Credito

In una “scheggia” ho scritto qualche cosa sull’amico p. Giulio Berutti e il suo rapido“ passaggio da questo mondo al Padre” – come si esprime il Vangelo di Giovanni a proposito di Gesù che, consapevole della sua prossima morte, lava i piedi ai suoi discepoli durante l’ultima cena. Giulio nei suoi 50 anni in Bangladesh aveva molte volte gustato (magari, se andava per le lunghe, brontolando impaziente…) la cerimonia del lavaggio dei piedi agli ospiti, quando visitava i villaggi Santal; e con il suo servizio missionario aveva a sua volta lavato i piedi di molti, in tanti modi; senza ostentazione, con serietà e con profonda convinzione.

Chi ne ricorda le attività non fa mancare un cenno alle “Credit Union”. In Italia, La Repubblica ha scritto cha p. Giulio si era ispirato al Bengalese Junus, che avrebbe “inventato” il micro-credito per aiutare i poveri. In realtà, i missionari in Bangladesh, sia gli americani della Santa Croce e altri, sia quelli del PIME, lo avevano praticato già molti anni prima che diventasse famoso, grazie al discusso Premio Nobel per la Pace Yunus, fondatore e direttore della Grameen Bank, una banca tutt’altro che “micro”….

È giusto considerare le “Credit Union” come una “specialità” di p. Giulio. Infatti, se diversi altri missionari hanno fondato o seguito “Credit Union” nelle loro parrocchie, Giulio ne è stato a lungo coordinatore diocesano ed “esperto”, e si è dedicato ad esse in modo forse unico: attenzione, tempo, studio, tanti viaggi in motocicletta con il freddo e con il caldo, e… arrabbiature innumerevoli: era convinto che ne valesse la pena.

Non ho alcuna esperienza in questo campo; pensavo che si trattasse soltanto di una lodevole iniziativa di aiuto a persone molto povere, finchè anni fa mi “costrinsero” a tenere il corso di “Teologia Pastorale” al seminario nazionale. Essendo assolutamente digiuno in materia, e non sapendo che cosa insegnare, mi organizzai chiamando operatori pastorali di vario tipo, perché fossero loro – una lezione per ciascuno – a offrire agli studenti una panoramica di ciò che la Chiesa in Bangladesh sta facendo. Fra gli altri, invitai p. Giulio.

Mi aspettavo un’esposizione “tecnica” delle Credit Union: organizzazione, criteri, problemi in un campo i cui risvolti pastorali e missionari non sono immediatamente evidenti. Invece, pur esponendo anche gli aspetti tecnici, Giulio andò dritto all’anima dell’iniziativa, offrendo una visione per me inattesa. Non ho ritrovato gli appunti che presi in quell’occasione, ma metto insieme qualche ricordo.

Giulio disse che una spiritualità incapace di toccare gli aspetti pratici, anche economici e finanziari, della vita quotidiana, è per lo meno zoppa. Spesso tendiamo a fare dell’economia un settore distinto, in cui forse inseriamo la beneficienza, ma senza andare oltre. Ascoltandolo, ricordai un predicatore nostro amico venuto dall’Italia che azzardò per noi uno spunto di riflessione: “Vi ho sentito dire che diverse culture aborigene non danno spazio alla “previdenza”; vivono alla giornata, gustano il presente quando è bello e facile, e sanno sopportarlo con coraggio quando è duro e difficile, ma non pensano al futuro e si affidano all’improvvisazione. Le Credit Union invece formano alla previdenza. Non rischiate di distoglierli da un atteggiamento che, anche senza averne il nome, è evangelico? Gesù diceva: non preoccupatevi del domani, non accumulate… E voi insegnate il contrario? Pensateci.”

