativo di colpo di stato, o messa in scena dell’esercito per dare una spinta a favore dei processi?
Si va avanti, con l’impressione che si sappia ben poco di ciò che realmente sta avvenendo, e perché. Navigazione nella nebbia fitta.