Le feste chiamate “Durga Puja”, le più importanti per gli Hindu del Bengala, si svolgono verso metà ottobre; secondo la tradizione devono essere bagnate dalle ultime piogge monsoniche; durano 5 giorni, e sono tempo di vacanza per tutti. I templi e i “Puja Mondop” (in breve, tempietti più piccoli e in genere aperti su un lato) vengono puliti, rinnovati, arricchiti di statue di Durga e varie divinità hindu, a colori vivacissimi. Per tutto il tempo si susseguono preghiere, danze, riti particolari, visite. Gli ospiti non hindu sono bene accolti, e spesso ricevono un boccone dolce… Tutto si conclude con una processione, che accompagna le statue ad un fiume nel quale vengono fatte scivolare.
Quest’anno, il 13 ottobre, alcuni giovani hanno fatto circolare su internet immagini di una copia del Libro Sacro della religione che in Bangladesh è maggioritaria, ai piedi di una statua di una dea, in un “Puja Mondop”di Comilla, città a sud est di Dhaka, ed è successo il finimondo. Manifestazioni, assalti, furia in almeno 8 province del Bangladesh. Ottanta templi profanati, distrutti, incendiati, abitazioni e negozi di hindu saccheggiati. Almeno 6 morti, centinaia di feriti fra cui parecchi appartenenti a “forze dell’ordine”. In diverse località numerosi “Imam” hanno cercato invano di calmare i dimostranti, tutti giovani; ma in altre sono stati gli altoparlanti delle moschee a chiamare e incitare… Una famiglia hindu di Lama (estremo sud) ha dichiarato esterrefatta: erano nostri vicini di casa, amici… in un istante sono diventati belve impazzite e noi non sapevamo il perché…
Per ora, ci sono stati 350 arresti. Nei giorni seguenti, sono state organizzate “contro-manifestazioni” pacifiche da parte di hindu, e di associazioni laiche e interreligiose. Ma sono stati effettuati anche nuovi saccheggi. Domenica 17 ottobre alcuni templi, “puja mondop” e case di hindu sono stati assaliti e distrutti in poverissimi villaggi di pescatori nelle vicinanze di Rangpur, nel nord ovest.
Per dare queste notizie si potrebbero usare moduli prestampati: basterebbe aggiungere i nomi delle località, le date degli avvenimenti, e il pretesto inventato, perché il metodo è sempre lo stesso.
In me, hanno reso più pressanti gli interrogativi che mi sono posto leggendo – due settimane fa – un libro di Domenico Quirico: “Il Grande Califfato”, Neri Pozza, 2015. È un libro “datato”, perché si riferisce all’attualità di 6 anni fa; ma ciò che racconta non è faccenda passata. Quirico, un giornalista de “La Stampa”, non analizza tendenze, non fa esami sociologici o politici, né previsioni. Si va a cacciare nei posti più pericolosi e sconosciuti del mondo islamico estremista. Parla la loro lingua, conosce la loro storia; sequestrato per mesi e minacciato di morte più volte mentre era in balia dei rapitori, racconta ciò che ha vissuto e visto, presenta senza sconti gli orrori che accadono sotto i suoi occhi, le domande angosciose che gli sorgono dentro. Leggendo, diventa evidente il senso delle sue parole, riprese sulla quarta pagina di copertina,: “Ho superato, nel momento in cui sono stato catturato, una frontiera fatale, sono entrato, me ne accorgo vivendo con loro, nel cuore di tenebra di una nuova fase storica, di un nuovo groviglio avvelenato dell’uomo e del secolo che nasce: il totalitarismo islamista globale”.
Il “cuore di tenebra” e il “groviglio avvelenato” sono dentro ciascuna persona che, ingoiata da questa follia, conosce soltanto se stessa, non si confronta con nessuno, non ha dubbi, non ha pietà, non ha una sua storia personale – completamente separata dal suo passato e indifferente al suo futuro – intenta solo a combattere per liberare il mondo dai peccatori, cioè da tutti coloro che non sono come lei. Una realtà che ha conquistato tanti giovani non solo del mondo arabo ma dell’Africa, dell’Europa, dell’America, dell’Asia; non solo sbandati o senza lavoro, ma anche professionisti qualificati e benestanti. Il terrorista si è come essiccato interiormente, eliminando tutto ciò che non entra nello schema grossolano, elementare, rigidissimo con cui interpreta il mondo e il suo dovere di renderlo come vuole la sua “fede”. Indifferente alla sofferenza (anche alla propria) può sgozzare senza esitazioni e senza emozioni esseri umani con cui ha vissuto a lungo, quando non sono “noi”, ma sono “altri” rispetto a sé.
Mi guardo intorno: le urla rabbiose di chi – uscito dalla preghiera – va a distruggere le proprietà e a picchiare hindu sconosciuti (o addirittura “amici”) perché si dice che il Libro è stato visto ai piedi di una statua, annunciano passaggi più radicali e definitivi?
Quirico sostiene che una svolta importante in questa storia decennale di estremismo crescente è stata la proclamazione della rinascita del Califfato (ottobre 2006, se non sbaglio) che era stato ufficialmente eliminato poco dopo la fine della prima guerra mondiale. Nella baraonda di gruppi, sigle, tendenze diverse della galassia dell’estremismo violento, questa proclamazione – che a noi appariva ridicola – è stata invece un richiamo fortissimo, ha galvanizzato e raccolto attorno a sé un gran numero di sostenitori. L’ISIL, identificandosi con un territorio, e con una storia – quella del Califfato – che pochi conoscono ma di cui molti hanno sentito parlare come di un’epoca d’oro, ha dato sostanza a speranze che rimanevano sospese nel vuoto, o erano divise in mille rivoli senza una meta comune.
In Bangladesh, la faccenda del Califfato può “far presa”? Ho sentito parlare qualche volta con rammarico della Spagna o della Sicilia che “erano nostre ma da cui ci hanno cacciato”, però del Califfato non ho sentito nulla. Brandelli di memoria sgangherata, senza un filo conduttore e senza un riferimento geografico decente. Eppure… l’idea di un Califfato moderno, con o senza storia, forse può affascinare anche qui. C’è qualcuno che lavora per andare in quella direzione.
Niente di nuovo nel fiume di commenti che ora riempiono i “media”: le solite indignazioni, con interpretazioni prevedibilissime, il cui primo obiettivo è danneggiare l’avversario politico. Nessuna che possa offrire uno straccio di evidenza. Solo oggi ho trovato espressa, timidamente, la domanda più semplice: è credibile un diciottenne non hindu che dice di essere entrato alle sette del mattino – quando nessuno era presente – in un “puja mondop” deserto, e avervi trovato questa “profanazione”?
Nessuno dei commentatori che ho letto conosce da vicino questi ambienti radicali, fondamentalisti, violenti. È una realtà che abbiamo in casa, ma nessuno riesce a metterci il naso dentro in modo credibile: si guarda ciò che accade, in base alle proprie convinzioni politiche si dice perché accade, si sentenzia che così e cosà si dovrebbe fare, ma non si sa dove mettere le mani… Sono molto attivi i servizi segreti, che si sono dimostrati efficienti. Ovviamente lavorano nell’ombra; sanno che mettere in prigione i fondamentalisti significa fare il loro gioco, offrendo l’occasione facile di far proseliti, e quindi preferiscono ricorrere a “metodi spicci”… Ma affidare ai “servizi” il compito di liberarci da questo incubo è un’illusione; loro stessi sono i primi a saperlo e a dirlo.