Giulio, senza saperlo, diede la risposta: ci parlò delle Credit Union come un modo per organizzare meglio la vita, ricorrendo al risparmio e anche al credito senza diventare schiavi dello strozzinaggio che distrugge famiglie e villaggi interi, privandoli dei loro terreni e di ogni risorsa, lasciandoli in balia dei proprietari terrieri bengalesi. Ma disse chiaramente che c’era anche altro. In queste iniziative, infatti, vedeva una strada per far scoprire e praticare la solidarietà in modo nuovo, secondo le esigenze di una società che, adottando l’uso del denaro, dimentica le forme di collaborazione e solidarietà tradizionali: lavorare insieme nei campi, intesi come proprietà comune; aiutare, con il lavoro, il malato, la vedova, ecc. Una Credit Union è in qualche modo la traduzione moderna di questi atteggiamenti che erano una forma di “previdenza” e sostegno. Può funzionare – diceva – finché rimane su dimensioni limitate, un’associazione fra persone che si conoscono. Quando diventano grandi e anonime si trasformano in banche come altre, il loro valore educativo svanisce, e il povero rimane tagliato fuori. Le Credit Union educano al risparmio e al credito, stimolando la capacità di gestire bene quello che si ha, e la fiducia. La garanzia che chiedono non è formata da beni che il creditore potrà sequestrare a forza se il debito non verrà ripagato, ma consiste nella parola di un amico, parente, vicino di colui che chiede il prestito. Sarà lui o lei a garantire, se il debitore non ce la fa. Il controllo non avviene in base alle date stabilite, ma in base alla valutazione della situazione.
Non tutto è facile, naturalmente, e la tentazione di prevaricare è forte. Spesso, la cultura dà tale importanza al rispetto per l’anziano e per la persona di prestigio nella comunità, che non tien conto della competenza, e nemmeno dell’onestà. Il cassiere è scelto per rispetto, e anche se approfitta della propria posizione, in molti casi verrà rieletto, per non opporsi ad una forma tradizionale di potere…

Insomma, la Credit Union non è soltanto una bella trovata per aiutare l’economia, ma una proposta impegnativa di assunzione di responsabilità, un cammino educativo dove le delusioni non mancano. Giulio aveva anche avviato una forma di previdenza nel campo della salute, piaga aperta per i poveri del Bangladesh. I soci delle Credit Union e i loro famigliari, con una somma annuale poco più che simbolica, possono usufruire gratuitamente delle cure dell’Ospedale St. Vincent, a Dinajpur, di cui Giulio era direttore. Molti aderirono, ma dopo uno o due anni, se non avevano avuto bisogno di cure, spesso si tiravano indietro: “Non conviene, ho dato i soldi e non mi è tornato indietro nulla…” Non manca solo la previdenza per sé stessi, anche ma la solidarietà con gli altri…

È difficile “fare il salto” di pensare al bene comune. Giulio era uomo di grande senso pratico e con i piedi per terra, ma sognava e ce la metteva tutta perché i poveri non si limitassero a farsi aiutare, o a cercare di uscire dalla povertà, ma si aprissero ad una solidarietà concreta.

Bichittra

“Bichittra” significa “varietà”.

TALEBANI. Alcuni amici, preoccupati, mi chiedono se anche qui in Bangladesh ci sono echi degli eventi afgani. Ovviamente ci sono, ma altrettanto ovviamente le reazioni sono diverse. Molti si preoccupano; non è difficile capire che questa clamorosa vittoria ingolosisce “jihadisti” e aspiranti tali di ogni tendenza, ridando speranza ai frustrati. Per ora, autorità politiche e forze di sicurezza ripetono che il pericolo di una crescita dei gruppi clandestini, finora tenuti a bada, è realissimo. Io sono a conoscenza soltanto di pochi eventi recenti in qualche modo legati a questa situazione. Tra l’altro, una giovane donna che in internet insegnava a mettere insieme potenti bombe “fatte in casa”, si è tradita dicendo al suo aspirante marito che l’avrebbe sposato solo dopo verifica se le sue idee sono sufficientemente “jihadiste”, ed è stata arrestata; lettere con minacce di morte sono arrivate a due giudici, impegnati nel settore della difesa dei diritti delle donne: un uomo e una donna in due città del nord: “Andatevene o vi ammazziamo”, firmato “Talebani”. Un balordo che si diverte a metter paura? Un nemico personale? o l’avvio di una strategia?

METROPOLITANA. Da anni si sta lavorando ad una metropolitana sopraelevata per Dhaka. Opera ciclopica, affidata a una ditta italo-tailandese (ma, a quanto sento dire, ora soltanto tailandese) che per anni ha ovviamente provocato molti disturbi al traffico, ma si spera alleggerirà la pressione di una città che sembra stia per scoppiare… Il 29 agosto, si sono svolte le prime prove di circolazione sulla tratta principale. Si calcola che a pieno regime la metropolitana potrà trasportare 60.000 persone all’ora.

