Concorsi

Il governo promette di assumerne 11.000; al concorso per l’ammissione partecipano  12.000 giovani infermiere diplomate. Un rapporto ottimo, che permette alle ragazze di sperare di farcela, se proprio non sono del tutto imbranate. Vanno a ritirare i regolamenti del concorso, e i questionari da compilare: un mazzetto di fogli che esaminano con cura e trepidazione scoprendo anche un pezzetto di carta bianco che fa capolino, e sembra trovarsi lì per caso, con un numero scritto a mano. Proviamo? Telefonano, e si sentono dire che sborsando l’equivalente di 2.000 euro avranno il posto.

Madre

Cinquantacinque anni, si chiama Bilkis Banu, di religione hindu, è sposata con un insegnante, vivono a Kurigram e hanno 57 figli.
Oltre ai loro due figli naturali, ora studenti universitari, ne avevano adottati due, quando entra nella loro vita una bimba, nata sulla soglia di un negozio, vissuta randagia con la mamma mentalmente disturbata cui – in un anno e mezzo – non era mai venuto in mente di farle un bagno o lavarla in qualche modo. La mamma gliela offre, lei la prende in braccio e le dà un nome, Protilata. Nella notte, sogna Madre Teresa e decide di tenerla; non solo, ma di aprire casa e proprietà ad altri bimbi abbandonati, che ora sono 55, dalla culla fino alle scuole superiori. Gradiscono qualche aiuto, ma non lo chiedono, e mantengono tutta la numerosa famiglia con un loro negozio, lo stipendio del marito, qualche proprietà agricola, donazioni occasionali. Unico rammarico: “La gente guarda, loda, ma quasi nessuno viene per dare affetto ai miei figli, a trovarli nelle feste, a giocare con loro: sanno che sono ben curati, e non ci pensano più. Ma sono contenta. Cinquantasette mi chiamano mamma, e non penso di dover attendere altro dalla mia vita, che è piena e bella così”.

Oratoria

La tragedia del primo luglio a Dhaka, quando giovanissimi terroristi hanno ucciso oltre venti persone fra cui dieci italiani, ha portato alla ribalta il problema delle fonti dell’ideologia terroristica. Fra l’altro, s’è saputo che uno o due degli assassini erano attenti spettatori del notissimo Zakir Naik, onnipresente e onnisciente predicatore sulla TV islamica “Peace”, trasmessa in tutta l’India, in Bangladesh e in chissà quanti altri paesi, in inglese e in lingue locali. M’è capitato sotto gli occhi qualche volta, ma riuscivo a sopportarlo solo pochi minuti (stessa cosa mi succede con il cricket…). Alto, magro e ossuto, giacca e cravatta scuri sempre troppo larghi e l’immancabile bianco cappellino “islamico”, sembra uno spaventapasseri animato, quando dall’alto della sua cattedra, in un ampio, affollato teatro di Mumbay, rovescia un fiume inarrestabile di parole su un pubblico maschile e femminile osannante. Si presenta come dottissimo conoscitore non solo del Corano, ma di Bibbia, testi sacri hindu e buddisti, religioni diverse, che cita a raffica con grande precisione. Tocca argomenti di ogni tipo, di dottrina, morale, attualità, spesso chiamando a dibattito membri di altre religioni che accettano di giocare sul suo campo, cioè il campo dell’interpretazione strettamente letterale e astorica di qualsiasi testo. Sa dimostrare mirabilmente, ad esempio, che le indicazioni che la Bibbia dà circa l’arca di Noè sono sbagliate, mentre il Corano indica il punto esatto in cui è approdata; e la Bibbia sbaglia anche nel dire quanto alta fosse l’acqua del diluvio… I suoi interlocutori sono accuratamente scelti per la loro ingenua stupidità, in modo che alla fine del dibattito – sempre formalmente rispettoso e condiscendente – brilli in tutta la sua chiarezza la verità espressa dal predicatore, a fronte della la ridicola stoltezza dei suoi interlocutori che – pur avendo evidentemente torto marcio – non cambiano idea. Non mi risulta che abbia mai predicato la violenza; anzi, ripete continuamente che l’Islam è la religione della pace, che è la religione più perseguitata al mondo e quella che cresce più in fretta (zac! Sullo schermo compaiono statistiche a gogò), che risolve ogni problema della vita personale, sociale, religiosa, politica, Il suicidio è proibito, e l’attentarore suicida, sbaglia – a meno che si tratti di opporsi a un nemico ultrapotente e a una possibile imminente aggressione, come per esempio i “kamikaze” giapponesi… Sarà difficile provare che incitava al terrorismo, ma certo è una valanga di derisione e disprezzo verso le altre religioni e idee. In questi giorni i governi indiano e bengalese hanno deciso di oscurare la trasmissione. Molti tirano un sospiro di sollievo, moltissimi vi vedono privati di una rassicurante conferma che non occorre pensare troppo: abbiamo comunque ragione “noi”, e se qualche volta concediamo agli altri di esporre i loro errori grossolani, è proprio solo perché siamo bravi e tolleranti…

Comunione

Di famiglia buddista, 32 anni fa ha ricevuto il battesimo in una piccola chiesa evangelica giapponese, ed è venuta in Bangladesh nel 1993 come volontaria, giungendo alla decisione di dedicare tutta la vita a disabili mentali, nella Comunità de l’Arche, che ora è affidata alla sua responsabilità. Semplice, di apparenza fragile, è coraggiosa, tenace, capace di organizzare, oltre che spontaneamente piena di affetto e di attenzioni per i “suoi” disabili. Nel suo lungo e difficile cammino ha trovato appoggio nei Fratelli di Taizè, in diverse confessioni protestanti, e specialmente nei cattolici, che sono la maggioranza. Con loro ha condiviso progetti, difficoltà, preghiera, una fede sostenuta da tanta meditazione e adorazione, sempre in contatto con la sua Chiesa di origine, che la sosteneva moralmente ed economicamente. Dopo la morte della mamma, e di due cari amici, un olandese e un inglese, anch’essi di origine protestante ma vissuti in ambiente ecumenico, ha riflettuto a lungo sulla sua propria morte, e ha desiderato che avvenga – come ha scritto agli amici – in piena adesione alla Chiesa cattolica, con cui pensa di trascorrere gli anni futuri. Ne ha parlato con la sua comunità d’origine, trovando comprensione, incoraggiamento, e anche la promessa che il loro appoggio continuerà. La sua piena accoglienza nella comunità cattolica è stata celebrata ecumenicamente, con il desiderio che fosse segno di riconciliazione fra i Cristiani; erano presenti amici di varie confessioni, compresi quelli della chiesa dove era stata battezzata. In una lettera comunica la sua decisione, e scrive: “Perdonatemi se qualcuno sarà rattristato o deluso da questa scelta. Amo la mia chiesa d’origine ancor più di prima, e la nostra comunione è diventata ancora più profonda.”