COVID 19. Ogni tanto, un’ondata di iniezioni. Poche settimane fa, la campagna per vaccinare in alcune zone rurali, senza tante prenotazioni via internet, parlava di milioni di dosi in 7 giorni. Poi è risultato che i milioni di dosi non c’erano, si è ridotto a due giorni, con relative resse e risse. Comunque, qualche centinaio di migliaia di persone ha ricevuto la prima dose. Per la seconda si vedrà. Le vaccinazioni prenotate in internet, come quelle di cui ho usufruito pure io per entrambe le dosi, sono pure esse gratuite, e organizzate abbastanza bene. Se viene a sapere che stanno usando vaccini cinesi, qualcuno punta i piedi e rifiuta… Intanto, “casi” e decessi sembrano diminuire; si parla di riapertura delle scuole in questi giorni, ma c’è ancora molta incertezza. Purtroppo una simpatica zanzara, diffusa prevalentemente a Dhaka, si sta però facendo avanti: provoca la febbre “dengue”, che oltre a dare non pochi disturbi, può essere ed già è stata mortale in non pochi casi.

ALLUVIONI. Non si sente parlare di inondazioni o tifoni in Bangladesh. Un anno tranquillo per questo Paese, famoso per disastri naturali? Non esattamente. Il fatto è che la “piazza” delle informazioni in questo periodo è stracarica di notizie: il Covid, ovviamente, l’Afghanistan, Il ciclone Ida con fratelli e sorelle che l’hanno preceduto e innumerevoli altre emergenze: non c’è spazio per disastri ordinari. Ma non preoccupatevi: anche quest’anno le inondazioni ci sono , soprattutto al nord, e i grandi fiumi rosicchiano famelicamente le loro stesse sponde, distruggendo villaggi, scuole, campi… Pare che il trenta per cento del territorio nazionale sia, in questo inizio di settembre, sott’acqua.

Passaggio

Pochi mesi fa il vescovo lo aveva trasferito a Khidirpur, una piccola missione “staccata” dalla “parrocchia madre” di Mariampur, dove p. Giulio Berutti aveva lavorato anni fa. Era andato volentieri, raccogliendo l’eredità di P. Almir e poi del diocesano p. Ovidio, ed era molto contento. Il Covid lo ha colpito nel suo punto debole, i polmoni. Venuto a Dhaka e ricoverato in ospedale, dopo qualche giorno era stato dimesso, e accolto alla Casa del PIME. Non sembrava debilitato, e meno ancora demoralizzato o intristito. Parlava volentieri. Essendo positivo, rispettava la quarantena, ma quando andavamo a trovarlo, le distanze fisiche da rispettare non riuscivano a danneggiare una comunicazione vivace, intensa, scherzosa anche. “Mi piacerebbe tanto mangiare un po’ di pane, ma non quello a cassetta, quello tanto buono con il formaggio” disse una volta a p. Brice, che si tuffò su internet alla ricerca della ricetta e poi in cucina… Il primo tentativo non diede risultati entusiasmanti, il pane era quasi immangiabile. Ma il secondo andò meglio, e il terzo era buono…

Qualche cosa però non andava: Giulio ansimava, e mi chiedevo perché lo avessero dimesso in quelle condizioni. Infatti, dopo due giorni ebbe una crisi respiratoria notturna, e per non disturbare ci chiamò soltanto all’alba. Lo accompagnammo all’ospedale “Square”, grande e ben attrezzato, dove lo misero in terapia intensiva, sezione Covid, per trasferirlo poi quasi subito alla sezione comune; il nuovo test risultava negativo: buon segno! Per alcuni giorni Brice e io, a turno, trascorremmo con lui la mezz’ora concessa per vederlo. Visite brevi ma intense, piene di speranza, spesso affiancati da infermiere o altri impiegati dell’ospedale che l’avevano conosciuto come parroco, o direttore del St. Vincent Hospital, o come organizzatore del microcredito… “Come stai?”. “A dire il vero non capisco perché sono qui, mi sento bene, non ho disturbi…”. Con la maschera per l’ossigeno, certo, mentre i “monitor” ne segnalavano ostinatamente la scarsità…

Poi una telefonata fuori orario dal medico: bisogna intervenire. Andammo insieme, sperando di parlargli, ma il tubo era già stato collocato, era sotto anestesia e ci dissero che non intendevano risvegliarlo. “Come ha reagito?” chiesi. “Noi medici abbiamo fatto tutto ciò che sappiamo; ora…”. Il monitor indicava un livello di ossigeno nel sangue ancora più basso. Poi un’altra chiamata, di notte, e un’altra volta ancora arrivammo in ritardo. Il passaggio di Giulio si era completato.

La notizia ha provocato una piccola pioggia di interventi sull’indirizzo Whatsapp del PIME in Bangladesh. Attingo, ora, da queste reazioni dei suoi compagni di missione, e le lascio parlare. Non credo che occorrano commenti.

“Ciao P. Giulio! Così ti salutavo ogni volta che ti andavo a trovare nella tua stanza d’ospedale, da quella mattina del 13 luglio al St. Mary Vianney Hospital a quel pomeriggio del 9 agosto allo Square Hospital, due giorni prima di quei due lunghissimi giorni di sonno, in ventilazione assistita, dal quale non ti sei più svegliato. Non avevo immaginato che sarebbe andato a finire così, quando nel pomeriggio del 3 agosto ti portai lì, allo Square, uno dei migliori ospedali del Paese, per curare il tuo problema ai polmoni, trasferendoti dal St. Mary Vianney Hospital (l’ospedale della diocesi di Dhaka). Dei cinque padri del PIME di Dinajpur, ammalati di Covid, venuti a Dhaka in ambulanza per le cure, e ammessi in due ospedali nella capitale, che abbiamo accolto e assistito, eri l’ultimo di cui aspettavo con impazienza il risultato negativo al test di Covid 19 per fare un brindisi, che avrebbe marcato la conclusione del nostro pellegrinaggio negli ospedali. Ma non è avvenuto così. Il banchetto celeste ha prevalso sul brindisi terrestre.

Io ti ringrazio, carissimo P.Berutti di esserti fidato di me, uno degli ultimi arrivati/atterrati su questo suolo bengalese (4 anni fa) che hai calpestato per ben 50 anni aiutando a costruire il paese in alcuni suoi ambiti sociali. Mezzo secolo di storia di cui mi raccontavi spesso alcune pagine, e qualche volta al personale ospedaliero. Hai dato così anche a me la possibilità di dire qualcosa degli ultimi giorni dei tuoi 77 anni di vita. Che onore! In quel mesetto di frequentazione, che richiedeva anche spesso di dettare al personale dell’ospedale la giusta ortografia del tuo nome e aiutarli a pronunciarlo, sono rimasto colpito dalla tua forza di volontà e d’animo, dalla tua mente forte, dal tuo profondo senso di gratitudine e dal tuo realismo spietato, per cui CE L’HAI FATTA: hai anticipato la fine, la tua morte. Infatti, due giorni prima della fine, verso le cinque di pomeriggio, quando sono entrato nella tua stanza in cura intensiva, appena ti è giunto il mio saluto “ciao p. Giulio” ti sei svegliato dal pisolino, mi hai salutato e mi hai detto: “Se devo vivere vivrò e se devo morire morirò, io sono pronto; sono in pace con tutti” e mi hai fatto una confidenza circa una tua ultima volontà. Poi abbiamo pregato, hai fatto la Comunione e ti ho dato la benedizione. Dopo ti ho dato il tuo telefono, che ti portavamo (p. Franco e io) da casa quando ti venivamo a trovare, l’hai aperto, hai letto e scritto qualche messaggio e me l’hai riconsegnato. Hai mandato i saluti a p. Baio e a P. Franco, mi hai ringraziato di essere venuto, mi hai teso la mano e rivolto un ciao commosso, come se sapessi che poteva essere l’ultimo, e così è stato. Grazie di cuore padre Giulio Berutti. Arrivederci lì. Brice”

“Grazie, caro Brice, per questa bellissima testimonianza di affetto e di cura nei confronti di Giulio, che certamente sorriderà, commosso, dal cielo. Francesco”

“Ieri al PIME di Rancio abbiamo ricordato il nostro carissimo Giulio. Prima di partire gli avevo telefonato e lui mi confidava che era contento e in pace in quel di Khidirpur. Anche il suo saluto era carico di affetto e amicizia. Un gran bel dono. Carissimi Brice e Franco grazie per tutto quello che fate e per come lo fate. Riconoscente vi abbraccio. Ciao. Gian Paolo”

“… sempre schietto fino all’ultimo, una preghiera speciale per te p. Giulio! Pierfrancesco”

“Grazie Brice, per il modo vero come hai scritto degli ultimi giorni di p. Giulio. Il funerale, a Kosba come a Khejurpur è stato molto bello il modo come tanti hanno saputo ricordare la vita missionaria di p. Giulio. Andiamo avanti, ma persone così come Adolfo e Giulio ti mancano davvero tantoooooo. Almir